Nei Paesi poveri il tumore al seno rimane una causa di mortalità troppo alta. Tra le ragioni vi sono le scarse diagnosi precoci, la prevenzione insufficiente e i farmaci inaccessibili
Il tumore al seno è la neoplasia più frequente al mondo: colpisce il 30% delle donne (ivi compreso qualche uomo) ed è la principale causa di decesso per cancro (20%) nella popolazione femminile. Ciò significa che, nel corso della propria vita, una donna su otto potrebbe confrontarsi con questa malattia. La Svizzera conta circa 6000 casi all’anno (in Ticino circa 330-350), e si registrano circa 1350 decessi annui (dei quali 60 in Ticino). Ciò dimostra che questa neoplasia rappresenta un problema di salute pubblica per l’alto numero di donne che coinvolge. Ma si può fare molto perché una sua diagnosi precoce favorisce il ricorso a terapie meno invasive con minori effetti collaterali e il sostanziale aumento delle possibilità di guarigione. Oggi, la mammografia è lo strumento scientificamente più appropriato e raccomandato di diagnosi precoce. Nel nostro Cantone dal 2015 il Dipartimento della sanità e della socialità promuove il Programma cantonale di screening mammografico. Ciò garantisce un equo accesso a un esame di diagnosi precoce di qualità ottimale e completamente gratuito, il cui tasso di adesione delle donne tra i 50 e i 69 anni (circa 50’000) è attorno al 55-60%, in linea col resto della Svizzera.
Per pari opportunità, bisogna chiedersi se la prevenzione sia attuabile per tutta la popolazione mondiale, dato che basterebbe una mammografia di screening per individuare questa neoplasia in fase molto precoce, salvando molte vite. «Nel punto della situazione sulla lotta ai tumori a livello globale, il tumore della mammella è uno dei temi su cui si discute parecchio al Forum oncologico mondiale che organizzo dal 2012». Così esordisce l’oncologo professor Franco Cavalli, sottolineando: «Se oggi da noi due terzi delle donne colpite ne guarisce (almeno 70%), nella maggior parte dei Paesi poveri la situazione è peggiore della nostra ai tempi in cui, nel 1972, io avevo iniziato la formazione come oncologo e il tasso di guarigione era del 20% perché la diagnosi arrivava molto tardi (con linfonodi già positivi, le terapie mancavano e un terzo era inoperabile)». Il professore parla del progetto avviato nel 2015 in Kirghizistan («centrato soprattutto sul tumore al seno, ma che si vorrebbe estendere al tumore del collo dell’utero»), e illustra la situazione in Africa dove, dati alla mano, spiega: «Nei Paesi poveri la percentuale di guarigione è sotto il 10%, a fronte del 70% nei Paesi ricchi». La salute femminile pare dunque non avere pari opportunità a livello globale: «Nei Paesi poveri non ci sono mezzi diagnostici come la mammografia che risulta essere troppo complicata in quelle regioni (serve se fatta molto bene e valutata da più esperti); le uniche possibilità, al momento, sono l’autopalpazione e l’ecografia. Però, anche le ecografie sono rarissime e per estendere la consuetudine all’autopalpazione bisognerebbe lavorare nell’educazione, ancora carente, della popolazione».
La riflessione dello specialista passa attraverso alcune sue considerazioni: «Se, ad esempio, parliamo di tumore al pancreas, anche da noi la prognosi è ancora lungi dall’essere ottimale, ma se consideriamo i tumori al seno e all’utero, da noi la mortalità si è così abbassata da essere quasi annientata, mentre attualmente nel mondo 400mila donne muoiono ancora». E ribadisce: «Ad esempio, in Gambia la guarigione si attesta a meno del 10%, come da noi 50 anni fa. Il problema è tanto più grande quanto più sappiamo che per il tumore al seno si può fare davvero parecchio se la diagnosi è precoce: basta un intervento relativamente semplice ed è sufficiente una terapia ormonale quotidiana per far aumentare sensibilmente la possibilità di guarigione». Altro punto dolente è il prezzo dei farmaci: «Anche da noi sono sempre più cari e talvolta fatichiamo a pagarli; immaginiamo nei Paesi poveri dove anche la loro reperibilità è un problema. Così, in generale il cancro diventa il vero flagello. Per la cura del tumore al seno, ad esempio, c’è un farmaco assolutamente necessario al quale tre quarti delle donne al mondo non ha accesso». Questi tumori sono dunque il vero flagello dei Paesi poveri, ma qualcosa sta cambiando: «Noi ci stiamo muovendo in Kirghizistan e in Nicaragua dove si riesce a intervenire per migliorare la situazione anche a budget limitato».
Così anche l’organizzazione Medecins sans Frontières (MSF) che, per voce del delegato per la Svizzera italiana Giacomo F. Lombardi spiega il progetto in Kirghizistan dove l’alto tasso di tumori al collo dell’utero e al seno necessita di un intervento mirato per riuscire a introdurre strumenti che portino a una diagnosi precoce e a una prognosi migliore: «Nel 2023 nel distretto di Sokuluk, Medici Senza Frontiere si è concentrata sulla fornitura di screening e trattamenti alle donne a rischio di cancro al collo dell’utero e al seno e ha sostenuto i servizi di salute mentale. Su questa linea, in collaborazione con il Ministero della Salute, le équipe di MSF gestiscono due cliniche di screening per i tumori al seno e al collo dell’utero nel distretto di Sokuluk, nella provincia di Chui». In linea con la situazione illustrata dal professor Cavalli e a parte la regione di Sokuluk, Lombardi lamenta la carenza di accesso alla diagnosi precoce. È qui che si inserisce il progetto di MSF per la presa a carico precoce diagnostica e terapeutica: «In questo Paese vogliamo fare la differenza per la stragrande maggioranza di donne (80%) che riceve una diagnosi allo stadio finale, dunque incurabile, e non ha accesso neppure a una terapia palliativa come succede da noi». In un biennio MSF ha creato una cellula autonoma che può essere riprodotta anche in altri luoghi in termini di centro di formazione dei sanitari e di diagnosi precoce: «Un intervento che va incontro all’emergenza della carenza di accesso alle cure, anche nell’ambito oncologico: abbiamo dato gli strumenti ai sanitari locali per permettere loro di far crescere quest’iniziativa verso il miglioramento delle capacità di screening che consentirà di salvare più vite umane, a dimostrazione che pure un intervento umanitario in ambito oncologico può essere incisivo; se ne parla poco e per questo è un tema degno di grande attenzione».
Nel sottolineare la comprovata mancanza di pari opportunità fra Paesi industrializzati e Paesi poveri, Lombardi ribadisce la necessità di migliorare l’accesso alla diagnosi e alle cure anche in questi ultimi: «In Kirghizistan non c’è benessere diffuso e manca l’accesso alle cure, ma con un sistema sanitario presente si può fare comunque molto. Il nostro progetto nel distretto di Sokuluk dimostra che, anche senza cambiare la realtà delle cose in modo repentino, il numero di vite che si riesce a salvare è un multiplo significativo delle donne che altrimenti morirebbero se si forniscono gli strumenti per una diagnosi precoce e la relativa presa a carico». E infine sottolinea un concetto valido più che mai anche alle nostre latitudini: «La prevenzione non è un business: è vero che fa risparmiare soldi perché la presa a carico risulta meno dispendiosa (oltre che con una migliore prognosi), ma la realtà è che salva un sacco di vite in più, dovunque».