Cinema: il genere del terrore si è evoluto e adattato ai nuovi scenari, conquistando sempre più spettatori, anche sui social media
Se c’è un genere cinematografico che risorge più spesso di un cattivo in un film slasher, quello è l’horror.
Dalle sale cinematografiche ai più oscuri angoli dei social media, l’horror sta rinascendo in tutte le sue forme spaventose, dalla commedia gotica Beetlejuice Beetlejuice al capitolo finale della trilogia gore X, MaXXXine. Ma perché, in un’epoca già carica di ansie, siamo così attratti da queste manifestazioni di paura orchestrata?
Iniziamo col dire che l’horror non è mai stato veramente «morto» – proprio come i suoi protagonisti, è sempre lì, dietro l’angolo, pronto a fare un ritorno in grande stile. E, a dirla tutta, negli ultimi anni ha messo in atto un colpo di scena degno del miglior film: ha conquistato sempre più terreno al box office americano, arrivando a incassare circa un miliardo di dollari all’anno, pari al dieci per cento degli incassi totali di Stati Uniti e Canada. In particolare, il post-pandemia ha risvegliato un appetito insaziabile per il brivido cinematografico, confermato dai successi di film come Immaculate – La prescelta e Longlegs, che schierano stelle del calibro di Sydney Sweeney e Nicolas Cage.
L’horror è stato a lungo il parente povero e snobbato dai nomi della Walk of Fame. Fino a qualche anno fa, i volti noti di Hollywood erano praticamente assenti, a meno che non fossero alla disperata ricerca di lavoro per pagare qualche mutuo arretrato. Eppure, il sangue vende: oggi anche attrici di lungo corso hanno messo da parte il loro scetticismo. Dalla zona vietata ai minori dei negozi di videonoleggio, gli horror arrivano al Festival di Cannes, dove quest’anno Demi Moore ha sfilato sul tappeto rosso per presentare The Substance, un body horror diretto da Coralie Fargeat affrontando il corpo femminile e le sue trasformazioni in modo crudo e fin troppo realista.
Non stiamo dicendo addio ai serial killer con la motosega o ai terribili remakes slasher di Winnie The Pooh, ma è evidente che qualcosa di nuovo sta emergendo nel genere, rendendolo più maturo e consapevole.
Certo, la qualità a volte risente degli aspetti economici, nonostante i dati condivisi da Bloomberg affermino che «l’horror ha incassato il 70% in più al box office nel 2023 rispetto a quanto fatto dal genere nel 2013».
Attori di fama e nuove piattaforme hanno trasformato un genere marginale in una forza trainante del box office
L’horror, infatti, è stato baciato dalla benedizione e maledizione dei reality: budget ridicoli con ritorni economici esorbitanti e una straordinaria capacità di attivare la «macchina dei sequel». Se c’è una cosa che Hollywood ama quanto un vampiro ama il sangue, sono proprio i franchise horror, non per la loro portata narrativa. Questi sequel, con il loro low budget e meccanismi sempre uguali a sé stessi, rappresentano la copertina di Linus di un’industria instabile che non smetterà mai di servirci Saw X, Smile 2, Alien – Romulus e Omen – L’origine del presagio.
Anche se siamo in tema, questa impennata di successo non è frutto di un patto con il diavolo.
I migliori film horror diventano sempre più audaci e riflettono paure reali, come l’IA ribelle in M3GAN e l’ossessione per il corpo femminile in The Substance. Sia che si tratti di franchise o di horror d’autore firmato dalla casa di produzione A24, il genere ha capito che, proprio come Madonna, per restare rilevante deve adattarsi e cambiare pelle.
Così le pellicole in cui troneggiavano scream queens caucasiche, finalmente dicono addio al cast monocromo. Dal protagonista nero in Get Out, interpretato da Daniel Kaluuya, all’abbandono della classica ragazzina bianca in Scream V in favore di Jenna Ortega, dietro le quinte si amplifica la rappresentazione etnica e queer, creando un ecosistema inclusivo che fa breccia nel cuore di pubblici sempre più vari, e soprattutto negli schermi dei più giovani.
Una delle fonti di nuova linfa vitale dell’horror sono i social media. TikTok e YouTube hanno dimostrato di non essere solo piattaforme per balletti e reaction video, ma delle fucine creative. Nei confini del mondo digitale, chiunque può prendere una telecamera e diventare un narratore di incubi, dando vita a esperimenti stilistici che superano i limiti della produzione tradizionale.
Come scrive la dottoressa Jessica Balanzategui della RMIT University, «questi canali hanno coltivato un ambiente di participatory dynamic, dove chiunque può creare un esperimento visivo che potrebbe diventare il prossimo fenomeno di culto». I temi dell’analog horror e degli «spazi liminali» sono diventati ricorrenti e non sorprende, quindi, che film come Talk to Me traggano ispirazione da queste correnti, intessendo esperienze che mescolano la paura dell’altro con l’inalienabile terrore di noi stessi.
L’impennata di successo del genere negli ultimi anni è in gran parte merito della sua abilità di parlare a chi subisce disagi sociali ed economici nel nostro tempo. Se negli anni Settanta e Ottanta eravamo tutti traumatizzati da slashers e film post-apocalittici con ansie nucleari a profusione, oggi il panorama è cambiato: spaziando dalla psicologia dell’isolamento alla frenesia informativa, l’horror ha deciso di mettere la trama in prima fila, insieme agli effetti speciali, che non servono più solo a farci saltare dalla sedia. Quando il sangue e la brutalità sono maneggiati con maestria, diventano strumenti attraverso cui esploriamo le profondità dell’animo umano, affrontando temi come paura e vulnerabilità.
L’horror ha alzato decisamente il tiro, abbracciando temi più complessi senza rinunciare alla violenza esplicita, e per completare il quadro mancava solo un volto giusto: ed ecco che le preghiere sono state esaudite con l’arrivo di Mia Goth – definita dal «New York Times», «l’anti-eroina che il cinema horror stava aspettando» – protagonista e icona di slasher di successo.
Il fascino dei film dell’orrore risiede nella loro capacità di farci affrontare le paure in un ambiente «protetto», dove, tra un urlo e l’altro, possiamo sempre mettere in pausa l’azione dal divano, in una vulnerabilità controllata. Come suggerisce «The Guardian», «l’horror è progettato per mantenere la nostra attenzione: cervelli allerta, in cerca di pericolo». È proprio questa combinazione di adrenalina e curiosità che ci spinge a tornare, ancora e ancora, sperando di vivere un’epifania che riecheggerà ben oltre i titoli di coda e farà tenere accese le luci di notte.