L’attuale collettiva alla Fondazione Rolla di Bruzella, dal titolo Scenescape, si configura immediatamente come un’esposizione singolare soprattutto per la scelta del soggetto, ovvero quella di un paesaggio senza un’eredità pittorica, senza un risultato estetico immediato, perlomeno al primo sguardo. Essa infatti cerca di elencare luoghi anonimi ma, in qualche modo, nobilitati dallo sguardo del fotografo, colui che è capace di definire una nuova idea di bellezza.
Si sono seguite le tracce, visive e concettuali, del fotografo americano Robert Adams (1937), capostipite e rappresentante di una nuova tendenza della fotografia contemporanea, il cui inizio viene fatto coincidere con la mostra del 1975 alla George Eastman House, The New Topographics. Lo stesso autore, amico della Fondazione, è presente in mostra con quattro straordinarie immagini, tra cui un notturno. Dello stesso gruppo legato alla storia esposizione è presente anche un’immagine dell’artista Lewis Baltz (1945-2014).
Veniamo agli altri artisti in esposizione: il comasco Fabio Tasca (1965), autore anche di un saggio introduttivo, già presente in diverse personali e collettive, presenta una lettura di alcuni paesaggi ai margini, paesaggi di frontiera, periurbani secondo una serie di criteri di indagine che si propone a ogni serie di immagini.
Giuseppe Chietera, suo compagno di ricerca in numerosi progetti di carattere topografico (1966), continua la sua inchiesta intorno ai territori del Locarnese, trovando nelle sue immediate vicinanze – come da lezione di Robert Adams – i soggetti, le inquadrature capaci di esprimere una propria visione del paesaggio antropizzato in una luce, e con delle scelte di colore che riecheggiano il punto di riferimento di tutta una fotografia di paesaggio contemporaneo italiana: Luigi Ghirri. Anche Phil Rolla (1937) ripropone nuovamente delle immagini del suo archivio (come quella nella foto scattata a Madrone) risalenti agli anni Settanta, riguardanti una California natia e sconosciuta, un luogo di transito, popolato non dall’uomo ma da auto abbandonate.
Come di consueto, sono presenti immagini di grandi autori della storia della fotografia: un’immagine oblunga sulle dighe della Francia di Josef Koudelka (1938), il ceco Josef Sudek (1896-1976) e il recente premio svizzero della grafica, Luciano Rigolini (1950).
Le fotografie possono riguardare ammassi anonimi di materiale di scavo – scelti come espressione di pura forma – come nel caso di Vincenzo Castella (1952) oppure trasparenze di un luogo sfumato e indefinito, descritte da poche linee di profilo, raccolte durante un viaggio in Cina dall’artista Francine Mury (1947). Si può persino arrivare al grado zero del soggetto, la linea dell’orizzonte tra cielo e mare nelle sue infinite declinazioni, in mille luoghi diversi, di uno dei più grandi fotografi e artisti contemporanei, Hiroshi Sugimoto (1948).
Nuove presenze e nuove proposte nelle sale sono due autrici, Aline d’Auria (1982), videoartista romanda e ticinese di adozione, e Linda Fregni Nagler (1976), che si rivela e sorprende per la sua interessantissima prospettiva di utilizzare, riprodurre e riordinare in una nuova cornice di senso delle fotografie storiche della sua collezione. Chiude l’esposizione collettiva uno scatto di rara malinconia urbana, con una figura di spalle, opera di Igor Ponti (1981) – un luogo che nel frattempo, a Molino Nuovo, è già scomparso.
Nell’insieme, quindi, una collettiva che si presenta agli antipodi dall’immaterialità e dalla resa estetica del paesaggio in voga nei media digitali odierni, così invasive e ossessive nel quotidiano: quelle che uno dei pensatori più influenti del nostro tempo, Byung-chul Han, chiama le «non cose», proprio prive di quella materialità, di quell’essere frutto dell’esperienza fisica. In breve, il gruppo di immagini scelto da Phil Rolla si impone per la sua tensione morale verso una concretezza fisica.