Silvio Soldini e la sua favola filmica

by Claudia

Narrazioni cinematografiche tra realtà e magia nel nuovo saggio di Domenico Lucchini,dedicato a quarant’anni di carriera del regista

È un cinema singolare quello di Silvio Soldini, regista milanese d’origini ticinesi. Un percorso cominciato con gli studi alla New York University e il corto di diploma Drimage (1982) e che arriva all’imminente Le assaggiatrici, tratto dal romanzo di Rossella Postorino e in uscita nel 2025.

La sua carriera quarantennale è ripercorsa nell’approfondito libro Magico realismo scritto da Domenico Lucchini, già autore di pubblicazioni su cineasti svizzeri di punta (Alain Tanner e Villi Hermann), nonché già direttore del Centro culturale svizzero di Milano, dell’Istituto culturale svizzero di Roma e del Cisa di Lugano/Locarno.

Un bell’approfondimento, molto dettagliato film per film, da poco pubblicato da Armando Dadò Editore. La prefazione, non di circostanza, è a cura di Piera Detassis, già direttrice di «Ciak» e presidente della Festa del cinema di Roma, ora presidente dell’Accademia del cinema italiano che assegna i David di Donatello. Una prolusione con preziose osservazioni e annotazioni che stimolano alla lettura e aiutano a inquadrare la figura e l’opera di Soldini e lo studio di Lucchini.

Il volume comprende analisi dettagliate e schede di tutti i lavori, uno per uno, divisi in: 6 cortometraggi, tre film di montaggio, 17 documentari, 2 mediometraggi e 11 lungometraggi. E ancora una sezione corposa dedicata ai «topoi soldiniani», gli elementi cardine o ricorrenti della sua poetica, quelli evidenti e quelli più nascosti: gli oggetti, i paesaggi, la suissitudine, il viaggio tra fuga e ritorno o il rapporto tra realtà e favola che conduce alla definizione di «magico realismo».

A concludere la pubblicazione c’è una lunga e interessante intervista con il regista, che Lucchini incontrò per la prima volta al Festival di Locarno del 1983 quando fu presentato in concorso il mediometraggio Paesaggio con figure. Un titolo ripreso da un racconto di Ernest Hemingway e che suggerisce l’idea di «natura morta», pittorica, dei primi film del cineasta, nei quali l’ambientazione, le atmosfere e i suoni prevalevano sui personaggi e sulla trama.

Il saggista accompagna il lettore a seguire l’evoluzione del cinema di Soldini e il suo avanzare verso realizzazioni dove le persone sono sempre più significative, senza mai trascurare l’ambiente e il contesto in cui vivono, spesso motore, anche casuale (all’opera del caso e alla sintonia con il polacco Krzysztof Kieślowski, sono dedicate pagine gustose e stimolanti), del loro agire. Si parla così del lungo sodalizio con il direttore della fotografia Luca Bigazzi, dai loro inizi insieme accomunati dalla voglia di fare qualcosa di diverso rispetto al cinema italiano di quel periodo fino a Brucio nel vento del 2002.

Si affronta il discorso delle influenze, da quelle più evidenti nei primi lavori – Wenders, Godard o Tanner, cineasti che tornano spesso nei discorsi – ad Antonioni, Ozu, Bresson e Akermann o gli influssi letterari, curiosamente quasi tutti europei per quanto riguarda il cinema e americani per la letteratura. Lucchini sviscera il passaggio dai primi lavori più asciutti, freddi e minimalisti alle commedie più astratte o sognanti, «magiche» appunto, come Pane e tulipani che nel 2000 gli diede il grande successo di pubblico o Agata e la tempesta.

Commedie che nascono fuori dal solco dalla tradizione italiana, come spiega lo stesso regista nella conversazione. Cruciale e rivelatrice delle intenzioni di Soldini è stata la scelta di non trasferirsi a Roma e lavorare a Milano (molto spesso in coproduzione con realtà ticinesi e svizzere) con budget più piccoli, restando decentrato, scegliendo temi e modalità produttive diverse dal mainstream. In questa maniera ha potuto scegliere gli attori, non tra quelli di richiamo imposti dalle produzioni, ma quelli più adatti ai personaggi o con cui ha creato solide collaborazioni, spesso lanciandoli (Giuseppe Battiston) e reinventandoli (Bruno Ganz in un ruolo da commedia) o regalando loro personaggi indimenticabili (da Valeria Golino a Licia Maglietta). Centrale è il lavoro con gli attori, che Soldini matura e affina da un film all’altro, come lo è quello con tutti i collaboratori, a partire dalla cosceneggiatrice Doriana Leondeff.

L’opera di Soldini resta molto ancorata alla realtà, anche quella sociale, con uno sguardo che si può ritenere politico pur senza esserlo dichiaratamente: il rifiuto di adeguarsi alla vita frenetica delle metropoli, l’attenzione al diverso (la ragazza rom di Un’anima divisa in due), la crisi economica e di coppia legata al lavoro (Giorni e nuvole) o la disabilità.

Della contemporaneità, il regista sa cogliere le profonde inquietudini, in particolare dei personaggi femminili, e i desideri di evadere o di partire. Un libro, il primo in Svizzera sull’autore, completo e illuminante, che colloca Soldini in una posizione di primo piano nel cinema d’autore europeo di questi decenni.

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