Il sole si è appena alzato su Piazza San Pietro. Da qui cominciano le visite guidate di tanti gruppi organizzati che vogliono conoscere le bellezze dell’Urbe. Ma da qui comincia anche il nostro viaggio nella Roma dei ticinesi. A partire dal Cinquecento, infatti, la Città eterna è stata casa e bottega per centinaia di maestranze ticinesi decise a portare la propria arte e le proprie conoscenze sulle rive del Tevere: architetti, ingegneri, scultori, scalpellini e operai edili di ogni sorta scesero lungo la Penisola per proporre le proprie abilità agli alti prelati e alle famiglie nobili romane. Tra tutti, alcuni nomi spiccano sugli altri: Domenico Fontana, Carlo Maderno, Francesco Borromini e Carlo Fontana.
La Cupola e l’Obelisco Vaticano
Il nostro viaggio parte, al mattino presto, dal Vaticano per incontrare quello che fu il primo dei ticinesi ad arrivare a Roma: Domenico Fontana. Nato a Melide nel 1543, si trasferì qui appena ventenne per raggiungere il fratello maggiore. Di fatto, Fontana fu l’apripista di quella egemonia ticinese nell’ambito architettonico che a Roma durò per quasi due secoli. Qui, a piazza San Pietro, la sua firma si trova in diverse opere. Fu lui, insieme al conterraneo Giacomo Della Porta, a ultimare i lavori di realizzazione del simbolo del Vaticano: la Cupola di San Pietro. Erano trascorsi ormai 23 anni dalla morte del Buonarroti quando nel 1588 Fontana e Della Porta presero in mano i lavori che terminarono cinque anni dopo.
Di Domenico Fontana è anche la facciata del Palazzo Apostolico che guarda sulla piazza, così come a lui si deve la presenza di un altro simbolo di questo luogo: l’Obelisco Vaticano. Fontana dimostrò una conoscenza della statica senza eguali per l’epoca. Ciò gli permise di innalzare l’obelisco e posizionarlo dove si trova oggi.
La basilica di San Pietro
Per trovare l’opera di un altro illustre ticinese basta dare le spalle all’Obelisco Vaticano e guardare di fronte a noi dove si staglia la Basilica di San Pietro. A inizio Seicento essa versava in uno stato eterogeneo a causa dei tanti rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli. A dare alla Basilica l’aspetto che conosciamo noi oggi è stato Carlo Maderno, nipote di Domenico Fontana.
Nato a Capolago nel 1556, fu presto mandato a Roma dal fratello della madre che nel frattempo era diventato l’architetto di riferimento della città. Nel corso degli anni, Carlo Maderno si fece strada nei cantieri capitolini fino a diventare, nel 1603, l’architetto-capo della Fabbrica di San Pietro. In quella veste, il ticinese si ritrovò a dover compiere il lavoro più importante ma anche più ingrato dell’epoca: finire il lavoro di Michelangelo.
A Maderno si deve, tra le altre cose, l’imponente facciata della Basilica. Nel disegno originale dovevano essere presenti anche due campanili che però non furono mai realizzati per problemi strutturali. La mancata realizzazione di questi due elementi architettonici ha donato alla Basilica la forma particolare caratterizzata da larghezza eccessiva per gli standard estetici dell’epoca.
Siamo già a metà mattinata. Per proseguire il nostro tour nella Roma dei ticinesi bisogna lasciare Città del Vaticano e dirigersi a Piazza di San Bernardo. Il traffico ci ricorda che è l’ora di punta e i cantieri per il Giubileo 2025 non fanno che rendere tutto ancora più caotico. Ma arrivati sul posto è chiaro il motivo che rende questa piazza speciale: due chiese sorelle. Una affianco all’altra, separate da una strada. Da una parte Santa Maria della Vittoria, dall’altra Santa Susanna alle Terme di Diocleziano. Entrambe portano la firma di Carlo Maderno. La facciata della Chiesa di Santa Susanna è considerata il primo esempio pienamente realizzato di architettura barocca.
