Un gatto nero tatuato dietro il ginocchio

by Claudia

Lo trovano a notte fonda sulla rampa del garage, con le gambe fratturate. È precipitato dal decimo piano. Si stava calando lungo la grondaia: così pensano gli inquilini quando chiamano insieme l’ambulanza e la polizia.

Si sporgono a guardare dai balconi, perché sono un mito i ladri acrobati georgiani, ma non ne hanno mai visto uno. Professionisti e organizzati, colpiscono sempre senza lasciare traccia. Come e perché questo invece sia caduto lo ignorano. Fra la barella, gli infermieri e il lampeggiante vedono solo un braccio tatuato e istoriato come la pagina di un libro e un cranio spelacchiato. Non è giovane. Il che rende la sua ascesa in qualche modo degna di ammirazione. Chi si intende di alpinismo paragona la facciata del palazzo – in realtà una specie di torre – a una parete di quarto grado.

Le impronte digitali rivelano una sfilza di denunce e condanne per lo stesso reato – furto, effrazione, violazione di domicilio. Lo processano che ha ancora le gambe trafitte da viti di titanio e si becca parecchi mesi di prigione, anche perché non collabora e non fa i nomi dei complici che lo hanno mollato a terra, portandosi via il borsone: la refurtiva infatti non viene recuperata. La polizia lo ritiene un delinquente incallito ancor prima dell’espatrio. Al cappellano sembra taciturno, quasi asociale. Lo sorprendono a studiare le mura del cortile, con un’attenzione quasi scientifica. Arrampicarsi ed evadere sarebbe per lui quasi un gioco. Tuttavia non lo fa. Chiede anzi di partecipare alle attività riabilitative e si iscrive al corso di teatro. Mesi dopo, finirà per raccontare alla regista che non gli dispiace stare qualche tempo rinchiuso. Si riposa, impara. La volta precedente, tre anni prima, aveva seguito lezioni di lingua italiana e ora sa scrivere. In Georgia non ha frequentato la scuola. Istituti, riformatorio, strada.

Si chiama Levan. Il medico gli dice che si è sbriciolato le ossa (fratture scomposte) e non camminerà mai più come prima. Non ho bisogno di camminare, ride, cinico, io volo. Appena esce, ricomincia. Non ha mai creato rogne – né ai compagni di cella né alla penitenziaria. Ma solo all’infermiere ha raccontato come mai quella notte, per la prima volta in trentacinque anni da uomo ragno, qualcosa è andato storto. A Levan piace entrare nelle case degli altri, anche perché non ne ha mai avuta una. Osserva. I mobili, i vestiti, il modo in cui gli abitanti dispongono il tavolo, la televisione, le poltrone. Gli oggetti parlano. Nella casa della torre non c’era niente. Chi aveva fatto i sopralluoghi aveva sbagliato a dargli il numero dell’appartamento. Non ci abitava gente coi computer, i gioielli e la cassaforte, ma una vecchia signora con la pelle di carta velina, i capelli bianchissimi – uno scheletrino con la vestaglia a fiori. Dormiva in poltrona, e lui se l’è trovata davanti. Ha frugato in borsa e nei cassetti, cercando almeno i bancomat e la carta di credito, ma la vecchia non li aveva. A parte la fede al dito, neanche un orecchino. Stava perdendo tempo. Poi – acciambellato sul divano – ha notato il gatto. 

Un esemplare da mostra felina – col pelo lungo e gli occhi maligni fosforescenti. I gatti così si vendono bene. Lo ha ficcato nel borsone, ed è sgusciato sul balconcino per iniziare la discesa. Ma il gatto si contorceva, graffiava, miagolava. Era già all’altezza del terzo piano quando le unghie hanno perforato la stoffa e gli si sono conficcate nella gola. Sicché si è sbilanciato, e sono volati giù entrambi. 

Il gatto, illeso, si agitava ancora, quando i suoi complici lo hanno portato via. Levan ha rubato qualunque cosa, e non conosce il rimorso. Però è diventato allergico al pelo dei gatti. E qualche volta si immagina la vecchia signora, che si sveglia la mattina, e il suo compagno e unico bene non c’è più.

La prima cosa che ha fatto quando lo hanno liberato è stato tatuarsi un gatto nell’unico spazio libero della sua epidermide: dietro il ginocchio. È per quel tatuaggio che lo riconoscono, all’obitorio. Coltellate, una lite per il bottino, una resa dei conti. Non si è mai saputo.

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