Germano Valli non demorde, all’alba dei novant’anni continua a solcare il suo amato lago in veste di pescatore. (Foto Valli)

Gente «nata in barca» tra le sponde del Ceresio

by Claudia

Fra la sparuta (dal profilo numerico) categoria di pescatori con reti sul Ceresio figurano i Valli, padre (Germano) e figlio (Giorgio). Il primo ha ormai 90 anni essendo nato a Capolago il 25 gennaio 1935 e vive a Riva San Vitale, il secondo (classe 1963) risiede ad Odogno. Almeno 2-3 volte per settimana solcano il Ceresio pescando con reti. Germano oggi non è più, dal profilo formale, titolare di una patente siccome è «accompagnatore» del figlio, ma in realtà ha un «pedrigree» di straordinario, ineguagliabile passato (e presente) in fatto di pesca «professionale». Benché sia il più longevo sui due bacini subalpini e… giovanile sia mentalmente che nella prestanza, non è certo una comparsa: un autentico, testardo ed appassionato protagonista nel guidare l’imbarcazione (il figlio Giorgio invece sta a prua) destreggiandosi fra correnti ed attrezzi del mestiere con una disinvolta familiarità nell’aiutare a posare le reti la sera e recuperarle il mattino, ma soprattutto nell’estrarre (e non è sempre facile) dalle maglie i pesci, primeggiando nel filettare, affumicare e conservare alcune specie.

Il nonno contrabbandierearrivato a Capolago nel 1880

Una famiglia dall’attività alieutica nel Dna. «Il nonno Galileo, arrivato a Capolago da Lezzeno sul Lario nel 1880 ove lavorava il legname e pescava con le reti, era anche contrabbandiere di caffè e tabacco da una riva all’altra del lago». Quest’ultima attività lo aveva costretto ad emigrare per sottrarsi alle grinfie della giustizia, gestendo sulle rive del Ceresio una masseria e una piccola osteria. Come lui, altre famiglie si erano sparpagliate in villaggi sul Ceresio, tutte con una notevole figliolanza: il nonno, ad esempio, ha avuto 13 figli (di cui 10 maschi), in buona parte (8) nati in Ticino. E nelle nostre terre, lui come altri, ha continuato a pescare sullo specchio d’acqua tra Melide e Morcote, nonché trafficando tabacco nella zona di Porlezza, mentre i cavalli gli servivano per trasportare nel Milanese legname dei boschi del basso Mendrisiotto. «Oltre l’80% del pescato era smerciato in ristoranti e grotti, ma tanto pesce ritirato dal “pesatt”, un certo Pigazzini, che lo vendeva nella regione momo. Molte le alborelle messe a seccare. Negli anni 50, in una rete “varionera” in barca, ci si è ritrovati con ben 113 chili di alborelle!»; negli anni 60, il lago brulicava pure di agoni venduti freschi, oppure fatti essiccare e poi pressati nel sale in un contenitore di latta per renderli “missultit”», fortemente apprezzati dal profilo culinario.

Il ricordo di papà Umbertoe il lavoro sul Generoso

Il papà Umberto è nato (1900) e cresciuto a Capolago, con un garage e una famiglia di quattro figli, compreso il «nostro» Germano, tant’è che – secondo una poesiola del figlio Giorgio e Claudia per l’80° compleanno – «Umberto e Giulia l’hanno creato / in una barca è quasi nato / e tra pesca e masseria / temp par giugà ga n’era mia». «Mio padre acquistava reti di cotone, da pulire ogni due settimane usando schiuma di sapone mischiata a “bulla di castagne” per eliminare una sorta di colla appiccicata quando i pesci rimanevano imprigionati fra le maglie della rete. Oltre a lucci e tinche, pure presenti in abbondanza, con la “cavedanera” si catturavano in buon numero trote e cavedani. Nella zona di Bissone, con l’amico Renato Rezzonico usavo la “spaderna” con circa 250 ami per pescare anguille vendute a Lugano, ma in discreto numero finivano pure al mercato di Losanna».

