Indo-Pacifico: il mandato del premier giapponese e quello del presidente Usa giungono al termine. Cosa potrebbe cambiare
Il 21 settembre scorso, seduti attorno a un tavolo rotondo nella città di Wilmington, nello stato americano del Delaware, c’erano quattro dei leader più importanti per la stabilità e le alleanze strategiche dell’occidente nell’area dell’Indo-Pacifico. Ospiti del presidente americano Joe Biden, il primo ministro indiano Narendra Modi, il primo ministro australiano Anthony Albanese e il primo ministro giapponese Fumio Kishida si sono incontrati per il sesto summit dal 2021 del Quad, il dialogo quadrilaterale di sicurezza fra Stati Uniti, Giappone, India e Australia. Come da prassi, per dare il via al vertice, Biden, Modi, Albanese e Kishida hanno fatto i saluti introduttivi alla stampa, prima che le porte si chiudessero a occhi e orecchie indiscrete. Solo che poi è successo qualcosa: mentre i giornalisti uscivano dalla sala delle trattative politiche, qualcuno ha lasciato il microfono di Biden aperto.
Non sapremo mai se è stato un errore voluto oppure no, ma il presidente americano, di fronte ai suoi tre più strategici alleati dell’Indo-Pacifico, ha preso la parola con una dichiarazione forte e chiara: «La Cina continua a comportarsi in modo aggressivo, mettendoci alla prova in tutta la regione, e questo vale per il Mar cinese Meridionale, il Mar cinese orientale, la Cina meridionale, l’Asia meridionale e lo Stretto di Taiwan», ha detto Biden. E ha proseguito parlando del leader cinese, Xi Jinping, che secondo l’ormai ex candidato del Partito democratico alle elezioni americane di novembre starebbe cercando «di comprarsi un po’ di spazio diplomatico, a mio avviso, per perseguire aggressivamente gli interessi della Cina», mettendo l’Occidente e i suoi alleati alla prova «su diversi fronti, anche su questioni economiche e tecnologiche». Poi Biden ha aggiunto che «un’intensa competizione richiede un’intensa diplomazia». I giornali critici dell’attuale amministrazione americana l’hanno trattata come l’ennesima gaffe del presidente Biden, ma in realtà la Casa Bianca e gli stessi giornali giapponesi hanno minimizzato: è esattamente questo che, da sempre, sia Washington sia Tokyo stanno cercando di promuovere nelle relazioni con la Repubblica popolare cinese. Competizione, attenzione alle tattiche rapaci, e dialogo. Nessuna dichiarazione avrebbe potuto essere più efficace per descrivere la politica estera con la Cina portata avanti non solo dalla Casa Bianca di Biden, ma anche dal Governo giapponese di Fumio Kishida, giunto ormai al termine. La più recente riunione del Quad, infatti, è stata l’ultima del presidente americano Joe Biden, ma è stata l’ultima anche per il premier Kishida, una figura che ha trasformato la politica estera giapponese e il sistema delle alleanze nell’area dell’Indo-Pacifico. E negli ultimi tre anni le storie politiche di Biden e Kishida si sono intrecciate più di quanto si potesse immaginare.
A metà agosto scorso, Kishida ha annunciato a sorpresa che non avrebbe concorso per un secondo mandato quando alla fine di settembre sarebbe finito il suo mandato triennale alla guida del Partito liberal democratico, che nel sistema istituzionale giapponese significa di fatto rassegnare le dimissioni. Da tempo ormai l’indice di gradimento del primo ministro era in caduta libera a causa di diversi scandali interni al Partito liberal democratico, che in Giappone è al potere ininterrottamente sin dal 1946 (a parte qualche breve parentesi di governo di partiti più progressisti).
L’eredità di Shinzo Abe
Di stampo conservatore, e costruito da un gran numero di fazioni interne, il Partito liberal democratico ha così di fatto eliminato quello che secondo l’opinione pubblica era il volto più rappresentativo degli scandali, assicurandosi un nuovo boom di consensi grazie a un nuovo leader. Eppure fino a qualche tempo fa, e non solo dagli osservatori internazionali, Kishida era considerato uno dei principali eredi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, assassinato l’8 luglio del 2022 durante un comizio. Pur non facendo parte della fazione di Abe, particolarmente conservatrice e nazionalista, Kishida aveva lavorato a lungo con Abe come suo ministro degli Esteri, e poi era tornato a tessere le fila della diplomazia dentro al partito, in attesa della sua occasione per prendersi la leadership. Era arrivata nel settembre di tre anni fa, quando era stato votato con una sottile maggioranza ed era diventato così anche primo ministro, con l’ingrato compito di risollevare il Paese dopo il Covid e rilanciarne il profilo anche dal punto di vista turistico. Ma non tutto è andato secondo i piani: a livello economico, Kishida ha provato a lanciare la politica del «nuovo capitalismo», che però, brand a parte, non è mai davvero decollata. Per i giapponesi, in politica interna l’Amministrazione giapponese di Kishida non ha dato rassicurazioni. Ma al contrario, sul piano della diplomazia internazionale, è riuscito a far tornare il Giappone a contare.
Sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, il governo Kishida ha deciso di allinearsi completamente sulle posizioni dell’Occidente. Non era scontato: il Giappone aveva diversi negoziati aperti con Mosca sui cosiddetti Territori del nord o Isole Kurili, amministrate dalla Russia e di cui Tokyo rivendica la territorialità. Nel 2014, ai tempi dell’invasione russa della Crimea, il Giappone di Shinzo Abe era stato particolarmente tenero con il presidente della Federazione russa Vladimir Putin proprio in virtù di quei negoziati.
Ma Kishida ha parlato di quella decisione di cambiare rotta alla diplomazia giapponese: «La Russia di oggi è la Cina di domani», ha ripetuto spesso nei vertici internazionali sottolineando l’idea di un rafforzamento preoccupante dell’alleanza fra le autocrazie. Col tempo, Kishida ha rafforzato il suo rapporto non solo con Joe Biden, ma con quasi tutti i leader occidentali e perfino con il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, con il quale ha ristabilito relazioni diplomatiche amichevoli, anche sul piano della Difesa comune.
Recentemente l’aviazione giapponese ha dovuto usare razzi di avvertimento contro un aereo spia russo che aveva violato il suo spazio aereo. Poco prima, una flotta congiunta di navi da guerra cinesi e russe aveva navigato intorno alle coste settentrionali giapponesi. Le provocazioni russo-cinesi – diplomatiche ma anche militari – aumentano di giorno in giorno e il governo Kishida è riuscito finora a evitare un’escalation. Il prossimo capo del Governo, a Tokyo, dovrà gestire questo con un’Amministrazione americana imprevedibile, guidata da Kamala Harris o da Donald Trump.
La sfida principale è riuscire a mantenere la leadership di una nuova geografia di alleanze senza colpi di testa, dialogando con la Cina ma mantenendo ferma l’opposizione al bullismo e alle provocazioni. Non è scontato che il prossimo capo del Governo a Tokyo ci riesca.