Eppure ho un po’ di nostalgia del tempo delle sigarette! L’affermazione è del tutto in controtendenza, il fumo fa male, il tabacco fa male. Se torno sull’argomento il merito, o la colpa, è dello scrittore norvegese Dag Solstad: nel suo non romanzo Armand V. uscito qualche tempo fa per Iperborea (leggerlo per scoprire la ragione del «non»), definisce la sigaretta, ormai bandita da ogni luogo pubblico e privato, un accessorio elegante. Un segno letterario, un riferimento. Un oggetto di scena che tiene insieme il mio secolo, il Ventesimo, e non solo. Sì, qualche nostalgia, dicevo, affiora.
Quel «segno letterario» che ha accompagnato, con mio padre, la mia infanzia e adolescenza senza per questo traviarmi, è stato un marchio culturale forte; ha plasmato l’immaginazione collettiva attraverso caratteri soprattutto cinematografici imprescindibili, ha tracciato il percorso di una lunga stagione. Ve lo immaginate il Marlowe di Humphrey Bogart, o il suo Sam Spade, nel Mistero del falco, senza una sigaretta tra le labbra o tenuta con eleganza tra indice e medio, o quasi raccolta, protetta nel palmo della mano, mentre gli occhi si socchiudono alle lente volute del fumo? Senza quel segno, che uomo sarebbe Bogart? Che cinema sarebbe? Così quando George Clooney orchestrò la regia di Good Night, and Good Luck, uno dei suoi lavori di qualità, trovò nella sigaretta fumata nervosamente l’emblema della tensione di certo giornalismo impegnato: erano i tempi della caccia alle streghe, quando processi ed epurazioni assecondavano l’accanimento del senatore McCarthy contro la lebbra del comunismo, gli anni del film L’invasione degli ultracorpi per intenderci e comunque lo si voglia interpretare, a favore o contro il maccartismo. Allora il giornalista televisivo Edward Murrow era diventato il protagonista della controinformazione che attaccava il senatore e ne denunciava la persecutoria paura delle infiltrazioni comuniste. Nel film il giornalista, interpretato da David Strathairn, non è nemmeno un minuto in scena senza sigaretta (lo vediamo nell’immagine), ed è un ritratto in tutto e per tutto fedele della persona che a suo tempo, con il cilindretto bianco serrato tra le dita, sarebbe stato immortalato sulla copertina del «Time». Per lui la ricerca della verità si muoveva dentro le volute di fumo, dove i contorni si annebbiano ma la mente ragiona lucida. Murrow morì a 57 anni: inutile fare commenti intorno alla sintesi di stress e nicotina!
E poi esiste un côté leggero del tema e si incarna in un altro sguardo sul giornalismo: è l’indimenticabile sequenza in cui Walter Matthau accende una sigaretta e la ficca in bocca al suo miglior giornalista, Jack Lemmon, che sta scrivendo il pezzo del secolo nella sala stampa del carcere da cui è evaso il condannato a morte. Prima pagina, qui alla sua seconda versione, è un gioiello di umorismo dissacrante e di ironia, che legge l’altra faccia, quella truffaldina, della passione impegnata di Murrow. Si fuma alla disperata anche qui, dove tutto è sarcastica lettura della missione del giornalismo, compresa la sottolineatura della cialtroneria che non nasconde un certo accenno di realismo. Mondi paralleli che si incontrano all’infinito, avvolti nelle spire del fumo.
Allora era quasi una traspirazione dell’anima: sapeva sottolineare sensualità, erotismo, eleganza nel gesto di accendere una sigaretta a una donna, con la prossimità che il piccolo fuoco dell’accendino o del fiammifero richiede. È il primo passo verso una complicità che ha un sottinteso erotico, una promessa. Cary Grant, la figura più affascinante del cinema vorrei dire di ogni tempo, in Intrigo internazionale accende una sigaretta alla fascinosa bionda con cui flirta sul treno per Chicago; Hitchcock, così analitico nel leggere i sottintesi della sensualità, costruisce la sequenza precisa dei gesti: le labbra di lei che accolgono il cilindretto bianco, lui strofina il cerino e si spinge verso la ragazza, che gli prende la mano come per tenerla ben ferma, aspira e quindi soffia sul cerino acceso, sempre tenendo la mano di lui a coppa nella sua. Una sequenza stregata! Ecco cosa ci nega il proibizionismo che è caduto sulle sigarette come un maglio!
Un’eleganza assente, diciamolo subito!, dalle sigarette elettroniche. Questo succedaneo consolatorio, lasciandoci soltanto la percezione nevrotica del fumo, ha ridotto a un mucchietto di cenere il fascino dello strumento sottile che ha illeggiadrito, oltre che intossicato, generazioni di fumatori, E, a proposito di nevrosi, qualcuno ha sostenuto che il fumatore è un individuo che non ha superato il trauma dello svezzamento; perché no?, leggendo così nella sigaretta la sublimazione del seno materno.
È un azzardo parlare con simpatia di un nemico mortale della salute in una società che immagina di prevedere, prevenire ogni male. Lo so e so che, evocando con nostalgia un tempo passato, esco dal seminato del politicamente corretto; chiudo comunque citando un testimone a favore, Anton Cechov e il suo atto unico Il tabacco fa male. Ma vi ricordate il vero tema della conferenza del povero Ivan Ivanovic Njuchin? Ricordate quanto si perda senza mai approdare alla dimostrazione dei danni del tabacco? Chissà! Forse anche Cechov fumava, era malato di tisi e morì a 44 anni.
Capisco che la mia è una pericolosa nostalgia.