Palazzo Barberini
Per trovare un’altra opera del Maderno basta spostarsi di 500 metri e giungere a Palazzo Barberini. Oggi sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, la facciata del palazzo è in via di restaurazione. Una cattiva notizia per chi la visita in questi giorni, ma un’ottima notizia per chi lo farà nei prossimi mesi perché potrà godere a pieno del disegno che fece l’ormai anziano Carlo Maderno coadiuvato da un altro ticinese, Francesco Borromini.
Nato a Bissone nel 1599 con il nome di Francesco Castelli, a Borromini fu affibbiato questo soprannome probabilmente per la devozione che aveva per il più grande dei santi lombardi del suo tempo, Carlo Borromeo.
Sia sotto la direzione di Maderno sia sotto quella del Bernini, Borromini realizzerà numerosi particolari costruttivi e decorativi del Palazzo tra cui l’elegante scala elicoidale nell’ala sud. Terminata la realizzazione di Palazzo Barberini, il ticinese di Bissone si spostò di pochi metri per assumere la direzione del cantiere della Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane.
Sulle orme di Borromini
Dopo un pranzo veloce decidiamo di seguire idealmente le orme di Borromini e arriviamo davanti la chiesa per ammirare quel gioco di concavità e convessità delle pareti che crea una facciata dinamica. Facciata in cui trova perfettamente posto, nella nicchia posta sopra al portale d’ingresso, la statua di San Carlo Borromeo realizzata da un altro ticinese: lo scultore Ercole Antonio Raggi di Vico Morcote.
Bisogna spostarsi di oltre due chilometri per raggiungere un’altra, straordinaria, opera di Borromini. Nel primo pomeriggio arriviamo a Palazzo Spada – sede del Consiglio di Stato della Repubblica italiana – per ammirare la Galleria prospettica. Un capolavoro di trompe-l’œil della falsa prospettiva che si trova nell’androne di accesso al cortile. Qui, la sequenza di colonne di altezza decrescente e il pavimento che si alza generano l’illusione ottica di una galleria lunga circa quaranta metri. Nella realtà i metri sono solo otto e la statua che si trova alla fine della galleria che sembra essere di grandezza naturale è alta solo sessanta centimetri.
Palazzo Montecitorio
Lasciamo Palazzo Spada e ci spostiamo in un’altra sede istituzionale della Repubblica. Ormai è pomeriggio inoltrato quando arriviamo a Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei Deputati. Palazzo realizzato in parte da un altro Fontana: Carlo.
Nipote di Domenico, Carlo Fontana nacque a Rancate nel 1638. Si trasferì a Roma in tenera età per imparare l’arte e le tecniche della costruzione e dell’architettura come fatto da altri membri della famiglia. Una famiglia composta, evidentemente, di talenti dell’architettura perché il giovane Carlo non solo riuscì a eguagliare il vecchio Domenico per fama, ma divenne genio ispiratore di tutta la fase costruttiva romana che va dal XVII al XVIII secolo. Le opere di Carlo Fontana a Roma sono davvero tante. Tra queste, la Chiesa di San Marcello al Corso, con la particolare facciata leggermente incavata, la Basilica dei Santi XII Apostoli e la Cupola della Cappella Cybo in Santa Maria del Popolo.
Guardiamo quest’ultima opera dalla Terrazza del Pincio, dove termina il nostro tour. Da qui si vede Piazza del Popolo e, in lontananza, la Cupola della Basilica di San Pietro. Il sole sta per tramontare all’orizzonte. Lo stesso in cui si staglia il Cupolone disegnato da Buonarroti e terminato da Fontana. Lì dove ebbe inizio l’epopea dei ticinesi che fecero bella Roma.
