Perché continua una guerra finita?

by Claudia

Nonostante la sconfitta di fatto Kiev non molla la presa per timore del futuro e guarda all’alleato americano

In Ucraina continua una guerra finita. Finita dal punto di vista strategico, poiché persino i leader ucraini ammettono che, nel breve-medio periodo, i territori conquistati dai russi non sono recuperabili. Di conseguenza l’obiettivo di ristabilire la sovranità di Kiev su tutta l’Ucraina nei confini del 1991 è per ora utopia. È finita anche perché il deficit di uomini, ancor prima che di armi, di cui soffre da tempo l’esercito di Kiev, è tale da rendere impensabile una guerra di lunga durata. La demografia è infatti il punto debole degli ucraini, dato che quasi la metà dei 51 milioni di abitanti censiti nella Repubblica Ucraina del 1991 non esiste più, sia perché rifugiati all’estero sia perché uccisi dai russi (quasi mezzo milione tra civili e militari). Sull’altro fronte Putin ha raggiunto l’obiettivo territoriale minimo: i territori dei quattro Oblast annessi non verranno scambiati con nulla, salvo fosse necessario un piccolo sacrificio per ottenere da Kiev la rinuncia all’adesione alla Nato. Soprattutto, almeno in questa fase, il Cremlino non può permettersi altre grandi offensive senza mobilitare forzatamente altre centinaia di migliaia di soldati, con il rischio di ammutinamenti e fughe di massa.

Un altro aspetto che induce a considerare la partita chiusa è il dato etnico. Oggi i russi occupano territori ucraini, abitati quasi esclusivamente da loro compatrioti o da ucraini costretti ad accettare il nuovo padrone. L’ideale sarebbe l’ammissione dell’Ucraina nella Nato. Probabilità tendente allo zero, nell’immediato futuro ma anche nel futuro prossimo Se si spingessero oltre le linee attuali, gli uomini di Mosca, dove vittoriosi, dovrebbero gestire popolazioni ucraine ostili, inasprite dalla guerra. Perché allora questa guerra finita continua? Perché Zelensky insiste con il suo «piano della vittoria»? Le risposte possono essere multiple. La più ovvia è che accettare la situazione attuale, ammettendo di fatto la sconfitta salvo abbellimenti retorici, significherebbe per Zelensky perdere il potere. In ogni caso, prima o poi nell’Ucraina libera dai russi si tornerà a votare e sarà difficile per l’attuale presidente mantenere la carica. Una ragione più profonda è che non solo Zelensky, ma tutto il popolo ucraino vorrebbe ottenere dagli americani e dagli altri alleati occidentali serie garanzie per la propria futura sicurezza. Sufficienti almeno a scoraggiare eventuali ambizioni ulteriori di Putin.

L’ideale ovviamente sarebbe l’ammissione dell’Ucraina nella Nato. Probabilità tendente allo zero, non solo nell’immediato futuro, ma anche nel futuro prossimo. Sostituire la determinazione di una data di ingresso nell’Alleanza atlantica con una promessa senza scadenze precise sarebbe vissuto come un azzardo. Già nel 2008 Bush figlio era riuscito a convincere i riluttanti partner europei a promettere un orizzonte atlantico all’Ucraina, senza specificare quando ciò sarebbe diventato realtà, con i risultati che conosciamo. Kiev teme che un cessate-il-fuoco lungo le attuali linee di combattimento sarebbe solo temporaneo, consentendo ai russi di raggrupparsi e preparare tra un anno o due la spallata decisiva che li portasse a Odessa se non addirittura alla loro capitale. Infine, il rischio che dopo il congelamento del conflitto gli aiuti finanziari e militari dell’Occidente siano drasticamente ridotti è una prospettiva che renderebbe quasi impossibile l’esistenza a medio termine dello stesso Stato ucraino. La palla a questo punto passa a Washington e Mosca. Solo l’America è accettata dalla Federazione Russa come vero interlocutore per un accordo di pace, o meglio di tregua. E solo Washington può convincere Zelensky, o chi per lui, ad accettare il cessate-il-fuoco. Soluzione certamente sgradita e molto inferiore alle aspettative della leadership ucraina fino a pochi mesi fa.

Motivo per cui decisivo sarà l’insediamento del nuovo presidente americano, abilitato a dirimere la vertenza. È prevedibile che Trump, come ripetutamente promesso, cercherebbe di risolvere la disputa in tempi brevi, contando sul suo rapporto piuttosto speciale con Putin e sulla sua influenza sui destini di Zelensky. In caso di affermazione della signora Harris, tutto resta molto indeterminato, perché indeterminata è l’attuale vicepresidente. In un caso o nell’altro, una parola decisiva spetterà agli apparati americani. I più decisi a congelare la guerra, in attesa di un futuro migliore, sono i servizi di intelligence, in particolare la Cia. Più o meno sulla stessa linea i militari. Refrattari a un compromesso troppo svantaggioso per Kiev sembrano invece i diplomatici. Per tutti vale comunque la difficoltà di vestire da vittoria un’oggettiva sconfitta. Almeno nel breve termine, e nel teatro specifico dell’Ucraina, la Russia potrebbe facilmente indossare l’abito del vincitore. Che poi si tratti di una vittoria molto parziale, se non di una mezza sconfitta, è dimostrato dal fatto che per ottenerla Putin ha dovuto accettare la crescente influenza di Pechino sulla Russia e sulla sua ex area d’influenza centroasiatica. Ma questi saranno i bilanci della storia. L’urgenza oggi è di far finire quella che ormai è diventata una inutile strage.

(Keystone)

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