Nanda Vigo, maestra della luce

by Claudia

Biografia d’artista: donna libera e dal carattere forte, con la sua visione globale dell’arte è stata una delle protagonistedella scena creativa internazionale

Nanda Vigo è stata una delle figure più avanguardistiche della scena artistica italiana e internazionale. Scomparsa nel 2020 all’età di ottantaquattro anni, nella sua lunga carriera ha fatto di sperimentazione ed esplorazione delle potenzialità dei diversi linguaggi il perno attorno a cui far ruotare la propria ricerca. L’approccio della Vigo alla creazione è sempre stato multiforme e cosmopolita, capace di connettere arte, architettura e design secondo una visione personalissima incentrata sul legame tra luce, spazio e forma.

Chi ha avuto la fortuna di conoscere Nanda Vigo, la descrive come una donna dal carattere non facile, talvolta ruvida e fin troppo schietta, rovescio della medaglia del suo temperamento deciso, della sua risolutezza e della sua caparbietà: «Sono nata in una cultura dominata dagli uomini», raccontava. «Non c’era altro modo: o sviluppavi un personaggio forte o niente. E io l’ho sviluppato per amore del mio lavoro».

La sua idea dell’arte come incontro tra diverse sfere creative è già ben radicata in lei sin dagli esordi. Dopo la laurea al Politecnico di Losanna, la Vigo approda alla fine degli anni Cinquanta in Arizona per fare esperienza con il grande architetto Frank Lloyd Wright. A deluderla, però, è proprio l’iperspecializzazione americana, molto distante dalla sua inclinazione allo stretto dialogo tra le discipline.

Quando ritorna a Milano, sua città natale, la Vigo capisce che non deve andare tanto lontano per trovare il terreno più fertile per la sua indagine: l’unicità del contesto culturale del capoluogo meneghino degli anni Sessanta, infatti, brulicante di creatività, è lo scenario ideale per accogliere quella concezione sfaccettata e versatile dell’arte che ha sempre contraddistinto il suo lavoro.

Del talentuoso circolo milanese che la accoglie fanno parte maestri quali Lucio Fontana, Enrico Castellani e Piero Manzoni, quest’ultimo suo compagno fino alla prematura morte nel 1963. Fontana la presenta anche al gruppo Zero, collettivo transnazionale fondato in Germania con cui la Vigo condivide parte della sua ricerca, nel segno di una nozione dell’arte più allargata che si avvale dell’applicazione di procedimenti inediti mediati dalla scienza e dalla tecnica.

Il costante interesse per i nuovi linguaggi spinge l’artista italiana a intraprendere numerosi progetti di prim’ordine volti alla valorizzazione dell’arte (sua è la curatela della leggendaria mostra «ZERO Avantgarde» del 1965, allestita nello studio di Lucio Fontana) e a intessere collaborazioni con molti dei personaggi più significativi del panorama contemporaneo.

Le opere della Vigo sono tutte accomunate da un’essenzialità di elementi e di segni che le rende tanto semplici quanto potenti nel comunicare attraverso un alfabeto fatto di forme primarie e di luce. Senza mai interrompere l’attività prettamente artistica, difatti, la Vigo si dedica alla progettazione nel campo dell’architettura e del design, realizzando strutture abitative e oggetti che riprendono in scala diversa le medesime sperimentazioni. È così che in ogni sua creazione si ritrova una sorta di piacevolezza ludica che si accompagna a un simbolismo spirituale, abilmente fusi tra loro per restituire un’idea di leggerezza e di libertà totali.

Componente peculiare della sua variegata produzione è il medium luminoso. La Vigo, nel corso di sessant’anni di carriera, ha affinato la propria padronanza della luce con l’obiettivo di trattenerla andando oltre la sua immaterialità. «La luce va seguita senza opporre resistenza. Non potrà che illuminarci», sosteneva. Quello che le interessa è indagarne la relazione con lo spazio e gli effetti di rifrazione e di straniamento che può attivare, in un raffinato gioco di coinvolgimento sensoriale dello spettatore. Da qui la predilezione per materiali industriali come vetri smerigliati, specchi, acciaio e alluminio, in grado di riflettere e smaterializzare i raggi luminosi, e per le monocromie del bianco, del blu, del giallo e del nero, capaci di vivificare la presenza della luce.

Quanto per la Vigo la luce sia stata la struttura portante del suo concetto di «arte totale» lo hanno testimoniato le mostre che negli anni hanno omaggiato il suo poliedrico e pionieristico lavoro, come quella allestita nel 2023 al Museo Comunale d’Arte di Ascona, che citiamo, nonostante sia ormai chiusa da più di un anno, perché risulta essere la prima retrospettiva in territorio elvetico dedicata all’artista; una rassegna che ha avuto il merito di ripercorrerne il prolifico cammino creativo attraverso un suggestivo allestimento tematico pensato per coinvolgere il visitatore a livello intellettuale ed emotivo.

Nel suo legare senza soluzione di continuità arte, architettura e design, la Vigo, infatti, ha sempre concepito i propri lavori quali filtri visivi della realtà in cui siamo immersi, dandoci la possibilità di essere partecipi di un nuovo modo di intendere il rapporto tra spazio e materia, intensificandone e spingendone la percezione oltre i limiti del concreto.

In quest’ottica non stupisce che le opere più rappresentative della produzione artistica della Vigo siano i Cronotopi, considerati a buon diritto l’incarnazione della quintessenza del suo modo di intendere l’arte: una situazione esistenziale che consenta di vivere esperienze trascendenti, andando oltre il tangibile per riuscire a intuire una realtà più alta, una sintonia universale. Nati come semplici strutture quadrangolari di metallo in cui sono inserite lastre di vetro che filtrano i raggi luminosi, i Cronotopi (termine preso in prestito dalla scienza e formato dalle parole greche krónos e tópos) si sono evoluti diventando veri e propri spazi immersivi fatti di specchi, neon e materiali traslucidi in cui sperimentare un ambiente totalizzante caratterizzato da una luce pura. Queste opere, così come le altre elaborate negli anni dalla Vigo, ci ricordano che l’arte è sempre stata da lei considerata uno strumento per connettere l’uomo a una dimensione più mistica e contemplativa, un portale per andare incontro all’Assoluto.

Emblematici del piglio radicale e innovativo dell’artista sono altresì i lavori nell’ambito della progettazione architettonica. Ci basti qui citare la residenza Lo scarabeo sotto la foglia, realizzata insieme a Gio Ponti, per cui la Vigo elabora gli interni sotto forma di un ambiente monocromo rivestito di piastrelle e di ecopelliccia grigia, e la Zero House a Milano, un’abitazione con i muri di vetro satinato in cui un sistema di luci al neon altera la percezione dello spazio.

Anche le creazioni nel campo del design non smentiscono l’estrema ricercatezza e l’attitudine alla novità d’intenti del modus operandi della Vigo. Tanti sono i pezzi da lei ideati che sono diventati vere e proprie icone. È il caso, ad esempio, della lampada Golden Gate, concepita nel 1969, il cui led, ai tempi non ancora in commercio, venne acquistato direttamente presso la NASA dall’artista, o della poltroncina Due Più, un oggetto dall’estetica sorprendente ed enigmatica, con una fisionomia unica conferita dall’utilizzo di due rulli che paiono sospesi nel vuoto.

Nella sua ricerca fluida, libera da dogmi e sostenuta dall’insopprimibile ambizione di sfidare l’inedito, la Vigo ci ha regalato una visione dell’arte olistica, capace di travalicare lo spazio e il tempo della contingenza per raggiungere i territori dell’infinito.

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