Gli abusi sui minori e sulle persone più fragili non hanno limiti e confini. Famiglia, chiesa, sport, società civile in genere. Nessun ambito è esente da macchie. Ne è consapevole il mondo della politica. È di questi giorni una proposta inoltrata al Consiglio Federale dal Consigliere Nazionale Simone Gianini, che fra l’altro chiede all’Esecutivo di attivarsi per un più capillare monitoraggio delle situazioni a rischio.
Dal canto suo, anche il mondo dello sport è consapevole delle sue derive. Ma lo è anche della complessità dell’argomento e della difficoltà nel prevenirle. In seguito ad alcuni casi clamorosissimi, finiti sulle prime pagine dei media nazionali, l’accerchiamento dei potenziali soggetti a rischio si è comunque intensificato. Il calcio ticinese ci ha provato anche col teatro, con la drammatizzazione. E ora ci prova anche Gioventù&Sport, con l’intento di far riflettere i suoi animatori e i suoi monitori, con uno sguardo rivolto però anche ai famigliari, che sono la primissima antenna del disagio.
Artefici di questa strategia di prevenzione sono Katia Troise, regista, attrice, fondatrice del Teatro Scintille di Locarno, e Francesco Mariotta, della compagnia Sugo d’inchiostro, insegnante, musicista e attore. Entrambi erano già stati coinvolti dal Cantone per una drammatizzazione delle problematiche relative alla violenza domestica.
Con G&S cambia il committente, ma non muta la sostanza della proposta ideata dai due artisti, che sono andati in scena lo scorso weekend a Bellinzona, di fronte a un pubblico di allenatori, monitori e animatori. Sabato, con Abbracci speciali, l’attenzione si è focalizzata sugli abusi. Per ottenere reazioni positive, per aprire le coscienze, Katia e Francesco affidano la regia a una fantomatica e fantascientifica intelligenza artificiale incaricata di cercare e individuare, invano, l’allenatore ideale. La partita, in scena domenica, mette a nudo la problematica della violenza nello sport.
Sin dagli esordi del loro lavoro artistico ed educativo, la coppia di attori propone delle costanti nella creazione degli spettacoli. Assolutamente non vogliono mettere il Mostro e la Vittima, l’uno di fronte all’altra. Preferiscono giocare sulle sfumature. Con sottile delicatezza. Non a caso la loro compagnia si chiama Zona Grigia. Tutt’al più rispolverano e portano in scena il senso dell’assurdo e la provocazione. Nella fattispecie, partendo da un assunto che circola da decenni, quello che sostiene che l’allenatore più fortunato è colui che allena una squadra di orfani. Sarà vero? Sono convinto di no. Tuttavia, questa forzatura punta a coinvolgere anche i famigliari, chiamati a condividere, come è giusto che sia, le responsabilità educative dei loro figli.
Faccio fatica a credere che nella mente di un «malato cronico» possa accendersi una luce, possa squillare un campanello che gli dica: «Ma cosa stai facendo»? Fortunatamente, la casistica dice che queste persone propense a una devianza inarrestabile sono un’infima minoranza. Consola inoltre il fatto che la stragrande maggioranza di chi agisce con dei ragazzini, delle ragazzine o con persone fragili, sia onesta e profondamente consapevole dell’importanza del proprio ruolo educativo. Rimane una fascia intermedia, quella di chi non è sufficientemente solido per far parte della categoria dei «giusti».
Una pièce teatrale, a prescindere dalle sue qualità e dai valori che veicola, difficilmente riesce a modificare le sorti del cosmo. A meno che chi l’ha commissionata non decida di appropriarsene per proporla in occasione di una serie infinita di ulteriori momenti formativi. Si tratta di insistere. E se l’operazione fosse estesa alla scuola, ai corsi di catechismo, allo scoutismo, e a qualsiasi altro mondo in cui gli adulti dialogano con i giovani, non sarebbe una cattiva idea. Non importa chi sia il committente, non importa l’ambito in cui avvengono violenze e abusi. Conta soprattutto che qualcuno sappia accendere la luce della coscienza e delle emozioni, e lo sappia fare con convincente e coinvolgente leggerezza. Una risata accenderà mente e cuore. Ma non necessariamente ci seppellirà come sostenevano l’anarchico Bakunin e i contestatori del rovente maggio del ’68.