Le emissioni di bestiame contribuiscono a circa 3,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente all’anno, secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite FAO. Aumentare l’efficienza e la produzione del pascolo del bestiame (ad esempio aumentando la produzione di latte o un numero maggiore di animali) senza aggiungere un impatto ambientale maggiore è un obiettivo fondamentale per ridurre queste emissioni. I ricercatori dell’Università di Glasgow, dell’Alliance of Bioversity International e del Centro internazionale per l’agricoltura CIAT hanno sviluppato una guida pratica su come acquisire informazioni dai satelliti e utilizzare modelli predittivi per valutare i pascoli in termini di quantità (quanta biomassa) e qualità (proteine grezze, digeribilità e contenuto di ceneri). Analizzare i pascoli su larga scala come migliaia di ettari era in precedenza difficile ma i satelliti possono ora raccogliere dati su grandi aree. «Abbiamo sviluppato un sistema che può raccogliere dati via satellite, chilometri quadrati alla volta ma può anche essere utile per un agricoltore con un solo ettaro», afferma Juan Andrea Carso Arango, coautore dello studio pubblicato sulla rivista «Remote Sensing Applications Society and Environment» ed ecofisiologo presso l’Alliance of Bioversity International e il CIAT.
I modelli di intelligenza artificiale possono prevedere la produttività e la qualità dei pascoli, utilizzando dati di telerilevamento, per aiutare gli agricoltori a prendere decisioni strategiche e gestire i rischi. Il metodo è stato testato nelle praterie tropicali e mira a fornire informazioni utili ai piccoli agricoltori e allevatori per una migliore gestione. Per i ricercatori l’integrazione di nuove tecnologie può portare a sistemi agricoli e alimentari più efficienti, redditizi e sostenibili, anche perché informazioni tempestive sulla produzione o sulla qualità prevista dei pascoli sono importanti per la gestione del rischio in caso di cambiamenti climatici. «Questi modelli – prosegue Diana Maria Gutierrez Zapata, ricercatrice al CIAT – possono supportare strumenti digitali per aiutare il processo decisionale strategico, consentendo agli agricoltori di ottimizzare la gestione dei pascoli e gestire meglio i rischi come la scarsità d’acqua e il foraggio di bassa qualità all’interno dei loro sistemi di produzione». Una maggiore consapevolezza dei rischi in tal modo può aiutare gli agricoltori a ottimizzare l’uso delle risorse e ridurre le emissioni. L’obiettivo a lungo termine è un’interfaccia intuitiva, simile a quella di Google Maps, che indichi la quantità e la qualità del foraggio agricolo.
«Gli sviluppi tecnologici non si possono fermare – esordisce Sem Genini, direttore dell’Unione Contadini Ticinesi (UCT) –. Quanto e come determinate tecnologie si diffonderanno è un’altra questione. All’inizio se ne celebrano le potenzialità, ma non sempre queste sono poi confermate o di facile implementazione. Le famiglie contadine dipendono dalle tecnologie innovative e, soprattutto, da una ricerca impostata sui loro fabbisogni e necessità, in grado di fornire risposte concrete. La sostenibilità è fondamentale in tutti i suoi aspetti: economica, sociale e ambientale – prosegue –. Altrimenti avremmo un problema. Nel nostro settore c’è chi preferisce un approccio il più manuale e fisico possibile, con un ridotto input tecnologico e chi invece accoglie quest’ultimo a braccia aperte. I loro segmenti di mercato, il loro “consumatore tipo” riflettono anch’essi queste filosofie differenti tra loro». «Va detto che ogni generazione porta con sé una nuova sensibilità, un nuovo modo di guardare al passato e al futuro – aggiunge Genini – Sia chiaro: lo scopo finale dell’agricoltura deve essere la produzione sostenibile di derrate alimentari di qualità, sufficienti a sfamarci.
Se le nuove tecnologie portano a dei miglioramenti e benefici nella vita di tutti i giorni, sono le benvenute, se iniziano a trasformare, anche radicalmente, la quotidianità stessa in maniera negativa anche la natura del proprio lavoro cambia».
Altra questione importante è l’impatto della tecnologia sulla realtà specifica del territorio e l’estensione reale degli appezzamenti: «Il Ticino è una piccola realtà: la dimensione media di un’azienda agricola è di 13,4 ettari – illustra ancora Genini –. L’impiego di nuove tecnologie avrebbe più senso nelle grandi realtà per questioni di economia di scala, risultati ottenuti e l’ammortamento dei costi delle tecnologie impiegate. Quanto questi ultimi si riducono è spesso centrale e incentiva la loro diffusione tra chi avrebbe voluto, ma non poteva. Pensiamo all’impiego dei droni: possono agevolare determinati processi, come sopperire alla carenza di manodopera o lavori faticosi – conclude il direttore dell’Unione Contadini Ticinesi. Come nel caso dei trattamenti fitosanitari in viticoltura: nei vigneti impervi vengono ancora fatti con l’atomizzatore in spalla perché non si possono impiegare i veicoli che vediamo in pianura. Si possono inoltre usare per ottimizzare in maniera specifica le procedure e il dosaggio. Anche in Ticino si stanno facendo prove tecniche sull’utilizzo dei droni e l’efficacia dei trattamenti migliora di generazione in generazione, e ci sono ancora margini di miglioramento. Ogni cambiamento porta a nuove sfide e rischi».
Secondo un altro studio recente, intitolato «Agriculture students’ use of generative artificial intelligence for microcontroller programming», l’intelligenza artificiale generativa, quella che sa creare contenuti, come ChatGPT, si dimostra promettente come mezzo utile in agricoltura per scrivere semplici programmi per computer destinati ai microcontrollori. «Sono piccoli computer in grado di eseguire attività basate su programmi per computer personalizzati. Ricevono input dai sensori e possono essere utilizzati nei controlli climatici e di irrigazione, nei sistemi di lavorazione alimentare nonché in applicazioni robotiche e di droni, per citare alcuni usi agricoli» spiega il prof. Don Johnson dell’Arkansas Agricultural Experiment Station.