«Non vogliamo mollare e abbiamo deciso di sostenere il progetto pilota per tentare di proteggere le greggi applicando a un migliaio di capi dei collari che rilasciano feromoni; testeremo lo strumento su un migliaio di individui per capire se è efficace contro le predazioni». Questa, a inizio aprile, la decisione dell’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori per voce del presidente Armando Donati, che oggi traccia un primo bilancio intermedio in merito ai risultati. Si tratta di un sostegno al progetto del biologo Federico Tettamanti, al quale si associano pure l’Unione contadini ticinesi, la Società agricola valmaggese e la Federazione ticinese consorzi allevamento caprino e ovino.
I risultati dei primi mesi in cui le greggi sono andate agli alpeggi, in verità , non sembra essere molto soddisfacente, come spiega Donati: «In questo progetto abbiamo riposto molte speranze, sebbene, ad oggi, dobbiamo dire che abbiamo avuto predazioni in diversi alpeggi nei quali c’erano dei capi con il collare. Ad esempio, già a giugno sull’Alpe Grossalp è arrivato un branco di lupi che ha aggredito il gregge: cinque pecore sbranate e una dozzina disperse che hanno fatto decidere l’allevatore di scaricare l’alpe. Una storia analoga si è consumata sull’alpe Sfille dove il gestore si è visto sbranare quattro capre già la seconda sera di alpeggio…». Malgrado la piena solidarietà a questi allevatori, Donati chiede di non cadere in spicciole e veloci conclusioni: «Statisticamente non possiamo ancora dire molto: innanzitutto si è trattato di branchi di lupi (forse i feromoni di un lupo solo rendono il branco più combattivo per scacciarlo?) e non di individui singoli che, presumibilmente, si sarebbero allontanati per non invadere il territorio di un consimile».
Ricordiamo che la scelta dei citati sodalizi di fare quadrato attorno agli allevatori ticinesi è conseguente alla decisione del Cantone dopo che il Consiglio di Stato aveva deciso di attendere «indizi concreti» sull’efficacia del collare a feromoni per proteggere le greggi dalle predazioni del lupo. Una decisione che non teneva conto del fatto che da lì a poche settimane le bestie sarebbero uscite dalle stalle: «Occorreva rassicurare gli allevatori, preoccupati per la presenza del lupo», precisa Donati. Così, i sostenitori del progetto pilota si sono subito detti convinti che sarebbe valsa la pena provare il funzionamento del collare con l’obiettivo, se non di azzerare le predazioni, per lo meno di riuscire a ridurre il più possibile le perdite.
Malgrado qualche legittima perplessità , la fiducia in questo progetto ancora in divenire di fatto non è scalfita ed egli ribadisce: «Eravamo coscienti del fatto che ci sarebbero stati ugualmente casi di attacco alle greggi, malgrado qualche collare applicato ai capi di bestiame, e l’impressione è che – come detto – il branco abbia aggredito sentendo i feromoni di un lupo da solo, marcando quindi in forze il territorio».
Dal canto suo, il biologo Federico Tettamanti ricorda che «la tecnologia è sperimentale e ciò significa che ci vuole del tempo». Un tempo che, viste le predazioni, pare non si abbia più a disposizione, obiettiamo. Ed egli annuisce: «Il problema si è acutizzato in una ventina d’anni e oggi non c’è molto margine per attendere di trovare una misura efficace. D’altronde, quale altra strada potremmo percorrere?». Il nostro interlocutore ricorda inoltre che ogni progetto pilota necessita di fondi e di tempo per raccogliere tutte le informazioni e i dati che permetteranno di «confezionare» una soluzione ottimale: «Ci stiamo lavorando da più di tre anni e mezzo e stiamo svolgendo nuovi test e nuovi esperimenti con il lupo, collare GPS, fototrappole che ci permettono di monitorare da diversi anni il comportamento di un branco in Italia».
Il principio di questo collare è presto spiegato: «Per prima cosa, noi abbiamo proposto a tutti gli allevatori di marcare dall’80 al 100 per cento di capi; è comprensibile che i costi relativi all’alto numero di animali domestici di un medesimo proprietario abbiano limitato il numero di collari per gregge, malgrado noi lo abbiamo messo a loro disposizione praticamente a prezzo di costo. Più che scacciare il lupo, le sostanze che rilascia fungono da barriera, come una frontiera, e questo lo abbiamo osservato con GPS, video e fototrappole che mostrano che quando il lupo passa davanti ai feromoni si arresta immediatamente e mostra un atteggiamento di paura, malgrado si trovi sul proprio territorio. C’è da capire nel dettaglio quanto influisca l’aspetto dell’animale domestico che ha addosso il collare coi feromoni».
Il biologo comprende appieno la delusione degli allevatori che hanno avuto perdite, ma invita ad avere una visione di insieme del progetto che, in quanto tale, necessita di diversi tentativi e aggiustamenti per giungere a una soluzione ottimale. E, ribadisce, abbisogna di tempo: «Stiamo testando nuovi sistemi di rilascio dei feromoni; così, tutto è in evoluzione».
Certo è che se il lupo ha fame, attacca: «Quindi, riteniamo che l’effetto massa sia decisivo nella protezione: più individui col collare abbiamo nel gregge, più consideriamo alta la possibilità di protezione. Tutti i test che stiamo effettuando in natura ci stanno dando interessanti indicazioni su come sviluppare ulteriormente la tecnologia». Non si tratta dunque di una soluzione che si trova dietro l’angolo, ma d’altronde, conclude Tettamanti: «Fra qualche anno potremmo aver trovato una soluzione davvero soddisfacente».
Nel frattempo, alla fine del 2024, i dati raccolti in Ticino, in Svizzera e all’estero (in Italia) permetteranno al biologo Tettamanti di stilare un’ampia statistica sull’efficacia del collare e, allo stesso tempo, di «aggiustare il tiro» del progetto, in modo da renderlo il più efficace possibile. Studio che verrà trasmesso all’Ufficio federale dell’ambiente nelle cui mani sarà la decisione di un finanziamento su più ampia scala.