Quale antidoto contro la megalomania dei registi?

by Claudia

Cinema: l’assenza di un produttore segna il destino di colossal come Joker Folie à Deux, Megalopolis e Horizon: An American Saga

Esiste un filo rosso che lega Megalopolis e Joker Folie à Deux. Due film molto attesi e che si possono vedere nelle sale in queste settimane. Ma anche due pellicole che non stanno ottenendo il successo sperato; né di pubblico né di critica.

Il legame tra loro è dato dalla figura del produttore: un ruolo poco noto al pubblico, ma essenziale nella buona riuscita di un film. È colui che coordina l’intero progetto, lo indirizza ed è una sorta di mediatore tra il regista e i finanziatori, tra l’autore e il pubblico. I bravi produttori sono pragmatici, conoscono il mercato e il gusto degli spettatori ma sono pure dei fini cinefili.

In entrambi i casi si sente questa mancanza. Francis Ford Coppola ha detto di aver voluto fare tutto da solo, investendo in Megalopolis i propri capitali (ben 120 milioni di dollari) e lavorando al film da quattro decenni. Certamente è il suo lavoro più personale, ma in questo delirio d’onnipotenza ha perso di vista gli spettatori. Ha realizzato un’opera mastodontica e smisurata che non è arrivata al pubblico, ha infastidito e annoiato. Anche Todd Phillips ha avuto problemi di produzione. Al regista la Warner Bros ha infatti concesso una grande autonomia sull’intero montaggio, inoltre lui non ha voluto effettuare test screening (le proiezioni di prova che si svolgono per capire l’apprezzamento del pubblico), che le major organizzano soprattutto con i film ad alto budget – si parla di ben 200 milioni di dollari – in modo da avere riscontri immediati e cambiarlo prima di lanciarlo nelle sale. Anche la mancanza di Bradley Cooper tra i produttori (accreditato nel primo film e che oltre a essere attore e regista ha il fiuto commerciale) è un segnale importante dell’assenza di un contraddittorio, o almeno di una voce diversa da quella del regista.

Se in aggiunta, facciamo un passo indietro di un paio di mesi, anche un altro atteso film, presentato a Cannes e uscito questa estate, ha fatto flop per lo stesso motivo. Si tratta di Horizon: An American Saga. Un film diretto e prodotto da Kevin Costner. Un western che vuole rimettere in sella l’attore di Balla coi lupi e in auge un genere ormai lontano nel tempo. Come Coppola, anche Costner ha investito del suo e si è autoprodotto, scommettendo ben 100 milioni di dollari.

Si sa, i registi e i produttori sono sempre stati come cane e gatto. Spesso e volentieri i primi si sono lamentati dell’ingerenza nel loro lavoro di queste figure che devono tenere sotto controllo i costi, ma anche la vendibilità di un film. L’equilibrio giusto è difficile da trovare, perché l’estro artistico del regista spinge da una parte, mentre quello concreto del produttore dall’altra. Nei casi analizzati i difetti sono abbastanza evidenti e sono da imputare, in buona parte, alla mancanza di un controllore e all’euforia e megalomania degli autori.

Megalopolis è l’esempio più lampante di una mancanza di limiti. Il film parla di Cesar Catilina (Adam Driver), un architetto di New Rome, che ha un piano utopistico per ricostruire la città, distrutta da una catastrofe. Il regista vuole mischiare l’Impero Romano e un mondo nuovo, l’antichità e un futuro utopico. Ma Coppola non riesce nell’intento e straborda: nei dialoghi prolissi e didascalici, nelle scenografie ricostruite al computer, ma mai davvero coinvolgenti e con una trama incomprensibile, slegata e illogica.

Joker Folie à Deux non funziona per altre ragioni, al di là della mancanza di un produttore. Iniziamo col dire che il primo Joker, in origine, non era stato realizzato per avere un sequel. È un’opera a sé stante che apre e si chiude con una sua coerenza interna. Invece, il grande successo ottenuto ha portato la casa di produzione a insistere affinché il regista e l’attore principale tornassero sul set, solo che a quel punto i due hanno elaborato il nuovo film in modo diverso dal primo. Infatti, il protagonista non è più Joker, ma l’uomo dietro la maschera, Arthur Fleck. Lo seguiamo nelle sue giornate, dentro un carcere di massima sicurezza, dove cerchiamo di capirne le turbe psichiche e dove proviamo a comprendere le ragioni della sua trasformazione. Tuttavia, questa ricerca interiore non viene mai fatta davvero, non si scava mai a fondo nella sua mente e nel suo passato. E anche l’inserimento di un personaggio come Harley Quinn (Lady Gaga) non aiuta in questo percorso conoscitivo. Anzi, la sua partecipazione e la volontà del regista di inserire dei momenti musicali dove lei diventa la protagonista, sono controproducenti. Spezzano il ritmo del film, spostano il focus da lui a lei e, in sostanza, oltre a creare confusione, non aggiungono quasi nulla all’idea principale e cioè quella di capire chi è l’uomo che si dipinge da Joker.

Nell’ultimo lavoro di Costner, sono due i problemi che hanno afflitto Horizon: An American Saga e che hanno l’origine nella mancanza di una linea precisa e chiara. Anzitutto il formato; il progetto si compone infatti di quattro film della durata di oltre dieci ore. In altre parole, non è costruito come una serie e neppure come un classico film, lasciando lo spettatore spaesato. Ma ancora più importante è la mal riuscita costruzione delle linee narrative. L’opera di Costner – ambientata nel 1859, un paio di anni prima della Guerra Civile – segue tre storie in parallelo, con molti personaggi ai quali lo spettatore non riesce ad affezionarsi (almeno questa è l’impressione dopo il primo capitolo, l’unico finora passato in sala). Se l’intento è lodevole, è però anche molto ambizioso: vuoi per la durata, vuoi per il gran numero di personaggi che la macchina da presa deve seguire nella loro evoluzione. Per la sua grandeur ricorda La conquista del West (1962). Allora furono oltre una ventina, le star che vi parteciparono, ma quel film, seppur abbastanza lungo, fu diviso in episodi (oggi potrebbe tranquillamente trasformarsi in una mini-serie) e alla direzione furono chiamati ben quattro registi. Ma soprattutto qui i personaggi erano credibili e risolti in poche battute e la trama lineare e semplice, nella quale seguivamo le vicissitudini di una famiglia di coloni lungo alcuni decenni. Il tutto fu realizzato sotto l’occhio vigile della MGM. In Horizon, invece, la sceneggiatura, sempre di Costner, non è così efficace e risulta frammentaria e slegata.

Tre esempi concreti di opere molto attese ma che non hanno funzionato. Nel delicato equilibrio di forza tra regista e produttore ha vinto il primo. E, non sempre, è buona cosa.