Le cinque dimensioni della crisi Ucraina
Due anni e mezzo dopo l’invasione russa dell’Ucraina continuiamo a battezzare lo scontro fra Mosca e Kiev come «guerra in Europa». Definizione geograficamente pertinente ma geopoliticamente deviante. Si tratta infatti di un conflitto dai riflessi globali. Forma postmoderna di una guerra mondiale in costruzione o, secondo papa Francesco, un suo «pezzo». Perciò conviene studiarla come sintomo della fase decisiva di un cambio di paradigma. Stiamo trascorrendo dall’èra dell’egemonia americana, espressione dell’Occidente «globale», a una fase che vede l’ascesa della Cina ma non ancora la sua dominanza. Nel frattempo sperimenteremo l’impensabile. Tutto questo appare più chiaro se consideriamo le diverse dimensioni del conflitto, aggravato dall’incursione ucraina in Russia, dalle conseguenze ancora imprevedibili. Le dimensioni che contano sono cinque.
Prima, quella post-sovietica. Lo scontro oppone due Stati emersi dal collasso dell’Unione sovietica. La prima (Russia) e la seconda (Ucraina) delle potenze che ne sono scaturite. Questa radice storica della partita in corso viene trascurata, anche perché nessuna delle due parti ama ricordarla. A sua volta, come in una matrioska, la disputa fra ex sovietici contiene quella fra centro e periferia dell’impero russo, dalla cui crisi nacque l’Urss. Si tratta di classica sfida fra impero (russo prima, sovietico poi) e Nazione in fieri che intende emanciparsene. Dura da cent’anni e non è affatto scritto che questo sia l’ultimo atto. Sfida troppo intima e rilevante per l’autopercezione di russi e ucraini da potersi concludere con una pace vera. Al massimo, una lunga tregua. A meno del collasso di uno o di entrambi, la sfida assumerà forme carsiche, in attesa del prossimo atto.
Seconda, quella russo-americana. Tutto cominciò con la rivoluzione bolscevica e l’intervento americano, oltre a un’altra ventina di Paesi, nella guerra civile post-zarista. Elevato dal 1945 a scontro freddo per l’egemonia planetaria fra Usa e Urss, dopo la parentesi anti-nazista. La Russia non è l’Urss e gli Stati Uniti non sono più egemoni, ma il lascito di diffidenza e ostilità ereditato dalla guerra fredda si ripercuote nel sostegno americano a Kiev e nella paradossale ridefinizione di Mosca della «operazione militare speciale», elevata ad aggressione dell’«Occidente collettivo» contro la Federazione Russa. Anche questa partita non finirà con la pace. Nella migliore ipotesi, l’immediato futuro dopo una raffazzonata tregua comporterà la tensione permanente fra Nato – ovvero la forma militare e di intelligence dell’impero americano in Europa – e Russia. Con il rischio permanente di slittamento verso lo scontro aperto, anche per le pulsioni russofobe dominanti nell’Europa orientale e nordica, cordialmente ricambiate con gli interessi a Mosca.
Terza, la competizione fra Cina e Stati Uniti. Tra primo sfidante e numero uno su scala mondiale. Senza l’avvento di una dirigenza antirussa a Kiev nel 2014, supportata da inglesi e americani, Putin non si sarebbe ridotto a quasi-vassallo di Pechino. Postura non spontanea. Russi e cinesi sono rivali geopolitici diretti, non importa l’ideologia. Quanto a Xi Jinping, l’ambiguo sostegno a Mosca ha una doppia dimensione: impedire che l’America travolga la Russia e ridurre il vicino settentrionale a non troppo brillante secondo nello spazio post-sovietico. Una delle più importanti conseguenze del conflitto russo-ucraino sarà la penetrazione cinese nell’Asia centrale ex sovietica, ma anche verso l’Artico, nella disputa per la rotta marittima settentrionale Cina-Russia-Europa-America, destinata a svilupparsi grazie alla prevista fusione dei ghiacci artici. Quarta, l’alterazione profonda dei rapporti fra l’Occidente in accentuata deriva, senza più chiara guida americana, e il cosiddetto Resto del mondo o Sud globale. All’ombra della guerra si stanno riscrivendo le relazioni di forza, senza troppa attenzione a regole e costumi precedenti. È l’occasione che alcune potenze medie aspettavano per affermarsi grandi. Giappone, India, Turchia sono i tre maggiori esempi. In Europa, la Polonia aspira a un ruolo analogo. Su diversa scala, persino l’Africa e l’America Latina sperimentano tensioni simili.
Quinta, e per noi più rilevante, la periferizzazione progressiva dell’Europa. Scade il bluff dell’Ue. Nata, anche su impulso americano, per contrastare l’Urss nel quadro euroatlantico, ora che l’economicismo rivela i suoi limiti conferma di non essere né poter diventare soggetto geopolitico. Le faglie storiche fra le varie Europe, specie fra est e ovest, tornano a galla nello scontro con la Russia. L’est vorrebbe distruggerla mentre l’ovest, sottobanco, non vede l’ora di rinegoziare una partnership non solo energetica. Quando un ordine mondiale salta, occorre molto tempo per provare a reinventarne un altro. Stavolta sarà assai arduo, forse impossibile. Il prezzo da pagare temiamo alto. Visto in questa prospettiva, il conflitto fra Russia e Ucraina assume senso e proporzioni globali. Non ancora la scintilla della terza guerra mondiale. Sempre che non deragli.