Se il ricco scappa

Alla chetichella, ma se ne vanno: i miliardari e pure i milionari stanno lasciando il Regno Unito e quella Londra che per secoli ha fatto brillare gli occhi di chiunque avesse un po’ di capitale e qualche idea per farlo crescere. La Brexit prima e il Governo di Keir Starmer (nella foto) poi, con le sue misure egualitarie la sua attenzione ai conti pubblici, portano a una lenta e inesorabile fuga. Se dal 2017 al 2023 ben 16’500 milionari hanno fatto le valigie, solo nel 2024 il loro numero è destinato a raggiungere un vertiginoso 9500. E, a seconda dell’età, le destinazioni cambiano. La finanza europea si è spostata a Parigi, grazie alla sapiente regia del presidente Macron, i più anziani hanno scelto la Florida o l’Italia, la Svizzera è sempre un’opzione amatissima, negli Emirati e in Asia ci sono destinazioni ambite, Madrid e Barcellona sono dinamiche e hanno tassazioni favorevoli. E pensare che solo qualche anno fa si temeva che Londra sarebbe diventata la «Singapore sul Tamigi»: iniqua, sregolata, attraente per i grandi capitali. Sta succedendo il contrario.

C’è anche chi ha scelto di lasciare Londra per andarsene nelle parti più nobili della campagna inglese, facendo diventare casa quello che prima era solo un rifugio per il weekend e evitando così l’aumento delle tasse sul «capital gain» previsto nella manovra d’autunno e applicato sulle seconde abitazioni. Qualcuno si trasferisce, qualcuno sta vendendo le magioni in Cornovaglia e nel Norfolk, in generale ci sono più abitazioni di pregio sul mercato rispetto all’anno scorso nell’intero Regno Unito. Insomma, sebbene amichevole e moderato, il Governo laburista ha avviato un’opera di ridistribuzione che non piace a tutti. Se da una parte ha tagliato i sussidi per il riscaldamento agli anziani, dall’altra non fa sconti neppure ai ricchissimi nel tentativo di risanare l’enorme buco nei conti pubblici, 22 miliardi di sterline, lasciato dai Tories. «Chi ha le spalle più larghe deve farsi carico del peso più grande», ha dichiarato il premier Starmer. Il problema è che chi ha le spalle più larghe si sta organizzando diversamente.

Al di là del generico peggioramento delle condizioni dovuto alla Brexit e agli anni di incertezza politica che il Paese ha attraversato, sono due le misure che stanno convincendo chi dispone di più di un milione ad andare via. Chi lavora nel «private equity» (l’attività di investimento nel capitale di rischio di imprese generalmente non quotate) teme che la cancelliera Rachel Reeves decida di far pagare più tasse sulla principale forma di remunerazione dei manager, ossia il «carried interest», una quota di profitti che al momento sono tassati come plusvalenze, portando l’aliquota dal 20-28% al 40-45%. Il Governo aveva promesso che non lo avrebbe fatto, ma tutti i segnali stanno andando in quella direzione.

Un passo che invece è certo riguarda lo statuto speciale dei non-dom, che risale ai tempi coloniali e che permette agli stranieri che vivono nel Regno Unito ma hanno la residenza fiscale altrove di non pagare le tasse sui profitti generati all’estero. Legale ma politicamente imbarazzante, come per la fantastiliardaria moglie dell’ex premier Rishi Sunak, Akshata Murty, che aveva dovuto annunciare l’intenzione di fare la sua parte con il fisco britannico. Già i Tories avevano deciso di mettere mano a un privilegio considerato datato e iniquo, lasciando un periodo «di grazia» di 4 anni prima di dover pagare le tasse come tutti i residenti nel Regno Unito. Il Labour ha dato un giro di vite alle proposte, cancellando lo sconto del 50% per i primi due anni e annunciando che tutti i beni all’estero verranno sottoposti alla legge britannica sulle successioni. Sia Tories che Labour puntano a un extra gettito di 2,6 miliardi di sterline, ma Oxford Economics e altri think tank hanno fatto presente come il risultato potrebbe essere ben diverso, e imprevedibile: un crollo di 900 milioni di sterline all’anno se se ne va tanta gente, oppure un guadagno da 1 miliardo e passa se le tasse dei ricchissimi continuano comunque ad arrivare all’erario di sua maestà. Le misure verranno applicate dal 6 aprile 2025. Sono circa 74mila i non-dom che, pagando 30mila sterline all’anno, si garantiscono di essere in un club pieno di vantaggi. Poi, certo, fanno beneficenza, investono, pagano 9 miliardi di tasse all’anno. Nell’insieme hanno 10,9 miliardi di sterline di beni all’estero non tassati. Ma chi lo dice che resteranno e che queste entrate extra serviranno davvero a finanziare la sanità e ad affrontare l’enorme emergenza sulla salute mentale?

«Londra ha ancora un decennio buono davanti a sé», spiega un esperto di finanza. «Ha avuto una forza tale in passato che ci vorrà un po’ prima che si spenga, ma sono state fatte troppe scelte in una sola direzione». Se l’ambizione starmeriana di creare una società dinamica ma con meno disuguaglianze preoccupa, l’instabilità politica degli anni dei conservatori, con 5 primi ministri in 13 anni, ha fatto anch’essa danni enormi: Liz Truss inseguiva un sogno iperliberista ma ha fatto crollare la sterlina. Anche il fatto di imporre l’Iva sulle scuole private, tasse che gli istituti come Eton hanno trasferito sulle famiglie, ha cambiato la prospettiva. Un rapporto di UBS Global Wealth dice che i milionari nel Regno Unito potrebbero ridursi del 17%, passando da 3’061’553 nel 2023 a 2’542’464 nel 2028. E a beneficiarne, con buona pace dei britannici, sarà Parigi, destinata a diventare la città più ricca d’Europa entro il 2030.

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