Il flauto di Emmanuel Pahud con l’OSI al LAC

Sarà perché è nato come Amadeus il 27 gennaio (del 1756 a Salisburgo Wolfgang, del 1970 a Ginevra lui), ma se si chiede a Emmanuel Pahud (nella foto) quale sia il suo compositore preferito risponderà risoluto: «Mozart». «D’altronde se sono diventato musicista lo devo a lui. I miei genitori non suonavano, anche se mi hanno confessato che avrebbero desiderato tanto studiare il violino; infatti, assecondavano tutte le mie richieste musicali: a tre anni, durante una vacanza in Andalusia, ci ritrovammo casualmente la strada sbarrata da uno spettacolo di zigani ambulanti che suonavano flamenco. Ricordo che chiesi una chitarra per imitarli: se avessi nuotato un’intera vasca senza respirare me l’avrebbero presa; era una chitarra-giocattolo, però assomigliava a quella del flamenco e fui felicissimo. Poi, quando avevo quattro anni, ci trasferimmo a Roma e i nostri vicini di porta avevano quattro figli che suonavano tutti uno strumento: violoncello il più grande, poi flauto, pianoforte e violino. Io non sapevo neppure distinguere l’uno dall’altro, ascoltavo da casa nostra; mi affascinava il flauto, e il ragazzo che lo suonava stava preparando il Concerto in sol di Mozart per il diploma. Fu poi il primo concerto che suonai con un’orchestra, a Bruxelles, e il primo che incisi, con Claudio Abbado e i Berliner Philharmoniker». Perché il flauto ha condotto Pahud nell’Olimpo della classica: a ventidue anni è stato scelto da Abbado come primo flauto dell’orchestra che era stata di Karajan, più giovane di sempre; «ma il primato durò poco: sei mesi dopo venne scelto un cornista che aveva solo vent’anni. In quel periodo Abbado stava rinnovando l’organico, facendo subentrare vari giovani ai musicisti che militavano nei Berliner anche da trent’anni o addirittura dal dopoguerra. Non tutti sono rimasti: c’è un periodo di prova, alcuni non si integravano nel suono dell’orchestra, una “voce” particolare creatasi lungo molti decenni».

Non bastasse l’essere prima parte nella migliore orchestra al mondo, lui stesso è considerato il miglior flautista del firmamento classico, e come tale è l’ospite d’onore dell’OSI, guidata dal suo ex direttore musicale Markus Poschner, il 17 al LAC e la sera prima in uno dei luoghi mitici della classica, la Grosses Festspielhaus di Salisburgo: prima della quarta sinfonia di Bruckner, omaggio nel bicentenario dalla nascita, Pahud sarà solista in Dreamtime di Philippe Hersant, e suonerà da solo Le point est la source de tout di Michael Jarrell. Un titolo programmatico, «perché il flauto è lo strumento più vicino alla voce umana. Lo dico sorridendo perché è la stessa frase che le dirà un pianista, un violoncellista, un violinista; infatti, non è importante tanto lo strumento, quanto chi lo suona. Però, in effetti, il flauto è l’unico strumento dove non c’è una resistenza al respiro: la bocca è aperta, non si controlla la vibrazione dell’aria con le labbra; da controllare è solo il respiro, come per i cantanti. Così il flautista è costantemente costretto a respirare».

Nel 2018 Pahud era stato «artista in residenza» di Lugano Musica, incantando con Bach; ora la contemporanea, con Hersant, francese nato a Roma nel 1948, e Jarrell, ginevrino come lui, che compirà sessantasei anni nove giorni prima del concerto al LAC. «Suonando coi Berliner, sia con Abbado sia soprattutto con Simon Rattle, sono stato abituato a passare da Brahms e Beethoven alla musica d’oggi». Un’alternanza che ha segnato anche la carriera personale di Pahud: «Quasi da subito ho alternato l’attività in orchestra con quella da solista. I Berliner hanno due primi flauti, ci alterniamo da sempre; di solito due settimane al mese ognuno. Così sono a Berlino sei mesi, e posso gestire il resto del tempo per studiare e suonare cosa, come e dove voglio. È una fortuna incredibile, perché mi permette non solo di spaziare nei generi e nelle epoche, ma anche di vivere esperienze musicali totalmente diverse, dal recital solistico al suonare insieme ad altri cento strumentisti».

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