Le curve sono anima, ossigeno, linfa vitale, magia, stupore, creatività, fede. Chi sta in pista o in campo lo percepisce. Tuttavia non capisco perché, a volte, espongano striscioni con i quali manifestano il loro attaccamento ai compagni cui è stato imposto il divieto di seguire la squadra del cuore a tempo determinato. Si tratta di un fenomeno diffuso nel mondo dell’hockey su ghiaccio e del calcio. Per quale ragione difendere un tifoso colpito da un decreto che va a toccare chi si è reso responsabile di atti contro la legge?
Penso ad analoghe reazioni corporativistiche di altre categorie: clero, medici, poliziotti, avvocati, insegnanti, eccetera, tutte degne di stima e di rispetto. Al loro interno, fisiologicamente, si insinua la nota stonata. Un coro non se lo può permettere, fosse anche solo una. Perché quindi difendere a oltranza chi non è in sintonia? È bello che lo si aiuti a ritrovare la linea melodica. Ma se la cacofonia persiste, sono dell’avviso che sia meglio prenderne le distanze in modo da evitare che la credibilità di un intero gruppo sano venga compromessa all’orecchio degli altri.
Ho raccolto risposte che raccontano di un codice etico della tifoseria organizzata estrema. Fatto di consapevolezza che certi comportamenti possano scivolare al di là delle regole. Ma anche della coscienza di essere disposti ad assumersi le responsabilità di queste infrazioni. Alcuni termini, come colori, bandiera, maglia, nemici, fede, sono stati un motivo ricorrente dei dialoghi con alcuni «capicurva». Ho percepito una dimensione quasi mistica del tifoso, lanciato in una sorta di viaggio spirituale verso un mondo ultraterreno in cui i limiti si dilatano, e dove vengono accettati comportamenti vietati dalle consuetudini comuni.
Un appassionato già oltre i trenta ha tentato di farmi capire che gli striscioni a difesa dei diffidati non sono necessariamente un segnale della volontà di riammetterli in curva ad ogni costo. Esprimono semplicemente un gesto di solidarietà e di vicinanza nei confronti di chi è costretto a rimanere fuori le mura. Anche perché, a detta loro, le diffide e le sanzioni sono spesso inique. Un altro ultrà ha accennato a un compagno che si è visto mettere al bando per cinque anni per aver sradicato dal suo posto un cestino metallico per i rifiuti, preso in sostituzione del tamburo che era stato dimenticato a casa. Non sta a me giudicare, anche se, francamente, la sanzione mi è parsa esagerata, tanto più che si è trattato di un atto di vandalismo che colpisce, sì, un bene pubblico, ma è ben lungi da atti di violenza che possano compromettere l’incolumità di un rivale.
Le bagarre, si sa, sono parte integrante della filosofia delle curve. Chi sostiene visceralmente i propri colori sa che lo deve fare mettendosi in gioco anche fisicamente. Attento tuttavia al fatto che spranghe, tirapugni e coltelli non debbano fare parte del kit del bravo ultrà. Bravi, mi dico, ma penso che in fondo anche un cazzotto mal assestato può provocare danni irreparabili. Mi viene fatto notare che, almeno nell’hockey su ghiaccio, lo scontro fisico è incluso nello «show». Due o più giocatori si possono affrontare a mani nude, sotto lo sguardo di arbitri e linesman che intervengono solo quando uno dei due contendenti viene scaraventato sul ghiaccio.
Quante volte è capitato di sentire i nostri commentatori deplorare questo «spettacolo» e ascoltare l’opinionista di turno, ad esempio Marco Baron, ex portiere che ha calcato anche i palcoscenici della NHL, affermare che la bagarre è a volte cercata per cambiare l’inerzia della partita e per rendere l’esibizione ancora più rovente. «Vede – mi dice un giovane supertifoso – loro si menano in pista e si beccano due minuti di penalità per “durezza eccessiva”. Noi ci vediamo esclusi dagli stadi per uno, due o più anni. Le sembra corretto?» Come dargli torto?
Tuttavia continuo a pensare a un mondo ideale in cui avvocati, medici, sacerdoti, poliziotti, insegnanti, tifosi, tendano il loro animo verso un coro che canta all’unisono. Senza stonature. La sua musica tuonerebbe molto più soave anche all’orecchio di chi magari sonnecchia in tribuna, stimolandolo a unirsi a canti e danze. Per la squadra, l’energia risulterebbe decuplicata. Senza conflitti interni alla tifoseria. Tutti uniti per una causa e un obiettivo comune: lo spettacolo, la vittoria, la gloria.