Dopo le elementari e le maggiori a Capolago e Riva San Vitale e il tirocinio di meccanico e due anni oltre San Gottardo, Germano è stato assunto dalla ferrovia del Monte Generoso. «Al Generoso ho conosciuto colei che diverrà poi mia moglie, Giuseppina Padrun, engadinese e pittrice per diletto, che lavorava in cima al monte da cameriera». Dopo un lustro – con l’arrivo del primo figlio Alberto – ha aperto un garage a Capolago e più tardi una carrozzeria, e ciò sino a 70 anni, cedendo tutto a figlio e nipoti. Nel 1964, morto il padre, col «numero chiuso» nel conseguimento della patente, nato il figlio Giorgio, si è visto costretto a smettere con le reti.

Le «mitiche alborelle»e il Ceresio malato

«Da ragazzo e sino alla morte del padre, ho pescato con foga, passione, entusiasmo, in modo irrefrenabile. Dopo la giornata dapprima in scuola e poi al lavoro, la sera si usciva in barca per calare le reti. Il pesce era per me un’attrazione fatale e soprattutto quotidiana, con… montagne di mitiche alborelle che pullulavano nel lago ed erano “divorate” fritte dalla nostra gente ma specialmente da turisti nei grotti e in osterie. Non solo questi lucenti pesciolini, ma anche il coregone, il persico e il salmerino, dall’agone al perca e al luccio, dalla trota alla carpa, dalla tinca al cavedano, ecc.». A partire dagli anni Sessanta, il Ceresio si è mostrato vieppiù malato e sudicio a causa dell’inquinamento e il conseguente fosforo che soffocava i pesci: ma sono rimaste clamorosamente inascoltate svariate e pressanti oltre che clamorose denunce anche a livello politico. Nel 1986, la tragedia di Chernobyl, con la scomparsa totale dell’alborella, l’apparizione (sempre più invasiva) del gardon e la conseguente… invasione del cormorano, lo scombussolamento generale fra alcune specie ittiche.

Per almeno una ventina d’anni salmerini a iosa a Sils sul Maloja

Sicché, Germano Valli ha quasi trascurato i fondali del «suo» lago per dedicarsi alla pesca con canna in fiumi e torrenti, in ogni valle, specialmente in Vallemaggia. «Portavo in auto con me i figli e la moglie. Si partiva alle 5 ritornando verso le 9 a lavorare in garage. Ho acquistato un camper per facilitare le trasferte, cominciando a frequentare assiduamente l’Engadina, in particolare il lago di Sils, al Maloja: «Una pacchia poiché si riusciva a catturare 20 salmerini il mattino ed altrettanti nel pomeriggio, ma anche trote. Dapprima, ospiti di una famiglia diventata amica per la pelle, poi il camper si è rivelato comodissimo, partecipando persino con successo a gare di pesca. Per oltre vent’anni d’estate siamo andati al Maloja, da giugno a settembre, con frequenti soggiorni e pescate a non finire». Non a caso, la citata poesia recita: «Da Capolago a Maloja / lui sul lago mai si annoia / ma da quando Germano è in pensione / la pesca è la sua religione… / Tutti sanno della sua amante / il suo passatempo più importante / il suo nome è Mariella / tra tutte le barche la più bella».

In barca con il freddo senza scarpe e calze

Ma la pesca sul Ceresio, in barca e con le reti, ha riavuto il sopravvento. Ricominciando – in presenza di acque un po’ migliori – con il figlio Giorgio nel 2009, con la licenza di pesca da professionista. Il padre nel ruolo di addetto alle manovre dell’imbarcazione e di «accompagnatore» del figlio, «in toto» immerso in questo… mestiere, con un suo inconfondibile «marchio» nell’abbigliamento: la giacca impermeabile quando tira il vento o piove, un paio di ciabatte (tipo infradito) oppure stivali, ma di frequente anche a piedi nudi e comunque senza calze «sino alla temperatura di 5 gradi». Eppure, «non ho mai preso neppure un raffreddore, ed era stato così anche mio padre».

