La difesa della normalità ucraina e le mire dello zar

by Claudia

Lo storico Karl Schlögel: Putin mette insieme elementi fra loro eterogenei con l’unico obiettivo di restare al potere

«Se vogliamo capire la Russia di oggi, la guerra scatenata dal presidente Vladimir Putin – il 24 febbraio del 2022 con l’invasione dell’Ucraina – e le ossessioni dello zar del Cremlino, dobbiamo prima di tutto cambiare le nostre categorie mentali». Così esordisce il professor Karl Schlögel, uno dei più rinomati esperti di storia russa e dell’Europa dell’est in questa intervista che abbiamo realizzato a Berlino.

Professor Schlögel, di recente è tornato a Kiev. Come ha trovato la situazione?

È incredibile come l’Ucraina continui a lottare per la propria dignità. Ero andato lì per capire se la loro causa fosse ormai persa, avevo infatti dei dubbi, soprattutto a causa dell’umore che regna in Germania. E sono invece tornato fiducioso e persuaso che avrebbero continuato a resistere. Ciò che più mi ha colpito a Charkiv è stata la difesa ostinata della normalità. La metropolitana funziona, le scuole sono aperte, i parchi curati. Una donna mi ha persino detto: «I nostri giardini a Charkiv sono più curati di quelli a Berlino».

Proviamo a entrare nella mente di Putin. Cosa prova lo Zar del Cremlino quando su una carta geografica vede disegnata l’Ucraina?

Lui non ha mai accettato che l’era dell’impero sovietico sia finita, da qui il suo odio per l’Ucraina. No, Putin non vuole lasciare l’Ucraina alla sua autonomia. Ma l’Ucraina altro non esige che esser lasciata in pace e rimettere in ordine il Paese. Per gli ucraini è in gioco l’esigenza di esprimersi e viaggiare liberamente, di continuare in pace la vita di tutti i giorni e di dire addio all’era sovietica. E ciò che l’Ucraina ha oggi di fatto raggiunto, ossia trovare la strada per uscire dall’impero sovietico, la Russia deve ancora raggiungerlo.

D’altronde, per decenni, la storia politica e storiografia dell’Europa orientale è stata letta a partire da Mosca, dai miti dell’Unione Sovietica…

Si potrebbe in effetti dire che l’intera storiografia dell’Europa dell’est, almeno fino all’89, era orientata a Mosca. Dall’angolazione moscovita l’Ucraina non appariva che come un «punto vuoto» nella storia della Russia. Purtroppo vedo che ancora oggi questa prospettiva deformata vale per molti, per tanti esponenti della sinistra estrema, specie di quella tedesca.

Si riferisce a Sahra Wagenknecht e al suo nuovo partito di estrema sinistra BSW?

Sì, anche per Wagenknecht nella storia, politica e cultura esistono solo i tedeschi e i russi. Ritengo scandaloso che ci sia voluta questa atroce guerra per far scoprire, a noi europei, un Paese grande come l’Ucraina, il più grande territorio al centro d’Europa, una Nazione con una sua storia e 40 milioni di abitanti.

Dobbiamo quindi cambiare il nostro modo di leggere la storia se vogliamo comprendere il conflitto in corso?

Sì, abbiamo bisogno di una nuova mappatura mentale dell’est e di affrontare un processo culturale per uscire dalla prospettiva russo-centrica entro cui, nell’Europa dell’est, esiste solo la Russia. Nella generazione dei miei genitori si parlava della guerra tedesca «contro la Russia». Ma quella nazista è stata una guerra contro tutti i popoli dell’ex Unione Sovietica, e i principali campi di battaglia sono stati proprio la Bielorussia e l’Ucraina. È lì che sono stati commessi i crimini più gravi. Sì, sono convinto che questa Ucraina che ora si difende e non si arrende, farà in modo che questo Paese non scompaia più dai nostri radar e mappe mentali.

Abbiamo parlato degli «abbagli» pro-Putin dell’estrema sinistra, ma anche la nuova destra sovranista, da Trump negli Stati Uniti a Salvini, Orban e Marine Le Pen in Francia, risente il fascino irresistibile dell’uomo forte che comanda al Cremlino da 25 anni…

Per un politico come Orban, il fatto che l’Ucraina si affermi come Stato moderno, aperto e democratico, sarebbe una minaccia alla cosiddetta «identità» della Nazione ungherese. Come Putin anche Orban non vuole il risveglio dell’Ucraina in un mondo diverso all’est, più aperto all’Europa e alle libertà. Putin, ancor prima dell’invasione in Crimea, ha di fatto soffocato nelle città russe ogni movimento democratico, eliminato chi chiedeva più libertà e uno stato di diritto. Oggi lui si richiama agli zar Nicola I e Alessandro III, alla trinità del popolo, della fede e dello Stato. Soprattutto a uno Stato forte e prepotente. Anche se il fenomeno Putin va molto al di là di queste tradizioni storiche.

Può spiegarci meglio questo punto?

Oggi dobbiamo riuscire ad accettare tutta la complessità del «putinismo», che non è un’ideologia in sé chiusa e compatta. Putin prende semplicemente tutto ciò che gli serve per mantenersi al potere, mettendo insieme elementi fra loro eterogenei. Alla sua corte, oltre agli elementi della tradizione zarista, ci sono ancora vari aspetti che ricordano o simulano i riti e miti dello stalinismo, come vediamo nelle parate del 9 maggio per celebrare la «Grande guerra patriottica».

Senza dimenticare il continuo flirt di Putin con la chiesa ortodossa…

Esatto. Alla sua corte hanno appreso tutte le arti del potere, dalle più spudorate «fake news» alla più abietta violenza con cui si perseguitano i dissidenti. Ma al contempo ci sono le scene in cui lo zar si esibisce alle funzioni religiose, per presentarsi poi nelle vesti del condottiero stalinista o a un ricevimento con gli attori di Hollywood.  Questo mix inaudito di passato antimoderno e di elementi postmoderni è la grande sfida analitica per comprendere il fenomeno Putin e la sua Russia post-sovietica nel 21. secolo.

Una Russia neo-imperiale, tecnologica e radicalmente cinica, se pensiamo al modo in cui i tg russi raccontano la guerra.

Certo, nella Russia così avanzata tecnologicamente di Putin dobbiamo sottolineare non solo il ritorno alle più brutali pratiche della tortura nelle carceri. Non solo l’uccisione mirata dei dissidenti, ma anche una deleteria propaganda mostrata 24 ore al giorno dalla tv russa. Si resta allibiti davanti alle celebrazioni dei membri della Soldateska, dei soldati che compiono massacri come le stragi di Bukhara e poi ricevono una medaglia al ricevimento di Capodanno. Nemmeno Goebbels aveva mai osato tanto con i suoi sgherri!

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