Cento ettari di bosco, anzi di riserva forestale, a due passi dalla città. Sembra improbabile ma è possibile, come nel caso della collina di Maia, un territorio ricco di interessanti spunti naturalistici tra Losone e Arcegno.
Già nel 1998 il Consiglio di Stato approvò l’inserimento a Piano regolatore comunale di una zona protetta, quando ancora non era in vigore l’attuale procedimento d’istituzione delle Riserve forestali. La collina di Maia, interamente di proprietà del Patriziato di Losone, è quindi tutelata da oltre 25 anni e si presenta con un bosco misto di latifoglie dominato da castagni e querce, sviluppatosi in modo naturale con l’abbandono progressivo delle attività agricole e forestali: «Fino agli anni 60 del Novecento l’utilizzo del bosco era intenso, la pressione antropica era importante e di conseguenza i boschi erano generalmente giovani, con un tasso di boscosità limitato», si legge nella descrizione.
In seguito all’abbandono dell’attività agricola negli anni 60 e alla rinuncia dell’utilizzo forestale dopo la creazione del parco, l’area boschiva s’è evoluta in modo «selvaggio» e incondizionato, riconquistando il territorio. In questo contesto la vegetazione s’è avvicinata alle caratteristiche riscontrabili in un bosco «naturale», senza interventi antropici, se non per azioni a scopo naturalistico o di tagli per la sicurezza, per esempio lungo gli alvei dei corsi d’acqua o i sentieri. Ed è proprio lungo uno di questi percorsi pedestri che nel 2022 è stato inaugurato un sentiero didattico, il quale permette ai visitatori d’immergersi nella riserva del bosco di Maia per scoprirlo e apprezzarlo in tutta la sua naturalezza.
L’accesso è possibile a Losone, da dove si deve salire, oppure a Arcegno, da dove in pochi passi si entra più dolcemente nella riserva. Seguendo i cartelli indicatori verdi, ci si può incamminare lungo il tragitto ad anello che si sviluppa in senso orario per circa sei chilometri, con possibilità per allungarlo o accorciarlo. Non mancano tratti di ripida salita e discese impervie, scalini, radici, sassi o piode che rendono la gita abbastanza impegnativa, comunque alleggerita da una serie di punti d’interesse. A dominare c’è il silenzio della natura, accompagnato dai rumori dei suoi animali, come il gracidare che si può udire in determinati periodi dell’anno nei pressi delle numerose zone umide.
Le bolle, che assieme a pozze, stagni, paludi e torbiere formano il vasto complesso delle zone umide, sono in effetti degli spazi ricorrenti, dove si riscontra un’importante ricchezza di specie. La «Bolezzina longa» (al punto 3 del sentiero) è per esempio una zona umida, a volte asciutta, che si estende su una lunghezza di circa 200 metri ed è situata in un luogo completamente isolato (a vista) dagli abitati e dalle strade carrozzabili, come riportato nell’opuscolo informativo, un’utile guida per svolgere la gita e dove ritroviamo le indicazioni sui sette punti d’interesse, così come informazioni generali e una cartina del sentiero.
La «Bolla dl’Orói» è un altro ambiente pregiato situato in un affascinante avvallamento, non distante dalla «Bolla d’la Crosa», a sua volta delimitata da due dossi e caratterizzato da una torbiera, un piccolo corso d’acqua e da numerosi ontani neri e frassini. Ed è proprio in queste zone che, in determinati periodi, è molto probabile udire o anche osservare delle specie animali che qui hanno individuato un ecosistema per loro ideale. È il caso per esempio degli anfibi, tra cui anche due rare specie di tritoni, che sono stati notati nelle zone umide del Bosco di Maia.
La riserva forestale, promossa dal Patriziato di Losone, è anche ricca di altre specie, come uccelli, mammiferi e ulteriori animali, ma pure svariate specie vegetali o funghi. La gita transita pure sulla collina di Barbescio, a 461 metri di altitudine, dove si apre una bella vista sul Locarnese, con il lago, il fiume e il suo delta, la città e le montagne. In vetta le ampie rocce tondeggianti rendono il luogo particolarmente affascinante, totalmente differente a quanto incontrato in precedenza. Anche la vegetazione, che ricopre solo in parte la collina, è singolare, con alberi che possono ricordare il clima mediterraneo. Arrampicarsi fin lassù è pertanto una fatica ampiamente ricompensata, da cui ripartire con rinnovata energia per l’ultimo tratto del tragitto.
Un altro punto del percorso è sulla collina di Maia, che ha dato il nome alla riserva ed è anche la più alta. Ed è proprio questo il motivo da cui potrebbe derivare il nome Maia, riconducibile al latino major, comparativo di magnus, quindi cima maggiore, più grande, come riportato sul sito dell’associazione Amici della Scuola nel bosco di Arcegno. Un’altra ipotesi citata è che Maia derivi invece da maiale, animale che in passato veniva portato al pascolo nella zona, particolarmente ricca di querce (e quindi di ghiande).
Tra querce e castagni, un’ulteriore sosta è dedicata al rapporto tra l’essere umano e il bosco, che anche qui è stato profondo e intenso, come riportato sul pieghevole (disponibile nei punti di accesso e in diverse strutture ricettive della regione, tra cui Ufficio tecnico comunale, Azienda forestale Losone o Organizzazione turistica Lago Maggiore e Valli): «le tecniche di gestione e sfruttamento sono evolute, ma le tracce dell’influenza antropica rimangono un segno evidente del nostro passato rurale». Analogamente al resto del Ticino, anche qui il castagno ha giocato un ruolo fondamentale per la sussistenza e l’economia. La postazione numero 1 si trova proprio in un luogo dove era gestito a ceduo, ossia coltivato per ottenere palerie e legna da ardere, effettuando dei tagli e sfruttando la caratteristica dei ceppi di castagno d’emettere i polloni.
Presso la zona umida «Pozz d’a Butt» è segnalato un masso erratico, lì abbandonato dal ghiacciaio durante la sua ritirata. Non è invece stato dimenticato il sentiero didattico, che ha bensì ripreso e rinnovato quello esistente, modificandolo e inserendo diverse novità, come i codici QR (che troviamo nelle sette postazioni) che rimandano a una serie di argomenti didattici, di carattere storico, culturale o scientifico. Gli approfondimenti si trovano anche sul sito e oltre alle informazioni riportate sull’opuscolo, integrano le testimonianze di persone professionalmente legate alla tematica, come l’ingegnere forestale, il biologo, lo storico, il geologo o il geografo. I testi, come indicato sul portale curato dal Patriziato di Losone, verranno aggiornati nel corso del tempo, favorendo così l’educazione ambientale, la sensibilizzazione sui valori della natura e la comprensione dell’evoluzione naturale degli ambienti boschivi.
Oltre agli obiettivi didattici e ricreativi, il sentiero e la riserva forestale si prefiggono di salvaguardare le tipologie forestali e tutelarne la dinamica evolutiva, ma anche la funzione di collegamento ecologico, conservando il patrimonio genetico e favorendo la diversità ambientale. Non da ultimo, anche l’aspetto scientifico gioca un suo ruolo, grazie al monitoraggio dell’evoluzione naturale dell’ecosistema forestale per meglio comprendere le dinamiche di sviluppo spontaneo del bosco.