Kendrick Lamar e la sfida (già vinta) di GNX

by Claudia

Ad appena due anni da un disco complicato e sofferto, a sorpresa il rapper di Compton ritorna con un nuovo lavoro

Non se lo aspettava proprio nessuno. Forse, perché l’attenzione del pubblico mondiale era stata troppo a lungo catalizzata da una faida potente e reiterata, di quelle cui assistiamo soprattutto nel mondo del rap, a suon di brani sfornati a mo’ di risposta.

Il 22 di novembre Kendrick Lamar ha pubblicato GNX, nuovo album, il sesto realizzato in studio.

Nell’affollato mondo del rap, ora alle prese con uno scandalo monstre, al cui centro vi è il produttore e musicista P. Diddy, Kendrick Lamar è da sempre rimasto un passo indietro, o forse sarebbe più corretto dire «oltre», come sicuramente preferirebbero in molti. Se da un lato i temi della maggior parte di rapper (e trapper), ormai triti, sono – in ordine gerarchico – i soldi, le donne (che non vengono solitamente chiamate così), le infanzie difficili e le madri, Kendrick, al più tardi da quel capolavoro che è Damn (2017), valsogli il Pulitzer della musica, si è invece occupato anche di altro.

Che si tratti delle dipendenze da alcol all’interno della famiglia o della difficoltà di rappresentare una fascia spesso discriminata della società statunitense come quella degli afroamericani, del pregiudizio legato al fatto di essere di Compton o delle cosiddette mental issues, Lamar dà al rap quel che è (o meglio era) del rap e che ne ha segnato gli albori nel 1973, ossia: denuncia sociale e personale in rima, mixata a un flow inconfondibile, a una giusta dose di ironia, spesso amara, e al lavoro straordinario su fiato e voce.

Argomenti così lontani da quello che il pubblico vuole sentire e facilmente ripetere, costituirebbero un suicidio musicale annunciato per qualsiasi rapper che non abbia lo status di Kdot; incasellati e messi in rima nel flow inconfondibile del giovane artista statunitense – non arriva a quarant’anni – però, non possono che confermarne l’expertise che va al di là di qualsiasi critica, e dunque incontra solamente favori. Di pochi giorni fa è anche l’invito ufficiale a presiedere l’ambito half time show del Super Bowl il prossimo 9 febbraio a New Orleans, che in molti si aspettavano sarebbe toccato a Lil Wayne, nativo della capitale della Louisiana, nonché – in passato – fra coloro che, Kendrick, lo supportavano.

Poco si sa della vita privata di Kendrick, che diserta i social così come gli appuntamenti mondani, che al glamour contrappuntato di riccanza (così spesso pacchiano) ed esposizione preferisce la sfera intima e famigliare e una vita cristiana, eppure (o forse proprio a causa della sua presenza rarefatta), ogni sua laconica affermazione, ogni sua barra riesce a scatenare un piccolo terremoto mediatico.

Lo si è visto nello «scambio» tra lui e Drake, in un dissing continuato per settimane e che, se non proprio la sua scomparsa definitiva, ha senza dubbio causato qualche ammaccatura all’immagine del rapper canadese, accusato di pedofilia e colonizzazione culturale. A decretare il successo di quella faida, erano state soprattutto la bomba Not Like Us, prodotta da Mustard (invocato con un urlo già diventato meme, vedi Minions e SpongeBob, in tv off), e 6:16 in LA di quel Jack Antonoff (che sta anche alle spalle di Taylor Swift) che, insieme a Sounwave, di queste dodici nuove track, ne firma la bellezza di undici.

GNX, che prende il nome dal modello di automobili Buick Grand National del 1987, anno di nascita di Lamar, in quello che è stato riconosciuto come un omaggio alla sua Los Angeles, alterna brani orecchiabili al primo ascolto, e quindi molto ballabili, a un tour quasi nostalgico in arrangiamenti densi di sintetizzatori funky che fanno molto West Coast, e più o meno dichiaratamente ricordano l’indimenticato Tupac Shakur, scomparso nel 1996: per averne la prova, basta ascoltare reincarnated.

In man at the garden, Kendrick, facendo anche i conti con sé stesso, lascia ad altri la falsa modestia (ripete a oltranza I deserve, «io merito» ndr) e riesce a evitare di apparire supponente; afferma di essersi meritati lo status sociale e la posizione in cui alla sua giovane età si ritrova, senza per questo avere perso nemmeno un briciolo di quel dolore che da sempre si porta appresso, e che soprattutto nel penultimo album, Mr. Morale and the Big Steppers (2022), affiorava di continuo, rendendo il disco un lavoro sofferto e particolarmente tormentato – e per questo a tratti anche difficile.

Non mancano in GNX excursus anomali, volti a sottolineare un senso della ricerca indiscutibile, che si riverbera nei brani wacced out murals, reincarnated e gloria e si devono alla cantante mariachi losangelina Deyra Barrera. Fil rouge con i lavori precedenti è invece heart, percorso autobiografico iniziato nel 2010 e giunto al sesto episodio, dove (incurante del fatto che Drake avesse già rubato il titolo heart pt. 6 per foraggiare il dissing di cui sopra) il rapper si afferma anche come produttore, dopo avere abbandonato la TDE e fondato la pgLang Company: «Now it’s about Kendrick, I wanna evolve, place my skillset as a Black exec» (Ora le cose ruotano intorno a Kendrick, io voglio evolvere, piazzare le mie competenze come exec di colore, ndr).

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