Il viaggio sonoro di Manuel Perrone, regista e poeta che vive fra Origlio e Marsiglia, alla ricerca del padre
Non mi capita spesso di ascoltare dei progetti audio che mi coinvolgono con tanta intensità emotiva. Eppure è proprio quello che mi è successo con il podcast Cristo si è fermato a Seveso di Manuel Perrone, vulcanico e inafferrabile autore, attore, regista e poeta, che vive fra Origlio e Marsiglia. Ispirandosi al titolo del romanzo autobiografico di Carlo Levi, Manuel, da poco diventato padre di una bimba, sente il bisogno di riflettere sulla propria storia e di intraprendere un viaggio sonoro alla ricerca di quello che definisce il suo fantasma preferito: quello di suo padre.
La storia della famiglia Perrone è una vera e propria saga: la bisnonna, di nobile famiglia decaduta, attrice e spiritista, la nonna e il nonno di Manuel arrivano in Svizzera come operai per la Knorr di Sciaffusa
È un racconto difficile da definire, perché scarta continuamente fra piani narrativi e formali differenti. Da una parte la vicenda personale di Manuel e di suo padre, «l’Antonio», come lo chiama lui: giovane medico e militante ecologista che aderisce al collettivo di lotta per la salute «Medicina democratica». Dall’altra il lato oscuro dietro all’industrializzazione massiccia e all’ottimismo che l’accompagna, il buio tra i colori sgargianti degli oggetti di plastica che invadono il mercato: una commistione di sete di profitto e assenza di scrupoli della quale il drammatico incidente di Seveso – con la sua fuga di diossina – diventa spunto narrativo e simbolo.
La storia della famiglia Perrone è una vera e propria saga: la bisnonna, di nobile famiglia decaduta, attrice e spiritista, la nonna e il nonno di Manuel arrivano in Svizzera come operai per la fabbrica Knorr di Sciaffusa; si trasferiscono poi in Ticino, per lavorare alla Saica, la fabbrica di imballaggi di Bellinzona. È qui che li raggiunge anche il figlio Antonio, il quale più avanti, per poter frequentare gli studi di medicina a Milano, si trasferisce a Chiasso, in via Soldini, a pochi metri dallo scambio merci della stazione di confine. Mentre Antonio frequenta l’università, lascia un insolito compito ai figli: osservare con il binocolo, dalla finestra della cucina, i treni in transito, e prendere nota del numero identificativo riportato sui vagoni bianchi con la riga arancione, quelli che trasportano sostanze chimiche pericolose: «Noi, cow-boy pre-puberici, dalla nostra collina a controllare i pascoli di vagoni sospetti».
Il padre di Manuel si interessa in prima persona del trasporto ferroviario di materie prime pericolose, non sempre dichiarate, portando avanti una campagna per mettere in guardia la popolazione sui rischi che queste sostanze portavano con sé. Fondatore di un movimento ecologista, nel 1989 scrive un libro-denuncia intitolato Un treno che non scoppia di salute, libro di cui alcune copie sono conservate ancora nei magazzini della biblioteca cantonale. E come in una profezia che si auto avvera, Antonio Perrone si ammala giovanissimo di cancro ai polmoni, uno specifico tipo di tumore che potrebbe essere riconducibile all’inquinamento, ma che è impossibile ricollegare a un episodio puntuale. Sullo sfondo il Mendrisiotto che era, ed è, una delle regioni più inquinate della Svizzera. L’autore, durante le sue ricerche negli archivi della RSI, scopre un’intervista al padre. Il giovane medico racconta di non aver mai fumato e di non avere altri fattori di rischio, e denuncia: «Ho un solo elemento che può generare sospetto, ho abitato per molti anni a Chiasso» proprio vicino a quei binari dove transitavano, un paio di volte a settimana, «quasi cinquantamila chili di cloruro di vinile». Accuse che creeranno sdegno e riprovazione nelle autorità cantonali. «Di mio padre ricordo molte cose, soprattutto dettagli, ma non mi ricordavo la sua voce», racconta Manuel, scavando nella propria memoria. Voce che invece noi, ascoltatori di questo densissimo racconto, impariamo a conoscere grazie ai frammenti audio riscoperti. L’autore in questo lavoro ricorda affettuosamente «l’Antonio»: i capelli (prima lunghi, come si usava in quegli anni, e poi spariti a causa della chemioterapia), il naso prominente, che l’autore del podcast riconosce anche sul proprio volto. E poi ci racconta le crisi epilettiche, che sopraggiungono proprio mentre tutta la famiglia è riunita a guardare Indietro tutta di Renzo Arbore, ogni volta che, sul vecchio televisore a tubo catodico un’interferenza crea «la nebbia». Fino all’ultimo mese di vita del padre, a letto, con le gambe in cancrena, a leggere con i figli, di nove e undici anni, Aspettando Godot di Beckett, pièce che in questo podcast prende vita grazie alla voce di un gruppo di attori.