I Maestri dei Laghi
A un certo punto della storia di Roma in tutti i cantieri della città si poteva udire il dialetto ticinese, e una ragione c’è: «La risposta è nelle caratteristiche stesse della committenza pubblica romana dell’epoca», spiega la professoressa Maria Vittoria Cattaneo, ricercatrice al Politecnico di Torino ed esperta nelle vicissitudini delle maestranze ticinesi in Italia tra il Cinquecento e l’Ottocento.
«La committenza di quest’epoca (papale, aristocratica o ecclesiastica) spingeva per avere il pieno controllo di ogni aspetto decisionale del cantiere. Una volontà di controllo accentrato che trovava degli operai perfetti in quelli che oggi chiamiamo ticinesi», spiega la docente.
Erano due i fattori che rendevano i professionisti ticinesi dell’epoca perfetti per questo tipo di richieste. Il primo, l’organizzazione del cantiere su base famigliare. I Maestri dei Laghi che giungono a Roma provengono da famiglie in cui tutti o quasi tutti i membri operano nell’ambito edile. Dai semplici manovali alle menti più brillanti, questi si uniscono e creano piccole imprese edili ben strutturate all’interno delle quali è possibile ritrovare professionisti abili nei diversi ambiti. Questa organizzazione non solo garantisce che il lavoro sia svolto bene e in tempi piuttosto ristretti, ma soprattutto permette alla committenza di mantenere facilmente il controllo sui lavori del cantiere.
Una seconda caratteristica riguarda la formazione: «A differenza di architetti, capimastri e manovali provenienti da altri luoghi, i ticinesi quando arrivavano a Roma facevano sfoggio di una buona formazione di base che era stata garantita loro in patria», spiega Cattaneo. Gli edili ticinesi della Roma papale del Cinquecento e del Seicento sapevano leggere, scrivere e far di conto (competenze non scontate per l’epoca) e soprattutto avevano dei buoni rudimenti di disegno e di geometria. Competenze che li ponevano al di sopra dei «competitor» locali.
Se è chiaro, dunque, perché pontefici e aristocratici romani si affidavano ai ticinesi per le grandi opere dell’epoca, bisogna ancora capire perché nella zona che oggi chiamiamo «Canton Ticino» si crearono le condizioni per sfornare nomi come Fontana, Borromini e Maderno.
«La prima considerazione da fare e che per ogni Fontana che fece la storia dell’architettura, a Roma c’erano migliaia di altre maestranze e altri lavoratori provenienti dalla regione dei laghi, di cui oggi magari non ricordiamo il nome ma che contribuirono enormemente alla creazione della buona reputazione dei ticinesi. La seconda considerazione da fare è che ciò che abbiamo detto fino a questo momento non vale per tutto il territorio che oggi è il Ticino ma di una parte di esso: la zona del Sottoceneri», afferma Cattaneo.
La tendenza all’emigrazione era tipica di tutto il territorio (perché esso non era in grado di offrire le condizioni per una vita agiata a tutta la popolazione), ma in questa zona si crearono le condizioni per una specializzazione nell’ambito edile e la creazione di una «emigrazione specializzata».
I primi «svizzeri» che dal Sottoceneri emigrarono a Roma dovettero riportare in patria una consapevolezza: i lavoratori più preparati avevano più possibilità di farcela. Così in quei luoghi si creò una prassi che prevedeva una buona formazione in giovane età e l’espatrio verso i vent’anni.
Formazione, creazione di imprese su base famigliare e organizzazione dei cantieri con diverse competenze fecero sì che i ticinesi fossero egemoni nei cantieri romani fino a tutto il Seicento, poi accadde che «da un certo momento del Settecento, in Italia, si iniziò a creare un tipo di percorso formativo codificato attraverso le accademie e le università», spiega Cattaneo. «Ciò portò a sistemi di ingaggio differenti basati non più sulle caratteristiche delle imprese ma su quelle dei singoli professionisti che per operare necessitavano di formali attestati che, come accade oggi, si acquisiscono dopo aver seguito percorsi di preparazione propri per ogni ambito della conoscenza di cantiere». Novità che posero fine all’epopea dei mastri ticinesi a Roma.