La pietra che ha illuminato l’antico

La storia della famosa stele di Rosetta, il blocco di pietra che consentì all’egittologo Jean-François Champollion di dare una decifrazione in lingue europee della scrittura geroglifica, è in realtà una storia divisa in tre storie. La prima è la storia della sua incisione in epoca faraonica; la seconda la storia del suo rinvenimento da parte delle truppe di Napoleone, durante l’occupazione dell’Egitto alla fine del Settecento, e la terza è la storia della sua decriptazione per opera di Champollion. A queste tre storie, che qui cercheremo di sintetizzare nel modo più conciso, si potrebbe aggiungere la quarta: quella della pubblicazione del volume omonimo La stele di Rosetta, dapprima nel 2023, in arabo e in inglese, e oggi finalmente anche in francese.

Spartiacque tra un tempo dell’ignoranza e un tempo del sapere, la stele di Rosetta è in effetti la chiave di volta, almeno a partire dal 1822 – quando Champollion indirizzò a Bon-Joseph Dacier, segretario dell’Académie des inscriptions et belles lettres di Parigi, una lettera in cui esponeva la sua elaborazione dell’alfabeto geroglifico – per comprendere il mondo dinastico egizio. A quell’epoca due grafie erano in uso: il geroglifico (impiegato in ambito ufficiale-monumentale e conosciuto solo dai sacerdoti) e il demotico (derivato dalla grafia ieratica e utilizzato in molti documenti pubblici). Con la chiusura di tutti i templi non cristiani decretata dall’imperatore romano Teodosio I nel 391, la caduta nell’oblio della lingua geroglifica fu però inesorabile; e solo il demotico e il greco antico sopravvissero.

Avvalendosi di ampie conoscenze del copto, derivazione dell’antico egizio ma in alfabeto greco, Champollion ebbe così la sua fondamentale intuizione: i tre testi riportati sulla stele di Rosetta, rispettivamente in geroglifico, in demotico e in greco, erano in realtà un unico testo tradotto in tre differenti lingue. Riconosciute le connessioni semantiche tra i tre diversi idiomi, fu dunque possibile allo studioso dare una precisa decifrazione del testo geroglifico e giungere all’elaborazione di un suo alfabeto.

Da quel momento la storia dell’egittologia assunse una curvatura senza precedenti: non solo si poté «leggere» l’antico patrimonio culturale e monumentale della più remota civiltà africana attraverso reperti e ritrovamenti archeologici, ma finalmente fu anche possibile approfondirne la conoscenza tramite l’esegesi testuale. Da Nermer ai Tolomei il mondo dinastico non fu più un «mucchio di ossa e pietre» ma un’infinita costellazione di papiri e incisioni da decifrare.

Merito del solerte Champollion, naturalmente, che da una pietra di granodiorite del tutto ordinaria dal profilo artistico o documentale – la stele di Rosetta non è che un testo celebrativo del 196 a.C. in onore del faraone Tolomeo V Epifane – riuscì a trarre gli elementi per la ricostruzione di un intero universo sociale, politico e culturale. Ma prima ancora, in un certo senso, merito di Napoleone, che nella sua leggendaria «Campagna d’Egitto» del 1798, volta a dischiudere un varco verso le Indie, ebbe cura di farsi accompagnare da 175 scienziati o savants, il cui lavoro documentario rappresenta a tutt’oggi uno dei maggiori contributi alla conoscenza del mondo post-dinastico egiziano; e la cui risultanza scritta e illustrata fu la celeberrima Déscription de l’Ėgypte, nella quale non un solo dettaglio di quanto venne osservato nel corso della spedizione fu trascurato.

Durante tale campagna, un semplice soldato ravvisò a Rosetta, l’allora Rashid, il 15 luglio del 1799, uno strano blocco di pietra e lo segnalò al capitano Pierre-François Bouchard. Costui ne intuì l’importanza e lo fece portare ad Alessandria affinché venisse analizzato. Poi sopraggiunse il 1801, anno fatidico della resa dei Francesi agli Inglesi, e dopo numerose e inutili trattative il prezioso reperto dovette passare in mano britannica, dalle cui dita non sfuggì mai più: dal lontano 1802 è custodito nelle sale del British Museum (nella foto).

Pure la stele di Rosetta resta una delle primizie di cui l’Egitto contemporaneo continua a farsi vanto. Per molti anni i suoi storici hanno continuato a indagarne la storia e a perfezionare il racconto del rinvenimento e della successiva decifrazione. In particolare con un testo, La stele di Rosetta, pubblicato dapprima nel 2023 in arabo e inglese e ora riproposto finalmente in francese, dalle edizioni della Bibliotheca Alexandrina, con il titolo di La pierre de Rosette. Un’opera non solo per specialisti e addetti ai lavori, ma anche per il pubblico degli amanti occasionali dell’Egitto, che grazie alla doppia firma di Ahmed Mansour (direttore del Dipartimento degli Scritti e dei Manoscritti d’Egitto) e Azza Ezzat (direttrice della ricerca scientifica presso la Bibliotheca Alexandrina) possono ora godere di un dettagliatissimo itinerario lungo la storia di tale cruciale reperto della storia egizia. 

Di fatto, grazie a Champollion, grazie alla «sua» stele, noi oggi possiamo comprendere quasi tutto ciò che fu della civiltà egizia. E malgrado le ricerche archeologiche continuino a produrre, sul terrain, risultati di importanza epocale, la decifrazione dei geroglifici resta il capitolo più decisivo della storia del Paese. Senza Champollion e la stele di Rosetta, e in un certo senso senza Napoleone, il mondo egizio rimarrebbe preda del mistero, mentre grazie al suo decifratore sembra oggi finalmente un universo fraterno, tra le cui vestigia l’antico parla e si fa conoscere come è sempre condizione perché si trasformi da rovina a memoria viva.

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