Quando lo sport si mescola alla vita

by Claudia

Dopo 36 anni in giro per il globo da inviato RSI e dopo altri 16 anni da pensionato, Libano Zanolari apre il libro

Lo sport è spesso un pretesto. Non lo è per i ragazzini, che ne assaporano liberamente l’aspetto ludico. Lo è, ne sono convinto, per molti adulti. Per gli Stati, lo è in quanto mezzo utile a ribadire la loro supremazia sugli altri, e per celebrare la loro grandeur, come si prefissò, ad esempio, Vladimir Putin quando nel 2014 a Sochi mandò in scena l’edizione più faraonica dei Giochi Olimpici. È un pretesto per il mondo dell’economia e della finanza, che lo spreme per fare soldi. Mentre per gli atleti di punta, lo è in quanto grazie a esso ingigantiscono la loro aura e il loro gruzzolo. E infine lo sport è un pretesto anche per i tifosi, che sulla scia di valori fatui, si sentono autorizzati a manifestare i loro sentimenti: quelli positivi di gioia e di condivisione, e quelli negativi di aggressività e di violenza.

Paradossalmente, coloro che lo sport lo prendono in modo meno pretestuoso, sono i giornalisti del settore. Per loro, è competizione, emozione, rivalità, pathos, lotta per una supremazia che non necessariamente sconfina nella politica e nella sociologia. Tuttavia, qualcuno sfugge a questa logica. Sono persone, colleghi, che da sempre hanno saputo scavare oltre il mero fatto sportivo. Fra questi inserisco, senza ombra di dubbio, Libano Zanolari, per decenni, giornalista e commentatore RSI, soprattutto sul fronte dell’atletica leggera, dello sci alpino e del calcio.

La sua recente pubblicazione La vita, lo sport e il mondo ne è la più nitida testimonianza. Anzitutto è un volume bello da prendere fra le mani. Trecento pagine, per la collana Memoranda delle Edizioni Ulivo di Balerna, impreziosite ulteriormente dalla prefazione di Fabio Pusterla e dalla postfazione di Ennio Emanuele Galanga.

Zanolari parte dagli anni della sua adolescenza in cui, giovane ragazzo di montagna nato e cresciuto a Zalende, minuscola frazione di Brusio in Valposchiavo, si vede aperta, dapprima la via verso Coira, dove frequenterà la Scuola Commerciale, in seguito quella che conduce a Lugano dove gli verrà proposto uno stage biennale presso l’allora RTSI. Fu l’inizio di un percorso che lo distolse da una possibile carriera di atleta di punta. A 16 anni saltava 6 metri e 38 in lungo. Allora era una prestazione notevole. Alcune circostanze fortuite lo accompagnarono comunque verso la redazione sportiva, che non lasciò fino al pensionamento, nel 2008.

Zanolari racconta la vita di un uomo curioso, attento, entusiasta, ma critico. I numerosi eventi sportivi da lui commentati si dissolvono in filigrana. Al nostro occhio si presenta tutto il resto, come la bellezza, ma anche il degrado, dei paesaggi. La forza evocativa dei luoghi è onnipresente. Così, la Bruxelles del Mémorial Ivo Van Damme, diventa un pretesto per ripercorrere le orme «di Grand Jacques, di quel Brel che assieme a Bob Dylan e Fabrizio De André è “lo mio maestro e ´l mio autore”».

Zanolari compone sapientemente il mosaico della sua esistenza, e lo pone in relazione con i fatti del mondo. Prima ancora che lui diventasse un autorevole giornalista, il ’68 gli si palesa con tutta la sua irruenza, come una sorta di tenzone tra macro e micro. «Nell’anno in cui le vicende personali hanno scarso diritto di cittadinanza», la Primavera di Praga e le Rivolte studentesche si intrecciano con la salute del fratello Duilio, il cui «male oscuro è dovuto a una valvola dell’aorta che non regola il flusso del sangue». Sarà il professore svedese Ake Senning a operarlo. Secondo solo al sudafricano Chris Barnard, che da poco aveva effettuato con successo il primo trapianto cardiaco. Libano e Duilio erano consapevoli della delicatezza della situazione. I genitori no. Per il babbo, non si trattava del primo viaggio a Zurigo ad accompagnare un figlio in ospedale. Era già capitato parecchi anni prima con il piccolo Libano, ricoverato al Kinderspital per una grave forma di gastroenterite. Guido Fanconi, poschiavino, allora uno dei massimi pediatri al mondo, lo guarì con una dieta che comprendeva anche le banane, le quali producono un effetto benefico sulla mucosa gastrica. «Non a caso, ricorda nel suo testo Zanolari, l’unico cibo che Federer & Co. possono assumere sotto sforzo».

La prima partecipazione in qualità di inviato ai Giochi Olimpici, nel 1972 a Monaco di Baviera, è un assist formidabile per approfondire una delle grandi passioni dell’autore: la storia, quella della mitologia greca in particolare.

Tuttavia gli eroi del passato, così come quelli del presente, il missile sovietico Valerij Borzov, il capo tribù ugandese John Akii-Bua, lo statuario discobolo cecoslovacco Ludvík Daněk, Ulisse approdato sull’isola dei Feaci, e la sedicenne Ulrike Meyfarth, sono costretti a cedere il proscenio alla politica. Quella che avrebbe voluto essere l’edizione della leggerezza e della spensieratezza, per lasciarsi alle spalle l’esclusione della Germania per indegnità nel 1920, 1924 e 1948, e per dimenticare le olimpiadi naziste del 1936, sarà un’edizione con una presenza volutamente limitata della polizia. Gli organizzatori non avevano fatto i conti con un manipolo di Fedayyìn palestinesi, che penetrarono nel villaggio olimpico e assaltarono la sede della delegazione israeliana, dalla quale prelevarono alcuni atleti torturandoli prima di ucciderli. Il bilancio fu pesantissimo. Dieci vittime fra cui un poliziotto.

Il presidente del CIO, Avery Brundage, al termine della commovente cerimonia funebre, pronunciò la storica frase: «The Games must go on». Quindi si continua, ma Zanolari chiosa: «Io i giochi li avrei chiusi».

Non è che uno dei numerosi intrecci tra sport e società rivissuti dall’autore.

La vita, lo sport e il mondo non è un’autobiografia, non è un romanzo, non è un saggio di storia antica e moderna, non è un trattato di sociologia, men che meno un pamphlet. È una miscela sapientemente shakerata e dosata di tutto ciò. Si presenta al lettore con gusto e aroma che stuzzicano il palato e la mente.

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