Uno stimolo per darsi una smossa

Mi sa che qualche libro, forse perché stufo o insofferente della collocazione assegnatagli in una biblioteca, o magari perché insofferente dei suoi vicini di destra e di sinistra, abbia la capacità di cercarsi una più consona sistemazione. Il sospetto mi è nato dopo aver avuto fra le mani un libro – che non stavo cercando – apertosi su pagine che subito mi hanno colpito, tanto da spingermi a metterlo non più nel settore dei racconti, ma in quello della saggistica. Autore e libro beneficiari recenti di una simile «promozione» sono Giuseppe Pontiggia e il suo Prima persona, una tavolozza straordinaria di aforismi e narrazioni proposta una ventina di anni fa con una caratteristica che da sempre prediligo: essere leggibile, e godibile anche, senza seguire un ordine. L’argomento trattato dallo scrittore comasco collimava perfettamente con una riflessione fatta poche ore prima riguardo a un tic diventato ormai una sorta di «tormentone» che mi scatta autonomamente e temo possa essere fastidioso per chi mi sente. Provo a chiarire. L’età, la sedentarietà e altre contingenze a poco a poco stanno moltiplicando i momenti di silenzio, specialmente nella seconda parte della giornata. Così ogni tanto, minimo due o tre volte ogni giorno, mi sfugge un «Ma sì…» che fa scattare anche un immediato riflesso pavloviano: con gli occhi vado a cercare quelli di mia moglie, o di chi è presente in quel momento. Non solo. Fa scattare anche un resoconto di quante volte durante il giorno ho già detto e ripetuto quel «Ma sì…». Se è la prima si sorride; oltre, mi limito ad alzare due o tre dita a mo’ di sottolineatura che in qualche modo funziona anche come scusa per la ripetizione.

Girando attorno a quel tic, dai dizionari non solo ho avuto conferma che il mio «Ma sì…» ha la funzione di porre domande su come potrà evolvere la situazione, ma ho anche scoperto può essere scritto con un «Massì» e soprattutto che è un avverbio. E dire che io l’avevo etichettato come interiezione, parificandola a certe locuzioni improprie o secondarie che è sempre più facile trovare in tanti articoli di giornale (oltre ai tanti e diffusi «Vabbé», su un noto foglio sportivo italiano ho trovato un commento disseminato di micidiali «Pota», la parola dialettale bergamasca, con cui l’autore sperava di dimostrare la sua partecipazione al successo della Atalanta in Champions League!). E mi sbagliavo perché avevo iniziato a collegare il mio «Ma sì…» con l’interiezione evocata da Pontiggia per descrivere quest’«incontro zen» avvenuto ad Acireale tra il 1881 e il 1882: un convoglio ferroviario che trasporta Giuseppe Garibaldi si ferma alla stazione della città siciliana, proprio di fronte all’Hotel delle Terme, residenza temporanea di Richard Wagner; sentendo il vociare della folla, il compositore scende in strada e chiede al direttore dell’albergo chi è quel vecchio che viene acclamato.

Così prosegue Pontiggia: «Il direttore dell’albergo gli risponde che è l’eroe dei due mondi. Wagner dice: “Ah!”. A sua volta Garibaldi, vedendo dal treno quella figura venerabile in vestaglia, chiede chi sia. Gli viene risposto che è l’inventore della musica dell’avvenire. Garibaldi dice “Ah!”. Nessuno dei due si muove. Il treno riparte». Poche righe dopo Pontiggia annota che l’interiezione più arcaica aveva suggellato l’incontro di due personaggi epocali e aggiunge: «Viene così risparmiata ai posteri ogni frase memorabile e ci si limita a un lascito esemplarmente alieno da ogni volontà dimostrativa (“Ah!”), da ogni entusiasmo edificante (“Ah!”), da ogni irrinunciabile impegno, compito o missione (“Ah!”)». Pontiggia conclude ricordando che secondo alcuni grammatici «Ah!» è una frase «che ne contiene così tante da diventare alla fine la più ricca e la più completa». Questo rafforza l’impressione che anche il mio «Ma sì…» possa diventare interiezione visto che non pone domande su come potrà evolvere la situazione, ma cerca solo di interrompere una quotidianità ormai dominata dal torpore. Anzi: non escludo che quel «Ma sì…», in fondo, possa diventare stimolo per darmi una smossa.

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