Il tavolo di una delle stanze del laboratorio di restauro del Museo Nazionale Romano è pieno di reperti ritrovati all’interno della cosiddetta «Tomba 93», ma l’attenzione dell’ex direttore del museo, Stéphane Verger – che ha seguito l’intero iter di recupero fino alla recente fine del suo mandato – è tutta rivolta a tre oggetti in particolare: una lancia di bronzo, uno scettro in avorio e una bottiglietta di faïence che conteneva profumo. «Anche solo per questi tre reperti valeva la pena il grande lavoro di recupero e restauro che abbiamo portato a termine», esordisce lo studioso.
Questi tre oggetti sono parte del corredo funerario della «Tomba 93», scavata nel 1984 nella necropoli di Laurentina-Acqua Acetosa, vicino a Roma, e poi lasciata per anni nei depositi in attesa di un lavoro di recupero che è arrivato solo qualche anno fa grazie a un contributo di 100mila franchi svizzeri erogati dall’Ufficio federale della cultura elvetico grazie a un bando vinto proprio dal museo romano.
Per oltre tre decenni la «Tomba 93» (così chiamata perché è la novantatreesima scavata in quella necropoli) è stata oggetto di pensieri e interesse da parte degli scienziati. Si trattava di una sepoltura sotterranea, ampia dodici metri quadrati e che presentava un corredo funerario principesco formato da oltre cento oggetti: «La tomba maschile con carro più importante della necropoli con una particolarità che la rendeva davvero unica. Normalmente, in queste necropoli e in questa epoca, i corpi venivano inumati. Tuttavia in questa tomba, in modo del tutto eccezionale, il corpo era stato incinerato e le ossa messe in un piccolo vaso di bronzo con intorno i gioielli più importanti. Un rito che ricorda quello antico villanoviano o laziale, ma anche un rito eroico che viene dalla Grecia, quello detto omerico, perché Patroclo, il compagno di Achille, era stato seppellito così. La similitudine con l’incinerazione aristocratica della tradizione greca è interessante dunque anche a livello storico».
Insomma, bisognava lavorare su quella che si sapeva essere una tomba importante e con un corredo funerario di rilievo, ma per farlo servivano soldi. «Per questo abbiamo deciso, nel maggio del 2021, di partecipare al bando dell’Ufficio Federale della cultura della Svizzera che abbiamo vinto».
«Dal 1° giugno 2005 l’Ufficio specializzato per i trasferimenti internazionali di beni culturali dell’Ufficio federale della cultura è incaricato dell’esecuzione della legge federale sui trasferimenti internazionali di beni culturali», aveva spiegato qualche tempo fa a Tvsvizzera.it Tania Esposito Hohler, funzionaria dell’Ufficio federale della cultura.
Tale legge «recepisce nel diritto interno la Convenzione UNESCO del 1970 e la Convenzione UNESCO del 2001 e disciplina l’importazione di beni culturali in Svizzera, il loro transito, l’esportazione e il rimpatrio dalla Svizzera, nonché le misure contro i trasferimenti illeciti. La concessione di aiuti finanziari per la conservazione del patrimonio culturale mobile è una delle numerose misure previste dalla legge in questione», continuava Esposito Hohler.
Grazie a quei fondi, quindi, è stato possibile iniziare a lavorare sui pani di terra della «Tomba 93». Lavori durati oltre un anno che hanno portato alla luce diversi oggetti (tra cui due scudi, diverse lance e spade, vasi di bronzo e gioielli di ogni tipo) che hanno raccontato molto della vita e delle relazioni dell’aristocrazia laziale del VII secolo a.C.
Si è trattato di scavi complicati. Perché questa era una sepoltura a camera: ampi spazi con oggetti collocati spesso anche su mobili. Il soffitto, essendo di legno, dopo un certo numero di anni cede a causa delle infiltrazioni d’acqua, dei parassiti e delle muffe. Quando il legno cede, crolla tutto ciò che c’è sopra, solitamente massi di pietra. Crollo che distrugge gli oggetti sottostanti, li sposta e li deforma a seconda della loro tipologia. Gli oggetti fragili si rompono, mentre quelli metallici, se ancora in buono stato, si piegano e si deformano, compenetrandosi gli uni con gli altri.
Insomma, un lavoro per niente facile, ma che ha portato i suoi frutti. «In primis, questo scettro di avorio, che è simbolo di potere ma che ci dice anche che in quell’epoca esistevano dei contatti commerciali tra le popolazioni del Lazio e la sponda Sud del Mediterraneo». A riprova di ciò, c’è un oggetto che rappresenta un unicum assoluto: la bottiglietta di faïence – un tipo di ceramica smaltata molto diffusa nell’antico Egitto – che conteneva profumo. E poi una lancia di bronzo, anch’essa segno di potere, che rimanda alle tradizioni regionali dell’Italia.
I lavori di restauro sono ormai terminati. Dunque si potrà entrare presto nella fase due del progetto che prevede in primis l’inizio di uno studio scientifico per arrivare presto a una pubblicazione. E poi la presentazione al pubblico del lavoro svolto. Prima in una mostra, la cui data non è ancora stata stabilita, e poi nella nuova sezione del Museo Nazionale Romano che sarà allestito tra due anni.