In dialogo con l’autunno

In questi giorni l’autunno ha iniziato a mostrarsi nella luce degli alberi e a sorprenderci con profumi e colori nuovi e cangianti, in qualche modo sempre inattesi, proprio come la meraviglia che da sempre riesce a suscitare in noi. Spesso ci ritroviamo sospesi tra la gratitudine per la sua bellezza e la nostalgia per tutto ciò che lascia andare come in un tramonto, sullo sfondo del suo sbocciare.

L’incontro con le nostalgie dell’autunno si esprime con delicatezza in queste parole del poeta Vincenzo Cardarelli: «Autunno. Già lo sentimmo venire / nel vento d’agosto, / nelle piogge di settembre / torrenziali e piangenti / e un brivido percorse la terra / che ora, nuda e triste, / accoglie un sole smarrito. / Ora che passa e declina, / in quest’autunno che incede / con lentezza indicibile / il miglior tempo della nostra vita / e lungamente ci dice addio».

Sono parole che raccontano il divenire del tempo nella profondità delle sue durate e dei suoi passaggi: la lentezza di ogni cominciamento, la lentezza di ogni attraversamento, e quella melanconica del congedarsi.

Ma l’autunno può evocare anche la gioiosa gratitudine per una pienezza rigogliosa, proprio come ricorda l’etimo della parola. La radice latina augere, aumentare, parla infatti di una stagione ricca di frutti e generosa nel raccolto. Ecco allora i bellissimi versi di Emily Dickinson: «Sono più miti le mattine / E più scure diventano le noci / E le bacche hanno un viso più rotondo, / La rosa non è più nella città / L’acero indossa una sciarpa più gaia, / E la campagna una gonna scarlatta. / Ed anch’io, per non essere antiquata, / Mi metterò un gioiello».

In queste splendide immagini nessuna nostalgia, ma al contrario il risuonare della meraviglia per quel «di più» che la sorprende ovunque, riempito di gratitudine verso paesaggi che si lasciano accogliere come se nascessero per la prima volta, e con loro anche noi. «Mi metterò un gioiello»: così Emily Dickinson vive il dono di questo intimo, e prezioso, incontrarsi.

Prezioso come l’invito rivolto a ciascuno di noi a lasciarsi sorprendere e lasciarsi toccare da questo incontro. Un incontro che rimane troppo spesso straniero ai nostri occhi: quasi sempre guardiamo fuori, osserviamo la natura che ci circonda solo per contenerla nello sguardo, solo per addomesticarla, per renderla un panorama, un arredo piacevole e accogliente ma in qualche modo distante e muto, incapace di metterci in contatto con l’intima coscienza del nostro abitare la vita.

Abituati a vivere ogni esperienza in tempo reale, a camminare dentro un eterno presente, sulla superficie di un tempo senza profondità, anche l’autunno, come ogni passaggio, diventa un invito a stare in ascolto di quel sentire che scandisce silenzioso il ritmo delle nostre giornate, un invito a stare in ascolto della verità dei suoi battiti. Autunno diventa allora la rivincita del tempo, di un tempo soffocato che ritrova nei suoi passaggi e nei suoi paesaggi il respiro più autentico: non solo grazie alla voce dei poeti ma anche, forse soprattutto, nell’incanto del nostro sguardo.

Ma altri inviti ancora sono custoditi per noi nelle atmosfere autunnali e nei suoi paesaggi, quando riusciamo ad accoglierli. Penso a quel giorno, ormai imminente, in cui tutte le foglie saranno cadute, a quella mattina in cui all’improvviso anche il tronco dell’albero a me più familiare mi si presenterà nudo nella sua solitudine, infragilito nella sua imponenza, ma rivestito di altra bellezza. In quel momento, qualcosa verrà come a suggerirmi il valore del saper lasciar andare. Il valore di non trattenere ciò che già abbiamo imparato a vedere e quello di esporci al non ancora visto, capaci di attendere l’inatteso e di scoprirvi il dono di volti impensati della realtà.

Qualcos’altro ancora viene poi a suggerirci quel tronco che, pure lui, nella sua solitudine, inizia a esporsi all’attesa: forse un invito a imparare a riconoscere gli intrecci silenziosi dei tempi del morire con quelli dell’attesa di nuove fioriture.

Mettersi in ascolto dei risvolti più intimi dei passaggi del tempo non significa prendere le distanze dal malessere e dai problemi del mondo, proiettandosi su una specie di nuvoletta poetica. Al contrario, proprio perché oggi viviamo relazioni sempre più virtuali e disincarnate, attraversare alcune atmosfere di quel di più nascosto della vita, coltivarne la grazia, può aiutarci a incamminarci verso forme più autentiche e più armoniose di convivenza e a restare abbracciati alla nostra umanità, anche in questo mondo così poco ospitale.

Related posts

Notizie dall’interno dell’IA

Pensieri canicolari

Dark pattern