Dettaglio di copertina

Isidor Geller, l’uomo che si era fatto da sé

by Claudia

«Nella nostra famiglia non vi sono oggetti trasmessi di generazione in generazione, o cose che raccontano le storie e le vite della nostra famiglia. Mancano essenzialmente per due motivi: la cacciata e le uccisioni. Tutto ciò rende ancora più importanti le storie sopravvissute. E la loro trasmissione».

Quella di Isidor Geller, il cui vero nome è Israel, morto a soli 52 anni il 17 novembre del 1938, è una storia sopravvissuta alla guerra, al nazismo e all’oblio del tempo di cui oggi veniamo a conoscenza grazie al lavoro di ricerca di Shelly Kupferberg, classe 1974, nata a Tel Aviv, cresciuta a Berlino Ovest, giornalista e moderatrice di casa nella capitale tedesca.

Isidor è il suo romanzo d’esordio, uscito in tedesco per il Diogenes Verlag e ora in italiano per Keller Editore con la traduzione di Federica Corecco mantenendo nelle due lingue lo stesso titolo Isidor. Una storia ebraica e la medesima suggestiva immagine di copertina (nella foto) che con il romanzo ha una stretta relazione su cui torneremo più avanti. Intanto Shelly Kupferberg ci dice come tutto sia iniziato per caso. «Cinque anni fa mi chiesero di moderare una conferenza sul tema dell’arte rubata, delle spoliazioni naziste. Preparandomi venni a conoscenza del fatto che i nazisti sottrassero agli ebri seicentomila opere d’arte di cui oggi se ne sono state ritrovate circa quindicimila, una piccolissima parte. Rimasi così colpita e allo stesso tempo irritata da questo dato che decisi di saperne di più. Soprattutto, però, mi vennero in mente i racconti di mio nonno Walter. Mi raccontava sempre di suo zio Isidor che a Vienna abitava in un sontuoso palazzo ed era molto ricco. Mi sono detta che allora anche lui doveva aver posseduto delle opere importanti. Così ho inoltrato una richiesta di informazioni all’Archivio di stato austriaco che mi ha dato conferma di quanto già sapevo, ma nulla sulle opere. Ho iniziato a indigare, prima a titolo personale, poi, man mano che le storie si moltiplicavano e l’esistenza di Isidor si arricchiva di dettagli affascinanti, ho deciso di ricostruire la sua vita e di farne un libro».

Se da un lato, dunque, sono stati d’aiuto gli incartamenti, le foto, i vecchi documenti, le lettere di famiglia risalenti ai primi quarant’anni del secolo scorso che Shelly Kupferberg ha reperito con le sue ricerche, dall’altro sono stati preziosi i racconti in famiglia del nonno Walter che hanno instillato in lei il seme della conoscenza e della consapevolezza che qualcosa o qualcuno prima di lei aveva vissuto una storia importante.

Chi era Isidor e cosa lo rendeva cosi speciale, l’autrice lo rivela subito in apertura: «Lo zio di mio nonno era un dandy. Il suo nome era Isidor. O Innozenz. O Ignaz. In realtà si chiamava Israel. Ma quel nome era troppo eloquente. Quindi, meglio Isidor o Innozenz o Ignaz. Era un arrampicatore, un eccentrico, un parvenu, un multimilionario, a volte un fanfarone, un uomo d’azione e di mondo, era ostinato e pieno d’orgoglio. Come spiegare, altrimenti, la sua ascesa da uno sperduto e misero angolino della Galizia orientale fino al cuore di Vienna, imperialregia capitale, dove divenne Cavaliere del Lavoro e consigliere economico dello Stato austriaco? Come avrebbe altrimenti potuto, partendo da Lokutni – Lokutni vicino a Tlumač, Tlumač vicino a Kolomea, Kolomea vicino a Leopoli – inerpicarsi sin lassù? Fino al giorno in cui persone come lui sarebbero state sterminate».

Da queste poche righe prorompe con forza la particolarità di una storia che fa luce su due aspetti in particolare. Da un lato l’ascesa di Isidor, ebreo della Galizia Orientale, quinto di cinque figli cresciuti con genitori religiosissimi e professanti l’antica ortodossia, giunto a Vienna per studiare all’Università e diventare avvocato.

Dall’altro, la descrizione di una Vienna ricca e pomposa in cui l’antisemitismo si respirava già ben prima del nazismo, capitale votata alla modernità che all’improvviso si trasforma in una trappola mortale per migliaia di ebrei. C’è chi riconosce il pericolo per tempo e fugge. C’è chi, come Isidor, pensa di essere immune perché cittadino modello perfettamente inserito nelle maglie della società e del potere austriaco.

C’è un passaggio del libro che ci aiuta a capire: «Cavaliere del Lavoro, senza figli, Isidor era un anfitrione munifico, amava il lusso e sapeva quel che voleva. E, soprattutto, quel che non voleva. Era orgoglioso della strada che aveva fatto (…) Aveva preso in mano il suo destino, e spesso annuiva tra sé e sé: Sì! Ce l’aveva fatta! Lo corteggiavano, lo consultavano, seguivano i suoi consigli su questioni legali e finanziarie, persino tra le più alte sfere dello Stato. Se si aveva bisogno di un consulente in materia di investimenti, quello di Isidor era tra gli indirizzi più quotati a Vienna. Egli stesso viveva dei generosi interessi che maturavano sul suo capitale. Mai più avrebbe incontrato le difficoltà economiche che aveva conosciuto nella sua infanzia e nella sua gioventù, di questo era certo».

