«È urgente agire subito». Così hanno scritto qualche settimana fa ben quattro associazioni che si occupano delle foreste del nostro Paese, unanimi nel lanciare un allarme in difesa del bosco. Il Gruppo svizzero per la selvicoltura di montagna, la Società forestale svizzera, BoscoSvizzero e l’Associazione dei proprietari di bosco bernesi concordano nel dire che «la rinnovazione delle foreste è più che mai sotto pressione». E questo a causa della selvaggina che da decenni ormai sta ostacolando e persino bloccando «la crescita dei giovani alberi». Sotto accusa, in particolare, l’incremento costante della presenza di ungulati sul nostro territorio. Cervi, camosci, caprioli, cinghiali e stambecchi che per loro natura si cibano delle foglie e anche della corteccia dei giovani alberi, e questo compromette la rigenerazione dei boschi in ampi settori del nostro territorio. Una tendenza sempre più preoccupante, come ci conferma Luca Plozza, ingegnere forestale e presidente del Gruppo svizzera per la selvicoltura di montagna. «In molte regioni del nostro Paese la rinnovazione del bosco è messa a dura prova dalla pressione degli ungulati. Se non si trova una soluzione, a medio e lungo periodo ci saranno delle conseguenze molto negative, con il rischio di mettere a repentaglio la stabilità dei nostri boschi. Penso in particolare all’importante funzione di protezione dai pericoli naturali».
Un problema noto da tempo, ma troppo spesso preso alla leggera dalle diverse autorità cantonali e federali che si muovono in questo ambito. «Il Gruppo svizzero per la selvicoltura di montagna ha segnalato questa tendenza già nel lontano 1992», fa notare ancora Plozza. «Sono trascorsi più di trent’anni e la situazione non è migliorata, anzi è nettamente peggiorata. Nel nostro Paese si sta del tutto sottovalutando questo problema». A detta di questo ingegnere forestale grigionese, tra i motivi all’origine di questa negligenza c’è anche un problema di comunicazione. «È difficile far capire alla nostra società la portata di questi danni, visto che il cittadino comune si accorge solitamente di questi problemi con ritardo, solo dopo decenni. In questo periodo storico la superficie forestale si estende sempre di più. In un contesto del genere è difficile spiegare ai cittadini che il bosco è in difficoltà. E poi occorre anche fare i conti con la forza politica dei cacciatori». Cacciatori chiamati ad intervenire per ridurre le popolazioni di ungulati. Un’attività, chiediamo, che andrebbe intensificata? «Senza l’intervento dei cacciatori il problema non verrà risolto», sottolinea Luca Plozza. «È quindi importante che i cacciatori capiscano l’importanza di avere popolazioni di ungulati adattate all’ambiente. Foresta e selvaggina devono coesistere in giusto equilibrio. Attualmente in molte zone della Svizzera il numero di questi animali va ridotto. Questo compito va però affiancato anche da misure forestali, ad esempio con tagli di alberi in favore proprio dell’attività venatoria». La rigenerazione del bosco passa dunque anche dai cacciatori, secondo il nostro interlocutore.
Tocca davvero a loro incrementare gli abbattimenti di ungulati? Giriamo la domanda a Davide Corti, presidente della Federazione dei cacciatori ticinesi. «Per rispondere a questo quesito è necessario suddividere la caccia in due ambiti distinti. Da un lato c’è la passione venatoria e dall’altro la necessità di regolare gli effettivi di ungulati. Il cacciatore è primariamente orientato a poter svolgere la propria passione secondo principi etici e comportamentali che a volte potrebbero risultare poco compatibili con un prelievo massiccio di ungulati. Ciò non di meno, già da anni i cacciatori si sono assunti questo ruolo». Al classico periodo di caccia alta si aggiunge, ad esempio, la caccia tardo autunnale al cervo. «In Ticino nel 2023 sono stati abbattuti oltre 2500 cervi, di cui quasi un terzo durante le “cacce speciali”», ci dice Corti. «lo stesso dicasi per i cinghiali, e qui va notato che è stato aggiunto anche un periodo di caccia estiva che ha permesso l’abbattimento di oltre mille esemplari in più rispetto agli anni precedenti. Questo per dire che i cacciatori sono consapevoli dell’importanza di un giusto equilibrio in alcune popolazioni di ungulati, in particolare quelle dei cervi e dei cinghiali. I cacciatori hanno sempre risposto con il necessario impegno, anche se alcuni metodi di caccia non fanno del tutto l’unanimità tra i seguaci di Diana». In un ambito in cui il numero massimo di animali da prelevare viene fissato a livello cantonale.
A detta di Corti «negli ultimi anni la caccia ha permesso di raggiungere quasi sempre gli obiettivi posti dalle autorità cantonali». Ma se guardiamo ai prossimi anni come la mettiamo? I boschi e la rigenerazione delle piante potranno contare anche in futuro sul supporto dei cacciatori? «La caccia attira ancora molte persone», sottolinea l’intervistato. «Il numero di candidati agli esami di abilitazione è stabile, se non in aumento. Si tratta di una formazione impegnativa che si protrae per due anni. La maggior parte dei candidati risiede in zone urbane e proviene oggi da un contesto sociale e famigliare che non ha alcun contatto con il mondo venatorio. Questo ci permette di dire che anche in futuro ci saranno i numeri per rispondere alle esigenze di contenimento di alcune specie, anche perché notiamo un aumento dei cacciatori interessati a questo tipo di intervento». Ciò detto, non va dimenticato che gli ungulati possono essere regolati anche in modo naturale, e qui ad entrare in azione è il lupo. «Il lupo ha un influsso sulla presenza e il comportamento degli ungulati, può quindi dare un contributo alla gestione della selvaggina», osserva dal canto suo Luca Plozza. A suo dire, però, per favorire la crescita del bosco e ridurre i danni degli animali occorre fare affidamento soprattutto sull’aiuto dato dai cacciatori. «Diversi studi scientifici hanno appurato che l’espansione notevole del lupo in Svizzera, ma anche in Francia e in Italia del nord, è stata favorita in modo determinante dall’eccessiva presenza di ungulati. Se gli ungulati vengono regolati e adattati all’ambiente, anche la difficile gestione del lupo nel nostro Paese verrà nettamente facilitata». In ogni caso si tratta di un tema da affrontare con decisione, il bosco non è un malato immaginario.