Al Museo di Lottigna, tra etnografia e archeologia

La vocazione dei musei etnografici è quella di documentare, studiare e promuovere la conoscenza delle tradizioni popolari, della cultura rurale e di quella artigianale del passato prossimo espressi in un determinato comprensorio, per noi il Cantone Ticino. L’etnografia è una branca dell’antropologia e cerca di descrivere i comportamenti, lo stile di vita e i modi di operare dei nostri antenati nemmeno troppo lontani da noi, tant’è che entrando in un’esposizione siffatta molti sono i richiami ai nostri nonni e bisnonni e al loro patrimonio orale, scritto, iconografico e materiale. Un museo etnografico rende quindi un servizio a tutti noi perché comprendere il passato (non solo prossimo) aiuta a vivere il presente e a progettare il futuro. E il Museo storico etnografico Valle di Blenio, di cui è curatrice Valentina Cima, svolge egregiamente il suo mandato educativo. È un bene culturale che appartiene alla rete etnografica ticinese assieme ad altri dieci musei sparsi nel cantone ed è comprensivo di due sedi: il Palazzo dei Landfogti a Lottigna e la Cà da Rivöi a Olivone.

La sede principale è ubicata nello storico Palazzo dei Landfogti a Lottigna, il monumentale edificio risale al Cinquecento, periodo d’inizio della dominazione svizzero tedesca nei distretti ticinesi (baliaggi) e quindi del governo da parte dei landfogti che si sono succeduti per tre secoli, fino al 1803, anno dell’indipendenza del Cantone Ticino. La stupenda facciata, con una serie di blasoni affrescati, testimonia appunto la presenza nella Valle di Blenio dei rappresentanti di Uri, Svitto e Nidvaldo.

Il museo si sviluppa su tre livelli e una torretta sul retro e, come tutti gli enti di questo genere, fa affidamento su collezioni stabili. Nel nostro caso mette in esposizione la sua importante collezione etnografica a cui si aggiunge la mostra su Mosè Bertoni, entrambe appunto permanenti; al secondo piano invece ci sono i locali per esposizioni temporanee su aspetti storici salienti della «Valle del Sole».

Al piano terra fanno bella mostra di sé una grossa caldaia di rame, la zangola rotatoria e altre verticali, spannatoie, fasce, brente, tutti oggetti usati sulle corti alpestri bleniesi per ottenere i prodotti caseari che costituivano una sicura fonte di reddito. Alla praticoltura (fienagione, pastorizia) e alla coltivazione dei campi (segale e altri cereali) è dedicata la sala successiva, mentre l’economia rurale è ben rappresentata in un suggestivo e grande locale con parecchi attrezzi usati nella trasformazione dei cereali (mulino con macine), nella lavorazione del legno (bancone di un falegname di Torre), del ferro (forgia con mantice) e delle fibre tessili. Al primo piano si respira un’aria domestica antica perché è stata ricostruita una tipica cucina con focolare a cui si aggiungono vari utensili: pentole in pietra ollare, macinini per il caffè… e una splendida stufa multifunzionale da far invidia alle nostre sofisticate cucine. Sempre sullo stesso livello, una sala è interamente dedicata all’arte sacra, con paramenti liturgici, statue, reliquiari, ex voto e quant’altro a testimoniare la forte fede dei vallerani. Il locale attiguo invece espone soprattutto abiti femminili in uso nell’Otto-Novecento. Al secondo piano è disponibile per i visitatori anche il Totem RSI Valle di Blenio con documenti video e audio a partire dagli anni Trenta del secolo scorso.

Sul retro dell’edificio c’è la torretta; al piano di calpestio è conservata l’attrezzatura per la lavorazione dell’uva (torchi, alambicchi…) e un bel tornio a pedale per la preparazione di oggetti in legno e pietra. La sala superiore è tutta riservata a un illustre bleniese nato a Lottigna, Mosè Bertoni (1857-1929), scienziato, botanico, emigrato con la famiglia in Argentina e Paraguay dove realizzò una colonia agricola su basi scientifiche; la mostra ripercorre le tappe significative della sua vita avventurosa e presenta le sue numerose pubblicazioni.

La roccaforte di Serravalle, ubicata a nord di Semione, era terza per importanza nel Ticino dopo la fortezza di Bellinzona e il castello di Locarno. Posta in posizione strategica all’imbocco della valle (sèra la val, che chiude la valle), controllava persone, animali e mercanzie dirette o provenienti dal Passo del Lucomagno. Ha una lunga storia che è riassunta nell’esposizione temporanea I due castelli di Serravalle al secondo piano del Palazzo dei Landfogti, curata dall’architetto Nicola Castelletti e dall’archeologa Silvana Bezzola Rigolini, la quale ha recentemente pubblicato un’agile guida dal titolo Il castello di Serravalle (2023) reperibile al museo (si veda anche «Azione» n. 33 del 14 agosto 2023).

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