Si resta colpiti anche dalla descrizione del Palazzo in cui viveva e dai suoi arredi: «1935. Come ogni domenica Walter andò a pranzo dallo zio. Nell’elegante Canovagasse, primo distretto di Vienna, proprio dietro il Musikverein e nei pressi di Karlsplatz, zio Isidor occupava un piano del palazzo del barone Eugène de Rothschild. Dieci splendide sale con stucchi e soffitti affrescati. Tappeti persiani ricoprivano il parquet a mosaico. Le maniglie delle porte erano decorate con corone a sette punte. Isidor viveva lì tutto solo, insieme alla sua ricca collezione di opere d’arte. Ogni volta che andava a trovarlo, Walter, all’epoca appena sedicenne, rimaneva incantato dall’elegante arredamento. E dai numerosi libri conservati nella sala di lettura appositamente allestita, tra cui esemplari unici di volumi in latino rilegati in pelle, l’intera letteratura mondiale e prime edizioni di classici francesi e tedeschi. C’era anche una stupenda edizione illustrata in dieci volumi de Le mille e una notte, custodita in una libreria barocca con le vetrinette».

Tra le bellezze di questa storia spicca il rapporto tra lo zio e il sedicenne Walter che pende dalle sue labbra e seguirà le sue orme di avvocato benché il suo sogno siano la letteratura e la poesia. Affascina, invece, la storia d’amore con la bellissima cantante Ilona Hajmássy, di origini ungheresi che scappa da Vienna e diventa una star di Hollywood («Somiglia alla Dietrich, parla come la Garbo, ed è solo una questione di tempo prima che ci sorrida dalle copertine delle riviste patinate» scriveva di lei il “New York Times”»). In generale, quelle ritratte in questo romanzo sono figure femminili di grande forza, come ci racconta Shelly Kupferberg. A partire da Franziska, la sorella di Isidor. «Mi piace dire che questo è un racconto di uomini e donne che si sono fatti da sè, che con le loro sole forze hanno lottato per uscire dal milieu in cui sono cresciuti per nascita e si sono aperti la loro strada. Di Franziska il nonno Walter mi diceva sempre che era una donna orgogliosa che aveva preso in mano il suo destino e le piaceva vestirsi in modo elegante». Il suo vero nome era Fejgale, dalla parola yiddish «uccellino» ma, come Isidor, anche lei cambiò nome. Un’abitudine che Shelly Kupferberg ci spiega così: «Se osserviamo la scena culturale e sociale a cavallo del Novecento vediamo come molte persone famose che avevano nomi ebrei adottano nomi tedeschi come Karlheinz o Hermann. È un elemento sul quale riflettere, un indizio che ci dice come l’antisemitismo fosse già presente prima dell’avvento del nazismo. Si evince molto bene, ad esempio, leggendo la stampa del tempo».

Eppure Isidor pensava, grazie al suo status sociale, alla sua ricchezza, al suo nome tedesco, di essere uno di loro. «La Vienna di inizio Novecento, spiega l’autrice, abbracciava la modernità, il progresso e molti ebrei in Europa videro realizzarsi in questo slancio il concetto di uguaglianza per cui, ad un certo punto, non aveva più importanza da dove venivi».

La storia ci dice tutt’altro, purtroppo, e per gli ebrei che vivevano in Austria al tempo di Hitler ci furono ad un tratto tutte le avvisaglie per capire che la propria vita era in pericolo. Com’è possibile, anche in virtù delle cerchie potenti che frequentava, che Isidor non avesse previsto il peggio come aveva fatto Walter, che per altro lo mise in guardia, e espatriò in Palestina? «Resta un mistero. Credo che non volesse accettare la realtà, non si sentiva chiamato in causa da quanto stava accadendo in virtù di quanto aveva fatto nella sua vita per lo stato austriaco. Nel 1926 entrò a far parte del consiglio di esperti della Commissione per la statistica commerciale nel ministero federale del Commercio e dei Trasporti». Tradito dal suo autista e dalle sue due domestiche che entrarono nelle file del partito nazista, Isidor fu arrestato come qualunque altro ebreo, venne percosso e maltrattato fino ad essere annientato nell’anima e nel corpo. E spogliato di tutto. «Di lui è rimasto ben poco. Soltanto una grande scatola con un servizio di posate d’argento per ventiquattro persone. (…) Le posate sono una muta testimonianza delle aspirazioni alto borghesi di un uomo convinto che nulla avrebbe potuto scalfirlo nel cuore della buona società viennese».

Isidor venne sepolto nel settore ebraico del cimitero centrale di Vienna ed è qui, in questo luogo, che il romanzo si chiude con un’apparizione magica (legata all’immagine di copertina) che sostanzia le parole di Shelly Kupferberg. «Ricostruire la biografia di Isidor mi ha regalato grande gioia. Ho potuto dare alle persone una nuova vita, ho potuto dare loro un posto nella storia».

Bibliografia

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