Cosa c’è di meglio di un caffè

by Claudia

Un caffè mi ha aperto infiniti orizzonti nel pianeta del piacere. Primavera del 1963, Auditorium Arturo Toscanini. In sala si prova la Sinfonia di Salmi per coro e orchestra di Igor Stravinsky, io seguo le prove manovrando una telecamera che inquadra il direttore. È dichiarata una pausa. Con cantanti e orchestrali vado nell’ingresso artisti, manovro il distributore automatico di caffè e inizio a sorbire il liquido bruno, con il cuore gonfio di quella musica divina. Due pinze d’acciaio mi strizzano le chiappe, un brivido di dolore barra piacere nasce dalla nuca e termina sui talloni. Un urlo selvaggio accompagna il gesto: «Ti ho preso finalmente!». Mi volto, una soprano gigantesca con due badili al posto delle mani allibisce e balbetta: «Mi scusi, mi scusi, l’ho scambiata per un mio collega, un tenore che approfitta del fatto che è dietro di me per toccarmi il sedere». Le dico: «Non fa niente, si figuri…» se avessi coraggio direi: «Possiamo rifare il gesto, se le fa piacere, magari trovarci qui tutti i giorni…». 

Mi sono pentito ma era troppo tardi, per anni ho inseguito l’illusione di trovare una sostituta ma non ci sono più le soprano di una volta, adesso le cantanti sono sottili come indossatrici.  

Un caffè ha ribaltato in meglio la mia vita professionale. In questo caso c’è una data precisa, 3 ottobre 1987. Va in onda su Rai 1, la prima puntata di Fantastico ’87. Sono nella squadra degli autori. Verso le 23 parte un refrain dalla canzone Dolce rompi, dove Adriano Celentano, conduttore del programma, canta «Cosa c’è di meglio di un caffè anche se lo zucchero non c’è». È il lancio di un concorso a premi e Adriano deve comunicarne il regolamento. In sostanza: prendete (inteso: dopo averli comprati) tre tipi diversi di una certa marca di caffè (ossia classico, ricco, arabica, espresso, decaffeinato, solubile, ecc.), ritagliate le prove d’acquisto, incollatele su una cartolina postale, scrivete nome, cognome e indirizzo e speditale a … Ogni settimana verranno estratti ricchi premi. È quel «tipi diversi» a mandare in confusione Adriano, schiacciato dai troppi compiti che ha voluto assumersi: direttore artistico, conduttore, cantante, intervistatore. Attacca: «Tipi diversi (pausa) Uno, sono sicuro, è (e dice la marca)… Gli altri quelli che volete voi… per esempio (e dice una marca concorrente)». Lo sponsor vuole stracciare il contratto e Adriano, dalla seconda puntata, il 10 ottobre, chiama me in scena a spiegare il regolamento, in dialogo con lui. Nasce una coppia comica. La mattina di domenica 11 ottobre esco dal mio residence, entro in un bar, ordino il primo caffè della giornata e un cliente mi chiede un autografo. 

Sempre a proposito del caffè un amico mi ha passato i primi risultati di uno studio finanziato da una multinazionale. Una squadra di psicologi, sociologi, antropologi si è messa al lavoro per disegnare il profilo dei consumatori di caffè al bar in funzione della modalità con il quale viene ordinato: ristretto, macchiato caldo, lungo, americano, ecc. ecc. Per verificare l’attendibilità dei risultati ho provato a leggere quali sarebbero le caratteristiche del consumatore che fa un’ordinazione come la mia, ovvero «un caffè macchiato freddo». Ecco il responso: «È una persona che non può tollerare il disordine». I suoi colleghi, quando lui si allontana dall’ufficio, mettono in disordine il ripiano della sua scrivania, operando solo spostamenti di pochi millimetri, ma che ha lui non sfuggono. Poi quando rientra si fingono indaffarati per godersi lo spettacolo del suo frenetico riordinamento. I suoi famigliari sanno che lui non andrà mai a dormire se la cucina di casa è in disordine, perciò, quando lui ha impegni serali, vanno a letto, lasciando tutto così com’è terminata la cena. Il nostro amico ritorna a casa con il proposito di non mettere piede in cucina: occhio non vede cuore non sente. Sente il bisogno di bere un bicchiere d’acqua: si muoverà al buio. La debole luce interna del frigorifero è sufficiente a illuminare lo sfacelo. Niente da fare, l’amico indossa guanti e grembiule e si mette al lavoro. Quando ha terminato l’orologio di una cucina in ordine perfetto suona le due». Lo ammetto: è il mio ritratto, i ricercatori hanno centrato l’obbiettivo.