Il Governo introduce delle misure restrittive che colpiscono anche gli stranieri residenti da tempo nel Paese
Il Canada si prepara ad affrontare nuove sfide legate all’immigrazione, dopo la rielezione di Trump alla Casa Bianca (leggi: timori di una fuga di migranti dagli Usa). In ogni caso non è più il Paese spalancato agli stranieri che è stato per decenni. I programmi «Studia, lavora e vivi» per ottenere il visto veloce, sul sito web dell’immigrazione del Governo canadese, non fioccano più. La politica che cercava di attrarre lavoratori stranieri, anche disposta a formarli professionalmente a livello universitario purché restassero come forza lavoro nel Paese offrendo loro una strada per la residenza permanente, sta subendo una sterzata.
Dopo aver, negli ultimi anni, invitato stranieri in Canada per aiutare a rilanciare l’economia, il Governo del liberale Justin Trudeau (confermato con un terzo mandato nel 2021) sta facendo marcia indietro, timoroso che la loro stabilizzazione come residenti permanenti possa costare all’Esecutivo in carica troppo in termini di radicalizzazione dell’opinione pubblica. Teme infatti che l’opposizione interna abbia buon gioco a imitare la campagna di Donald Trump di chiusura delle frontiere ai migranti e tenta di giocare d’anticipo. Ad esempio, sono state annunciate novità per ridurre e limitare in corsa il vasto programma di residenza temporanea del Canada. Trudeau prepara barriere per non dare per scontata la residenza sul lungo periodo a stranieri già presenti, che ora si ritrovano in un limbo legale.
Attualmente, secondo i dati del Ministero degli interni, quasi tre milioni di persone che vivono in Canada hanno un qualche tipo di status di immigrazione temporanea. Solo negli ultimi due anni sono arrivati 2,2 milioni di persone. I residenti temporanei rappresentano il 6,8% della popolazione totale del Paese, 41,3 milioni, rispetto al 3,5% del 2022. Ma attualmente l’economia canadese sta creando meno posti di lavoro e la disoccupazione, superiore al 6%, rimane alta. Per i residenti temporanei il tasso di disoccupazione è ancora più alto: il 14%. Racconta da Toronto Raffaella T., italiana residente in Canada da venti anni per lavoro: «I programmi sono sempre tanti e cambiano molto spesso, ad esempio quello che abbiamo usato io e mio marito è stato cancellato un paio di anni dopo che ne abbiamo usufruito. Inoltre ogni provincia ha programmi specifici, che possono cambiare velocemente, nel giro di uno o due anni a seconda delle necessità: è un tema molto ampio e complesso. Dagli anni Settanta la stragrande maggioranza degli immigrati arriva dall’Asia, soprattutto dall’India. Alla cerimonia di concessione della cittadinanza, la mia, un paio d’anni fa, eravamo un centinaio e tra questi gli europei erano tre, gli altri erano tutti asiatici di decine di Paesi diversi ma con predominanza indiana».
Il programma di residenza temporanea si era intensificato dopo la pandemia da Coronavirus. L’economia canadese aveva bisogno di coprire la carenza di manodopera e aveva moltiplicato i visti d’ingresso. Ma poi, come detto, il trend si è invertito. Marc Miller, ministro dell’immigrazione, ha annunciato una serie di tagli alle quote di migrazione da gennaio, tra cui la riduzione del numero di visti per studenti rilasciati e un limite al numero di lavoratori stranieri temporanei che un’azienda può assumere. Con un canadese su cinque nato all’estero, il Canada è stato a lungo un approdo sicuro per chi volesse migrare. Storicamente i Governi conservatori e liberali hanno promosso politiche migratorie volte a rafforzare i ranghi dei lavoratori e aumentare la popolazione. Nonostante l’annunciato cambiamento di linea, il discorso politico rimane civile.
Il ministro del lavoro Randy Boissannault ha spiegato in una recente conferenza stampa riportata dal «New York Times»: «L’ho già detto e lo ripeterò: il programma dei lavoratori stranieri temporanei è una fisarmonica. È pensato per flettersi con l’economia. Quando abbiamo un alto numero di posti vacanti, possiamo portare più persone e, quando l’economia è tesa, chiudiamo la fisarmonica e rendiamo difficile l’ingresso delle persone». Aprire e chiudere la fisarmonica non è così semplice se ci si mette nei panni di uno studente indiano o cinese la cui famiglia ha investito migliaia di dollari per farlo andare in Canada a studiare con un visto con cui, poi, sperava potesse fermarsi a lavorare. Potrebbe tornare in un’università canadese e pagare le tasse universitarie più alte per gli studenti internazionali in cambio della possibilità di lavorare e cercare la residenza permanente. Oppure potrebbe richiedere un visto turistico, anche se non gli darebbe il diritto legale di lavorare. Potrebbe tornare in India o in Cina, la possibilità meno attraente, visti gli anni e i soldi che ha investito in Canada.
Le difficoltà che devono affrontare molti residenti temporanei i cui permessi sono scaduti, o scadranno presto, li stanno spingendo verso lo sfruttamento. Questi finiscono infatti per lavorare senza permesso e quindi senza contratto come addetti alle pulizie, nei magazzini o nelle cucine dei ristoranti, per pochi spiccioli. Alcuni presentano domande di asilo anche se non soddisfano i criteri, perché così possono rimanere ancora un po’. Circa 13’000 studenti internazionali hanno presentato domande di asilo nei primi otto mesi del 2024, secondo i dati del Governo, più del doppio rispetto a tutto l’anno scorso. Raffaelle T. fa notare: «Un canale grosso d’accesso è quello universitario, perché è come se fosse un lasciapassare per la residenza e quindi la cittadinanza, e anche in questo caso in concreto si tratta quasi solo di asiatici, specie indiani. Ci sono università che sono diventate un canale diretto per l’immigrazione, con alti costi e bassa qualità formativa. I laureati di alcune di queste università – che non sono le più importanti, ma dei campus secondari – vengono addirittura scartati a priori dalle aziende che vagliano le richieste di assunzione perché si sa che quei campus non offrono una buona istruzione».