Gli animali sono meglio degli umani?

Le sezioni di Svizzera e Lichtenstein dell’UNHRC (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) hanno lanciato appelli per raccogliere fondi a favore dei sudanesi, da oltre 18 mesi in emergenza alimentare. Dieci milioni di persone nel Nord del Paese lottano per la sopravvivenza.

Più dell’allarmante richiesta di aiuti, ad attirare la mia attenzione sono stati alcuni sbalorditivi commenti su Facebook che dicevano, più o meno: «Io faccio beneficenza solo per gli animali, che sono molto meglio degli uomini». Inizialmente ho provato rabbia, poi ho cercato di riflettere. Lasciamo perdere lo sprezzo per gli umani affamati che, evidentemente, per questi signori valgono meno di orbettini, libellule o criceti.

E non entriamo nel doloroso capitolo degli animali sfruttati e maltrattati: meritano tutta la nostra attenzione e sensibilità. Chi fa soffrire un animale è un pessimo umano. Ma questo aut aut inquieta: o aiuto gli animali o aiuto gli esseri umani. Com’è possibile ragionare così?

Il problema è profondo: nel comune sentire l’idea della superiorità – diciamo così «morale» – degli animali è molto radicata.

Meglio loro di noi, quindi? La domanda è sbagliata in partenza; non siamo paragonabili. Vero che anche quella umana è una specie animale, ma con caratteristiche uniche. Gli uomini possono essere buoni o cattivi; le bestie no, seguono l’istinto, il programmino interno dell’hard disk predisposto dalla natura o da Dio (per chi ci crede). «Sanno» come comportarsi in ogni situazione, perché c’è in loro una voce che li spinge a fare, invariabilmente, ciò che nell’economia della propria esistenza è più utile o necessario: cacciare o nascondersi, procreare o sottomettersi al capobranco. Il tenero agnellino che bruca nel prato non è migliore del lupo che cerca di mangiarlo: ognuno segue semplicemente le leggi iscritte nella propria natura. Siamo noi umani che possiamo decidere di deviare dal programmino dell’hard disk, perfino a nostro svantaggio, se riteniamo che ci sia un valore superiore a cui vale la pena di sacrificarsi.

Così, le bestie non deludono mai, al massimo possono spaventarci; nessuno può colpevolizzare lo squalo perché sbrana il piccolo di delfino. A volte ci inteneriscono, ma tendiamo a fraintenderle: magari si strusciano su di noi per fame, non per affetto. Molti le trattano come «bambini» anche quando non sono cuccioli. Povere bestie! Sono intelligenti, a modo loro, soprattutto alcune specie: cavalli e scimmie, per dire. Ma almeno in questo, l’intelligenza, di solito la maggior parte di noi li batte.

Di sicuro, rispetto ai nostri simili, sono più «comodi» da gestire. Se metti un felino sulla trapunta, gli servi crocchette al salmone e lo lasci ronfare tra le tue lenzuola, è statisticamente probabile che non rompa le scatole. L’animale non ti contesta, non ti risponde, non lascia le calze sporche sul pavimento, non ti manda a quel paese.

Noi, invece, siamo infidi, ingrati, egoisti. Siamo le bestie più dannose: avveleniamo il pianeta su cui viviamo. Da quel lato, a dispetto del QI, siamo una specie imbarazzante. A giudicare dai tg, molti di noi sono temibili mostri: rubano, uccidono, umiliano, violentano, affamano. Ma allora li definiamo «dis-umani». E sono, crediamo, una minoranza. In numerosissime persone brilla la luce calda della bontà, della generosità, della capacità di aumentare la felicità del mondo, uomini e bestie compresi.

Anche per gli umani è un attimo cadere dalla parte delle vittime. Date i soldi a chi volete, ma se non solidarizziamo noi con questa specie di esseri altamente imperfetti alla quale, volenti o nolenti, apparteniamo, chi lo farà? Gli ermellini, i paguri, le termiti, le carpe?

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