Mentre i treni corrono accanto a Casa Perrone, un secondo binario narrativo attraversa la storia delle industrie pericolose e inquinanti. Il benessere dell’Europa del dopoguerra, creato anche dalla crescita rapidissima dell’industria, dall’ottimismo generato dall’industrializzazione massiccia, dai consumi, stride con le preoccupazioni legate all’ambiente e allo smaltimento più o meno legale dei rifiuti. «La mafia è la gemella trisomica del capitalismo, quella che si tiene in cantina» dice Manuel, raccontando dalla centrale nucleare di Sessa Aurunca in provincia di Caserta, costruita a pochi chilometri dalla casa natale della famiglia, nel bel mezzo della «terra dei fuochi». Vengono ricordati i bagni estivi durante le vacanze alla foce del Garigliano, proprio dove il fiume si gettava nel mare dopo essere passato nel bel mezzo della centrale, per raffreddarne il reattore. Qui l’acqua si diceva avesse il potere quasi miracoloso di curare le verruche alle mani in maniera più efficace del cortisone. E il racconto autobiografico ci riporta con regolarità al disastro di Seveso: a quel 10 luglio 1976 quando, a soli trenta chilometri dal confine svizzero, una fuga di diossina, «il veleno più tremendo del mondo», venne tenuta nascosta per giorni alla popolazione locale dagli industriali svizzeri dell’ICMESA di Meda. L’incidente, causato forse dal tentativo di far rendere il più possibile un impianto industriale già sotto pressione, ancora oggi è considerato dal «Time» l’ottavo peggior disastro ambientale della storia. L’incidente provocò tra l’altro l’inquinamento di centinaia di migliaia di tonnellate di terreno, e una grande inquietudine nelle donne in gravidanza: il pericolo di veder nascere bambini malformati scosse l’intera popolazione. Fu anche a seguito di questo incidente che in Italia si iniziò a discutere di una legge che garantisse la possibilità di accedere all’aborto terapeutico, fino a quel momento vietato, e oggi rimesso in discussione in molti Paesi europei: «Quando finisce il medioevo, e quando ricomincia?» si chiede Manuel.
Il podcast mescola con coraggio ricordi personali e collettivi, audio d’archivio, brani pop, passaggi biblici e caroselli pubblicitari. È un susseguirsi di sorprese, di momenti intimi e pubbliche accuse, di ricordi delicati e immagini forti. «Quei feti sono quasi miei coetanei, che oltre alla paura di vederli nascere malformati, si sottintende la paura di offrirgli quel mondo così apocalittico. I figli della diossina siamo noi». Momenti lirici e poetici, a volte quasi surreali: la Genesi, remixata sulla base di The Final Countdown degli Europe.
È possibile ascoltare questo podcast – prodotto da Francesca Giorzi per il settore Audio Fiction e sonorizzato da Thomas Chiesa – sul sito della RSI e sulle principali piattaforme di streaming.