Una fotografia dei profughi ucraini in Svizzera

by Claudia

Circa 66’000 persone beneficiano attualmente dello statuto di protezione S. Nonostante gli sforzi compiuti da Confederazione, Cantoni e altri attori attivi nel Paese solo il 29 per cento di loro ha trovato lavoro. Come mai?

«Entro la fine del 2024 il tasso di occupazione dei rifugiati provenienti dall’Ucraina sarà del 40%». Questa è stata la promessa formulata all’inizio di maggio dal consigliere federale Beat Jans, capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia. Un traguardo ambizioso che, con il passare del tempo, si è trasformato in una chimera. A meno di due mesi dalla scadenza, l’integrazione professionale dei profughi ucraini raggiunge solo il 29%. Rispetto agli altri rifugiati, però, il loro accesso al mercato del lavoro è da due a tre volte più veloce. Gli sforzi profusi da Confederazione, Cantoni, parti sociali e organizzazioni hanno senza dubbio promosso la loro inclusione professionale, ma a un ritmo inferiore rispetto alle attese e con grandi differenze regionali. Se Appenzello Interno, Glarona, Nidvaldo e Obvaldo hanno quote superiori al 40%, altri Cantoni marciano quasi sul posto, come il Ticino che con il 13,8% registra il tasso occupazionale più basso in Svizzera. La ragione principale di questo primato negativo è la vicinanza geografica al confine italiano e la concorrenza da parte dei lavoratori frontalieri, preferiti dagli imprenditori locali perché questi ultimi possiedono migliori competenze linguistiche e una conoscenza più approfondita delle dinamiche lavorative regionali. Oltre al Ticino, altri Cantoni di frontiera, come Ginevra (13,9%), Vaud (15,1%), Neuchâtel (18,9%) e Giura (23,1%), mostrano quote relativamente basse. Dall’altro lato, Appenzello Interno, Uri o Glarona hanno avuto più successo. Nei Cantoni piccoli e rurali, dove tutti si conoscono, è più facile stabilire un contatto diretto tra le istituzioni e i rifugiati, riducendo gli ostacoli burocratici e facilitando l’ingresso nel mondo del lavoro. Secondo gli esperti, tuttavia, non sono solo motivi geografici a spiegare le differenze. Alcuni Cantoni hanno conseguito risultati migliori perché hanno accompagnato e sostenuto le persone con lo statuto S subito dopo il loro arrivo in Svizzera. Un impegno premiato dai risultati, come nel Canton Argovia, dove il tasso di occupazione del 37,6% è sopra la media nazionale.

Per fare il punto della situazione, Didier Ruedin, docente presso il Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione dell’Università di Neuchâtel, ha raccolto le informazioni sull’integrazione delle rifugiate e dei rifugiati ucraini in Svizzera, pubblicando alla fine di ottobre lo studio Ukrainian Refugees in Switzerland: A research synthesis of what we know. Il documento, di un centinaio di pagine, evidenzia alcuni aspetti interessanti. Le barriere linguistiche rappresentano uno degli ostacoli maggiori: buona parte dei rifugiati non parla ancora bene le lingue nazionali, il che riduce le loro possibilità di accedere al mondo del lavoro, soprattutto in settori altamente specializzati. A ciò si aggiungono l’incertezza sulla durata della loro permanenza, le difficoltà nel fare riconoscere le qualifiche professionali e accademiche ottenute in Ucraina – il 70% possiede una laurea – limitando l’accesso a posizioni corrispondenti alla loro esperienza. Infine, un’altra sfida significativa è l’elevato costo delle strutture di accudimento per i bambini piccoli. In Svizzera il 62% delle persone con statuto di protezione S sono infatti donne e madri che hanno bisogno di servizi di assistenza all’infanzia per poter conciliare lavoro e famiglia. Sono questi i principali ostacoli all’ingresso nel mondo del lavoro. Eppure, lo statuto di protezione S ha tra i suoi obiettivi proprio quello di favorire l’integrazione professionale di chi è in fuga da una guerra. Introdotto con la revisione totale della legge sull’asilo nel 1998 in risposta agli esodi causati dalle guerre balcaniche degli anni Novanta, lo statuto S è stato attivato per la prima volta con l’inizio del conflitto in Ucraina, consentendo alle profughe e ai profughi ucraini di soggiornare legalmente in Svizzera e di accedere subito al mondo del lavoro e ai servizi essenziali, come l’assistenza sanitaria e l’istruzione, senza dover passare attraverso il tradizionale processo d’asilo. Fino alla fine di giugno 2024, in Svizzera sono state presentate oltre 106’000 richieste per ottenere lo statuto S, di cui quasi 95’000 sono state approvate. Attualmente circa 66’000 persone beneficiano di questa protezione umanitaria temporanea. Nella sua ricerca, Rudin indica che un terzo delle profughe e dei profughi ucraini spera di rimanere in Svizzera anche dopo la fine della guerra, un altro terzo intende invece tornare in patria il prima possibile per contribuire alla ricostruzione del proprio Paese, mentre l’ultimo terzo non ha ancora deciso dove intende proseguire il suo progetto di vita. Visto il protrarsi del conflitto, il Consiglio federale ha deciso di estendere lo statuto S fino al marzo 2026, anche per offrire maggiore sicurezza alle persone bisognose di protezione e garanzie ai datori di lavoro.

Rispetto ad altri Paesi, con un tasso di occupazione del 29%, la Svizzera si trova nella media europea. Dall’inizio della guerra, più di sei milioni di ucraini e ucraine hanno dovuto lasciare la loro casa. Una ricerca dell’Istituto di ricerca per il mercato del lavoro di Norimberga (IAB) ha analizzato le differenze in materia di integrazione professionale tra i vari Paesi d’accoglienza. Dallo studio emerge che i rifugiati trovano più facilmente impiego negli Stati con una maggiore richiesta di manodopera poco qualificata, poiché questi lavori possono essere svolti anche da persone con competenze linguistiche limitate. Anche i servizi di accudimento per bambini hanno un ruolo significativo. La ricerca evidenzia inoltre che i Paesi hanno adottato strategie di integrazione diverse: alcuni puntano sull’accesso immediato al mercato del lavoro (work first), mentre altri investono in programmi volti a un’integrazione professionale a lungo termine, tramite corsi di lingua e di riqualificazione professionale. Una strategia che, secondo le autrici dello studio, si dimostra vincente sul lungo termine perché favorisce anche l’inserimento nella realtà sociale locale. Per la Svizzera è quindi meglio non mettersi fretta, ma puntare su un’integrazione sul lungo termine visto che i cannoni in Ucraina non sono ancora stanchi di seminare distruzione e morte.

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