Al momento di preparare la prossima campagna di ricerche sui culti tradizionali del Nord del Ghana al vostro Altropologo di fiducia è venuto alla mente un episodio occorsogli ormai quarant’anni orsono. Ero arrivato al villaggio di Gindaabol nel primo pomeriggio dopo una traversata in moto su una pista infernale che mi aveva impegnato per cinque ore. Sulla rotta per giungere ad un altro villaggio dove si sarebbe tenuto un funerale importante che volevo documentare intendevo fermarmi per la notte. Individuata la sezione del villaggio abitata dal clan del quale ero affiliato onorario mi era stata assegnata una stanza e lì mi ero sdraiato sulla stuoia senza nemmeno appendere la zanzariera. Esausto mi ero subito addormentato. Neanche mezz’ora e viene a chiamarmi il catechista locale della missione romano cattolica dell’area – l’unico che parlasse un po’ d’inglese – a dirmi che ero desiderato da un altro ospite forestiero del villaggio. In quella parte del mondo vi è – o forse vi era, se ne vedono ormai pochi – una classe di mullah, membri ovvero del clero di basso rango musulmano sunnita storico, che si guadagna da vivere andando di villaggio in villaggio vendendo amuleti, erbe medicinali, piccola mercanzia e quant’altro.
Ricordo solo il caldo bestiale di quel pomeriggio e le imprecazioni per il sonno interrotto: rifiutarsi? Impossibile. Nelle successive tre ore mi trovai sottoposto a una sorta di interrogatorio da Santa Inquisizione da parte di Yakubu su cosa sia da intendere «per voi Cristiani questa storia della Trinità». Il buon Mullah sparava a raffica domande che il buon catechista stentava a capire e ancor più a tradurre: l’Altropologo si trovò presto in teologico stato confusionale. «Se Dio è Uno come può essere Tre – come dite voi!? Se uno è Uno, Uno non può essere Tre». L’Altropologo: «ma sai, emmhh…Una Sostanza, Tre Persone… San Tommaso d’Aquino, il Concilio di Nicea…»: il catechista mi guardava con gli occhi fuori dalla testa e avrei dato metà della mia laurea in antropologia per capire cosa/come stesse traducendo. Yakubu incalzava e non mollava: accanimento teologico. Capii solo che non funzionava affatto cercare di spiegare e che fosse meglio lasciar perdere alla prima opportunità. Mi ero ributtato sulla stuoia, sfinito: «spiegare cosa, poi?!». Improvvisamente l’abisso del dubbio si spalancò davanti. «Già: spiegare cosa?! Fosse, fosse mai che Yakubu avesse ragione? Uno non può essere Tre – certo non dal punto di vista di un mercante…». Poi mi addormentai.
Nel 1531 Michele Serveto aveva pubblicato il Se Trinitatis Erroribus Libri VII, un’opera monumentale nella quale affermava senza se e senza ma: «…non una sola parola si trova in tutta la Scrittura né riguardo alla Trinità, né sulle persone, né sull’essenza, né sull’unità della sostanza e della natura dei vari esseri divini». Nato a Villanueva de Sigena (Spagna) nel 1511 da famiglia di antiche origini ebraiche, Miguel Serveto de Villanueva, allora ventenne, sarebbe poi diventato umanista eclettico: matematico, astronomo, meteorologo e geografo è oggi ricordato soprattutto come pioniere della medicina pneumologica e cardiologica. La sua fu una brillante carriera accademica, un cursus honorum che lo portò a vario titolo sulle cattedre universitarie di mezza Europa, laddove Basilea, Ginevra e Strasburgo svettavano come luoghi di libero dibattito e aperto confronto nei circoli intellettuali dove maturavano i fondamentali della Riforma. Serveto fu presto bollato come Unitariano, ovvero fra coloro che sostenevano la natura/sostanza unica, suprema e inscindibile di Dio. Revival in qualche modo di una corrente carsica che aveva avuto (e avrà) fortune alterne nel Monofisismo, nell’Arianesimo e altre variazioni sul tema di un Monoteismo radicale e senza compromessi erede della tradizione rabbinica poi sviluppata dall’Islam. L’Unitarismo di Serveto fu dal primo momento condannato da Lutero, da Melantone e da Bucero – ma anche, ovviamente, da Erasmo da Rotterdam (che si rifiutò di riceverlo) e dall’Inquisizione. Ciò non bastò a Serveto per ritrattare: illusosi che Calvino fosse in qualche modo se non favorevole almeno non ostile alle sue idee pensò che Ginevra fosse una sorta di hub di tolleranza dove potersi rifugiare. Aveva calcolato male: lo stesso Calvino ad un certo punto venne coinvolto nel marasma dal «caso Serveto» e venne a contestargli ben 28 articoli di eresia in diciassette lettere alle autorità ginevrine. Serveto fu bruciato a Ginevra su un rogo alimentato dai suoi libri il 27 ottobre 1553. La sua fine mise in crisi l’idea che il Cristianesimo della Riforma potesse essere più tollerante della versione romana, come poi avrebbero dimostrato i fatti.