Il brivido e l’adrenalina della velocità allo stato puro. E, soprattutto, nella sua forma più originale, pur se adattata nel tempo. Parlare di autocross è un po’ come effettuare un salto a ritroso nel passato, tornando a quando i motori rombavano su strade sterrate anziché su circuiti d’asfalto liscio come l’olio. Un ritorno agli antipodi, perché è appunto su questo genere di «strade» che sono nate tutte, indistintamente, le corse automobilistiche come le conosciamo oggi. Ed è ancora su queste che si corre appunto l’autocross, quello praticato, ai massimi livelli nazionali, anche da Roby Ginevri, attualmente l’unico in Ticino a praticare questo sport: «A grandi linee, l’autocross è lo stesso sport che, a suo tempo, praticavano pure i vari Raffaele De Palma, Enzo Ferrari e via dicendo», riassume il 46enne luganese. «Perché, appunto, una volta le strade erano tutte un misto tra sterrato e asfaltato. L’autocross è una sorta di rivisitazione degli albori dell’automobilismo, pur evolvendo per quanto concerne gli aspetti legati alla meccanica e alla sicurezza sui circuiti. Rispetto alla Formula 1 e agli altri grandi appuntamenti motoristici, il bello di questo sport è che, al di là di tutto, ha saputo mantenere una dimensione più amatoriale. Non servono cifre astronomiche per organizzare un campionato come pure per poter correre anche se, va da sé, ognuno deve comunque riuscire a racimolare quanto basta per mettere a punto la sua vettura. E farlo senza una grande visibilità non è evidente…».
C’è una data che Roby Ginevri non scorderà mai. È quella del 9 ottobre 1994, una domenica, il giorno in cui suo padre Vittorio perse la vita proprio in un incidente durante una gara di autocross, a Sedriano, in Lombardia: «Quel giorno avrei dovuto gareggiare anch’io per la prima volta, e per giunta con la stessa auto. Ma quel terribile incidente ha cambiato tutto. Per un po’ mi sono tenuto alla larga dal mondo delle gare motoristiche».
Poi, però, il richiamo dell’auto l’ha nuovamente irretito… «Quando ce l’hai nel sangue, la passione per i motori non te la togli più. Per qualche tempo è rimasta in un angolo dei miei pensieri, latente, anche perché ci ero confrontato quotidianamente con la mia professione di meccanico. Poi un giorno, sarà stato nel 2012, mi sono lasciato convincere a comperare una macchina da autocross. Ovviamente il tutto all’oscuro di mia madre, che di certo non l’avrebbe presa molto bene… mi sono quindi avvicinato alle gare, e, vedendo che i risultati non tardavano a venire, ci ho preso gusto».
Nella bacheca personale di Roby Ginevri, fra gli altri trofei, spiccano due titoli svizzeri assoluti (2017 e 2019) e ben cinque di categoria, il Kartcross (una delle 15 categorie in cui si suddivide l’autocross), vinti nel 2016, 2017, 2019, 2022 e 2023. «A chi mi dà del “pazzo” per la scelta di tornare in pista, considerato il mio passato, rispondo che molte persone usano l’auto in modo molto più pericoloso di quanto non possa farlo chi pratica questo genere di sport. Anche perché qui sai perfettamente cosa fai, e vigono severe disposizioni in materia di sicurezza. Insomma, solo una fatalità può originare uno spiacevole incidente. Come appunto capitato quel 9 ottobre di trent’anni fa».
Un 1994 doppiamente tragico e significativo per il ticinese… «Qualche mese prima dell’incidente di mio padre, sulla pista di Imola perdevano la vita Roland Ratzenberger prima e Ayrton Senna dopo. L’incidente fatale al brasiliano si verificò il 1° maggio, lo stesso giorno in cui, sedici anni prima, ero nato io. Così, quest’anno, a trent’anni di distanza dal 1994 funesto, ho deciso di correre con un’auto dipinta dei colori del pilota brasiliano. E la gara a cui ho partecipato con quella vettura l’ho stravinta! È vero che corro su una monoposto, ma quando sono in pista sento di non essere da solo nell’abitacolo».
Di prim’acchito, sembrerebbe che lo sprezzo del pericolo sia un requisito fondamentale per chi si mette al volante di uno di questi bolidi che sfrecciano su strade sterrate… «Fino a un certo punto: se ti attieni alle regole, i rischi sono minimi. La scarica di adrenalina che si prova, però, è notevole e costante, dall’inizio alla fine. L’apice lo si tocca alla partenza, al momento della staccata per affrontare la prima curva: su una pista sterrata non è facile capire quanto potrà essere l’aderenza effettiva della vettura, e lo stesso vale anche per gli altri piloti che sono lì a battersi per prendere il comando della corsa. A volte devi fidarti degli occhi e sperare che vada tutto bene. Prima di una gara faccio una passeggiata lungo il circuito per rendermi conto delle sue particolarità specifiche. Ma è molto relativo, perché diversi fattori possono influenzare le condizioni della pista. Se piove, poi, le cose si complicano assai, al punto che girare in pista non è più un divertimento “puro”, ma una sfida logorante, giro dopo giro».
Passato e difficoltò però non hanno fermato Roby Ginevri: «Volevo dimostrare di poter competere in questo sport. E dopo undici anni in pista, e parecchi successi, posso dire di esserci riuscito. L’anno scorso in tutte le gare a cui ho preso parte, il mio peggior piazzamento è stato un terzo posto. Quest’anno ho pure voluto alzare l’asticella, presentandomi con la mia auto al via di una prova della categoria superiore. E… ho vinto! È però vero che alla lunga il fatto di essere il solo a praticarlo a queste latitudini si fa sentire: sarebbe magnifico trovare altri ticinesi desiderosi di avvicinarsi all’autocross».
Le piste di autocross sono generalmente lunghe da 1 km a 1,5 km. In Svizzera ce ne sono due: una a Bure (Canton Giura), su un terreno militare, e un’altra a Hoch-Ybrig (Svitto). A cui si aggiunge quella di Maggiora (Piemonte), dove si svolge l’altra manche delle tre valide per il Campionato svizzero: «A Maggiora c’è un tratto dove si toccano i 170 km: da brividi su una pista sterrata, considerato che subito dopo c’è una curva… In Germania, poi, c’è una pista dove si possono toccare anche punte maggiori, ma quando ci sono stato, non avevo l’occhio sul contachilometri».