Colpo critico: l’esperienza offerta da Fields of Arle è più che immersiva: manca solo di sentire intorno al tavolo il suono del vento sul Mare del Nord o l’odore dei campi e delle torbiere…
Per quattro anni e mezzo ho lavorato in una fattoria nella Frisia orientale. Abitavo in un villaggio di nome Arle, dove cresceva il miglior lino di tutta la Germania. Ho fatto un sacco di cose, sotto il sole d’estate o nella nebbia d’inverno, e ho viaggiato per vendere prodotti a Beermoor, a Leer e a Bremen. Il tempo delle stagioni, che pareva autentico, era scandito da una pedina che si spostava da un mese all’altro su una plancia di cartone.
L’esperienza offerta da Fields of Arle è più che immersiva: manca solo di sentire intorno al tavolo il suono del vento sul Mare del Nord o l’odore dei campi e delle torbiere… Il gioco, per una o due persone, è stato creato da Uwe Rosenberg e pubblicato da Feuerland Spiele nel 2014 (in italiano da Cranio Creations nel 2023, in una «big box» che contiene l’espansione per giocare in tre). Si parte con un piccolo appezzamento di terra, poi c’è l’imbarazzo della scelta: si può coltivare grano o lino, allevare mucche, pecore, cavalli, raccogliere torba, bonificare paludi, acquistare aratri e carri o costruire argini per strappare altri campi al mare. Chi preferisce può far crescere una foresta per sfruttare il legname, fabbricare vestiti o utensili, dedicarsi al commercio, costruire laboratori o locande, eccetera. Oggi esistono molte app che offrono l’opportunità di gestire una fattoria virtuale, ma è molto più avvincente farlo in maniera concreta, toccando con le mani, spostando tessere o figurine di legno e osservando di fronte a sé la fattoria del proprio avversario. In più, si ha l’impressione di vivere una storia radicata in una realtà autentica.
È lo stesso Uwe Rosenberg a definire questo come il suo «gioco più autobiografico». Nelle regole spiega che ad Arle (oggi un comune di mille abitanti) è nato suo padre e i suoi genitori si sono sposati. Fra gli edifici che è possibile costruire c’è anche la Casa del Tessuto, ispirata al negozio gestito dalla madre di Rosenberg e prima ancora da suo nonno. Lo stesso Uwe visse i suoi primi anni di vita nei locali sopra la bottega.
Accade spesso che scrittori o pittori prendano ispirazione dalle loro origini, evocando la loro infanzia o la vita dei loro antenati. Chi legge i libri o guarda i dipinti, pur lontano nel tempo e nello spazio, condivide la memoria intima degli autori. In questo caso si tratta di un creatore di giochi: l’esperienza è arricchita dal fatto che non si tratta di assistere a una scena o di seguire una vicenda, ma di costruire un mondo con il proprio ingegno e la propria intuizione. Quando ci si accorge della minuzia e della meticolosità con cui Rosenberg ha curato ogni dettaglio, giocare diventa perfino commovente. Specialmente quando si riesce a costruire un edificio importante, come il castello di Lütetsburg o la splendida chiesa che campeggia sulla copertina e che ancora oggi riempie di stupore chi passa da Arle.
Fields of Arle è complesso e rivolto a un pubblico di esperti. Lo stesso Rosenberg ha ideato però un gioco simile ma molto più breve e adatto anche a dei novizi: Agricola: Die Bauern und das liebe Vieh (Lookout Games 2012; in italiano Agricola: Creature grandi e piccole, Giochi Uniti 2013). Naturalmente manca la ricostruzione storico-geografica, però resta la sensazione di vedere crescere la propria fattoria e moltiplicarsi gli animali (a volte tanto in fretta che non bastano le stalle a contenerli…).
La bellezza di questi giochi non consiste solo nel meccanismo, pure se perfettamente oliato, ma nella forza immaginativa: nel volgere degli anni ad Arle intravedo anche il senso della mia quotidianità e del mio mestiere. Di recente ho letto un romanzo di Wendell Berry intitolato Il mondo perduto (1996; Lindau 2023) e ambientato come gli altri dell’autore americano in un contesto agricolo. Il narratore a un certo punto alza la testa e si guarda intorno: «Ci fu un mattino in cui mi fermai con la zappa fra le mani a guardare i campi dalla stradina polverosa, e fui sopraffatto dall’improvvisa consapevolezza di ciò che stava accadendo. L’aria odorava di vegetazione e di terra rivoltata. […]. Lì fermo in mezzo a quel fulgore […] vidi che il campo era bellissimo, che il nostro lavoro era bellissimo». Nella mia routine, nel mio lavoro, ho già avuto «la sensazione che tutto combaciava perfettamente»? Troppo di rado, temo. Giocare a Fields of Arle, così come leggere un bel libro, mi aiuta a ridestare il senso della meraviglia. È per questo che leggo ed è per questo che, alla mia età, continuo a giocare.