Chiusa l’ultima centrale basata sull’inquinante fonte di energia, il Paese continua sulla strada della transizione green
Fine di un’era: dopo 142 anni di dipendenza dal carburante fossile il Regno Unito ha chiuso l’ultima centrale termoelettrica a carbone, diventando così la prima grande potenza economica ad eliminare la controversa ed inquinante fonte di energia. L’unico impianto attivo rimasto a Ratcliffe-on-Soar vicino a Nottingham operativo dal 1967 ha infatti serrato definitivamente i battenti. La dismissione ha una valenza simbolica, non solo poiché segna un passo decisivo nel cammino globale verso la decarbonizzazione, ma anche perché proprio la Gran Bretagna aveva avviato la produzione di energia attraverso la combustione di carburanti fossili, con l’inaugurazione nel 1882 a Londra della prima centrale elettrica a carbone al mondo costruita dall’inventore Thomas Edison. Holborn Viaduct – questo il suo nome – aveva portato la luce nelle strade della capitale. Da quel momento fino alla metà del secolo scorso circa quasi tutta l’elettricità del Paese venne generata a carbone. Il carbone era inoltre la principale materia prima durante la Rivoluzione industriale, partita proprio dall’Inghilterra. Serviva come combustibile per la produzione di calore e dunque di vapore per mettere in moto motori. Era usato inoltre per il riscaldamento delle abitazioni. Indubbio dunque il suo ruolo nel grande smog di Londra, la nube di nebbia e inquinamento causata dalla combustione di carburanti fossili che alimentava le fabbriche e riscaldava le case, calatasi sulla città nel 1952 provocando la morte di migliaia di residenti. L’autunno di quell’anno era stato molto freddo, con nevicate in buona parte del Regno. Per fronteggiare il freddo eccezionale i londinesi tenevano perennemente accese le stufe, che all’epoca nel Regno Unito erano prevalentemente a carbone. La stessa parola smog fu inventata nel 1905 dal dottor Harold Antoine des Voeux per descrivere la soffocante aria londinese, fondendo smoke (il fumo prodotto dalle fabbriche e dalle case) e fog, la nebbia. La combustione del carbone è tossica perché sprigiona nell’atmosfera elevatissime emissioni di anidride carbonica, principale responsabile di gas serra, oltre che altre sostanze nocive come mercurio, cromo, arsenico e ossidi di zolfo. Pertanto la progressiva presa di coscienza del grave inquinamento da esso causato ha dato inizio a partire dai primi anni Novanta ad un graduale abbandono del minerale e alla sua lenta sostituzione con il gas, anche se il carbone ha continuato a rimanere un componente chiave della rete elettrica britannica per i due decenni successivi. Basti pensare che fino al 2012 il fossile generava ancora il 39% dell’energia complessiva, mentre nel 2010 solo il 7% derivava da fonti rinnovabili.
Un punto di svolta lo aveva sicuramente impresso nel 2015 il ministro britannico dell’Energia, Amber Rudd, annunciando il piano di porre fine una volta per tutte all’utilizzo del carbone entro 10 anni. Il traguardo non solo è stato rispettato, ma persino anticipato al 2024 grazie alla crescita esponenziale delle rinnovabili che nella prima metà di quest’anno sono arrivate a fornire oltre il 50% dell’energia del Paese. Tuttavia fonti rinnovabili come il sole ed il vento, essendo per loro natura intermittenti, non sono sufficienti per garantire la stabilità delle forniture elettriche. Una tecnologia cruciale in questo senso è rappresentata dalle batterie, purché la loro produzione diventi più sostenibile ed economica. Perché questo accada occorre che il Regno Unito non dipenda più dalla Cina per la produzione di batterie, e importi a questo scopo forza lavoro qualificata. La Gran Bretagna si è prefissa l’arduo obiettivo di azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050. Per raggiungerlo, oltre a dire addio al carbone come già fatto, dovrà anche quintuplicare gli impianti eolici e fotovoltaici e potenziare la produzione di energia nucleare entro il 2035. Tuttavia si stanno profilando alcuni ostacoli lungo la strada. Sulla scia del conflitto in corso sul fronte russo-ucraino, il precedente Governo lo scorso anno aveva deliberato la concessione decisamente poco green di 100 licenze per l’estrazione di gas e petrolio nel Mare del Nord allo scopo di ridurre la dipendenza del Regno dalle importazioni da «Paesi ostili». Secondo dati riportati dalla BBC, inoltre, il riscaldamento degli edifici continua ad essere responsabile di circa il 17% delle emissioni di gas serra nel Paese. Per contrastare questo problema il Governo di Rishi Sunak aveva assunto l’impegno di installare 600mila pompe di calore all’anno entro il 2028 per sostituire i boiler a gas, ma il piano si sta rivelando di difficile realizzazione e inoltre avrebbe dovuto essere accompagnato dalla necessaria e complementare introduzione di requisiti obbligatori di efficienza energetica per le abitazioni, che alla fine è stata accantonata.
Per quanto riguarda il settore dei trasporti (esclusi shipping ed aviazione), che da solo genera quasi un quarto delle emissioni ed è dunque il più inquinante, il divieto di vendere veicoli a benzina o diesel in Gran Bretagna è stato posticipato dal 2030 al 2035. Comunque c’è una nota positiva: secondo i dati forniti dal Climate Change Committee (CCC), organo consultivo indipendente di Whitehall, la vendita di automobili elettriche ha registrato un’impennata. Se nel 2019 rappresentavano solo il 2% dei veicoli venduti, la percentuale nel 2023 è salita al 16,5%, grazie al notevole aumento delle colonnine di rifornimento. La strada della transizione green imboccata dal Regno Unito, seppure con qualche intoppo, pertanto sta cominciando a dare alcuni frutti. Seppure il Paese continui ad utilizzare il carbone per la manifattura dell’acciaio, che produce il 2% delle emissioni del Regno, l’addio all’elettricità generata dal fossile potrebbe indurre altre grandi economie a fare altrettanto. Attualmente sono pochi i Paesi sviluppati che hanno voltato le spalle al minerale. Fra questi l’Islanda, la Svezia, la Norvegia e la Svizzera. Cina, India e Stati Uniti restano i maggiori consumatori al mondo di carbone, seguiti dalla Germania che ancora produce circa un quarto della propria energia attraverso la combustione del fossile.