Reti su un fronte di 1000 metri e le carpe assai ricercate

Giorgio Valli, da par suo, è personaggio noto nelle nostre contrade ma anche oltre San Gottardo. Anch’egli singolare, poiché a volte te lo trovi dinanzi a piedi scalzi e sempre con il tipico cappello nero e la fascia rossa in testa, quasi un mix tra menestrello e clown, di un’empatia disarmante, con doti di scultore e pittore, musicista e cantante. Con la moglie Claudia Klinzing fondatori e «primi attori» de «I Tacalà», gruppo musicale presente a molti raduni festosi d’ogni genere. Una persona dai mille interessi, tant’è che Giorgio Valli con la consorte (pure musicista) – residenti prima a Bogno e ora a Pregiardin sopra Odogno – ha ricevuto un ambito riconoscimento da Slow Food, la «Chiocciola 2024», per la dedizione alla cucina sana e genuina, organizzando corsi sulle erbe selvatiche e lezioni di cucina, a favore di un cibo di qualità e in armonia con la natura e per l’ambiente. Come è, appunto, anche il pesce di lago, naturale, sano, saporito, variato e a chilometro zero. Passione per la pesca che hanno trasmesso al figlio Jora, ventinovenne, che si diletta con la canna in Ticino e in Engadina: per nonno Germano, «è un fenomeno avendo catturato in un sol giorno oltre 60 chili di lucci sul Verbano e, anzi, rientra fra i migliori lenzisti in Svizzera». Racconta il… vegliardo. «Operiamo tra Melide-Maroggia-Bissone, qualche volta oltre il ponte-diga. Posa delle reti in serata e recupero il giorno dopo quasi all’alba. Usciamo un centinaio di volte all’anno, ossia circa tre volte a settimana, impiegando sia reti da fondo che reti galleggianti di ogni misura. Le galleggianti posate arrivano anche a 1000 metri per la cattura di coregoni e trote lacustri. Due-tre anni fa, c’erano molti sander, l’anno scorso una più che discreta quantità di persici. Sull’arco dell’anno, circa 4000 chili rispetto ai 1’000 kg imposti dal regolamento di pesca per mestiere. Si tratta soprattutto di gardon, utile per l’apprezzato fritto misto, ma anche delizioso se leggermente infarinato e profumato con salvia e rosmarino, oppure marinato in salamoia con limone, olio ed erbette. Il mio record per la trota è di 9,4 chili, pescata l’anno passato». Molte, soggiunge questo autentico lupo di… lago, le carpe, come quella tratta in barca sempre l’anno passato e del peso di 25 chili. Nel 2023 il duo Valli ha avuto la fortuna di pescare in un sol giorno 60 chili di carpe: «Filettarle, e ciò vale pure per le tinche, non è per niente un gioco da bambini, ma sono pesci, specialmente le carpe, di notevole interesse dal profilo gastronomico».

Smercio senza alcun problema e ricette da leccarsi i… baffi

Nessun problema per lo smercio del pesce, potendolo fornire a ristoratori, scuole e privati, anche attraverso reti come la ConProBio, prodigandosi nella valorizzazione del pesce indigeno. Padre e figlio, rientrati con la o le ceste di pesce catturato, si trasferiscono a Melano, ove in un box che funge da laboratorio provvedono ad eviscerazione, filettatura, lavorazione o congelazione sotto vuoto, o ancora l’affumicatura, a seconda del tipo di prodotto, delle richieste di mercato e della sua destinazione. «Si lavora quasi a catena: Giorgio provvede ad incidere il pesce e a ripulirlo dalle viscere, mentre a me tocca il compito di filettare, con un gran mal di schiena! Mi occupo pure di affumicatura di filetti di carpa e tinca, apprezzati dalla nostra vasta clientela e da consumare entro un mesetto: non ce n’è mai abbastanza per soddisfare il palato dei buongustai». Ogni pesce si presta a molte, deliziose ricette: agoni in carpione «in base ad una ricetta di mia madre», oppure preparazione del coregone dopo essere stato filettato o quindi arrostito con olio per poi essere messo a bollire nell’aceto assieme a diverse verdure, in primis sedano, carote e cipolle triturati. Una leccornia anche il lucioperca in carpione in base ad una vecchia ricetta di Capolago con spezie e verdure tagliate, ma pure il gardon marinato, il paté di pesce, il marinato all’aglio orsino, ecc. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. E buon appetito!

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