Aneddoti e ricordi di Livia Ravelli, titolare dell’omonimo storico bar caffè in Largo Zorzi, gestito per oltre un secolo dalla famiglia del marito, Ademaro
Ti accoglie come sempre, da una sessantina d’anni a questa parte, in piedi accanto al bancone del bar. Dietro di lei le foto di famiglia, accanto una cassa ancora funzionante del 1914. Un saluto, qualche scambio di convenevoli, quindi ti affida ai suoi fidati collaboratori – che lavorano con lei anche da trent’anni e più, cosa più unica che rara in un pubblico esercizio – per lasciarti gustare un caffè, un tè, una cioccolata con panna d’inverno o un gelato d’estate, magari sui tavolini che s’affacciano su Largo Zorzi e la grande magnolia. Sempre elegante, con i suoi tailleur pastello e l’immancabile foulard, non manca di chiederti della famiglia, del lavoro, ricordando tutto dell’ultima conversazione avvenuta magari qualche mese fa.
Livia Ravelli, classe 1937, è indubbiamente la signora dei portici di Locarno. Da quando, una decina d’anni fa, è scomparso il marito Ademaro, per i più intimi «Maro», è toccato a lei gestire il bar caffè Ravelli, locale che ha superato il traguardo dei 110 anni di storia e che nel 2025 si appresta a cambiare radicalmente, trasformandosi in ristorante. Toccherà al bis-nipote, Giorgio Ravelli, proseguire la tradizione di famiglia di ristoratori (il padre di Giorgio, Enrico, ha gestito per anni il ristorante Navegna, in riva al lago) ed esercenti. «Alla mia età è giusto lasciare spazio ai giovani che hanno idee ed energia e sono sicura che Giorgio farà un ottimo lavoro, continuando nella migliore tradizione quello che la sua famiglia ha fatto per oltre un secolo», spiega la signora Livia.
Una famiglia, i «Ravell», nella quale è entrata in punta di piedi, nel 1962, quando appunto sposò Ademaro, pasticcere di Locarno, figlio di Giovannino, che nel 1913 inaugurò «L’offelleria Ravelli», come si chiamava all’epoca una pasticceria (da qui il famoso proverbio milanese «ogni ofelè fa il so mester», cioè ogni artigiano faccia il suo mestiere). Tra il Secondo dopoguerra e gli anni 80 del secolo scorso la pasticceria Ravelli ha dettato i tempi della storia locale e del glamour internazionale. La lista delle personalità passate sotto le insegne del caffè o che si sono fermate sulla terrazza è lunga e coinvolgente, richiamando alla memoria un tempo che fu e che probabilmente non tornerà più. Si vedeva spesso l’Aga Khan in compagnia della Begun, un Paul Klee oramai malato che scoprì i savoiardi al marsala confezionati dall’Ademaro, il pittore Italo Valenti, lo scultore Jean Arp e gli intellettuali locarnesi come Marino Marini ed Edgardo Cattori, studiosi come Virgilio Gilardoni, Ettore «Lupo» Ongaro e Pino Bernasconi che si sfidavano tra i tavoli del «Ravell» a colpi di versi di Montale e Ungaretti. Tra questi tavoli nacque l’idea di spostare il Festival del film dal Grand Hotel al maxischermo in Piazza Grande. Un trasloco che non piaceva a Raimondo Rezzonico, ma quando il «patron» vide l’effetto che faceva sul pubblico in piazza la proiezione-test sullo schermo realizzato dall’architetto Livio Vacchini si dovette ricredere. E fu la fortuna del Festival.
«Allora era veramente un mondo diverso, i clienti parlavano tra loro, discutevano, anche animatamente ma sempre con rispetto, non si rinchiudevano dietro lo schermo dello smartphone come oggi. E nascevano o si consolidavano amicizie vere», dice. In punta di piedi, con discrezione, ma con un piglio e una personalità capaci di «comandare su tutto» come diceva spesso Ademaro quando era ancora in vita, la signora Livia governa da par suo il locale che è un unicum tra i pubblici esercizi della regione e forse del Canton Ticino. Nata Dillena, patrizia di Intragna, commessa di una boutique di abbigliamento per bambini, Livia Ravelli dopo le nozze si catapultò nella «nuova belle époque» vissuta e disegnata da turisti, residenti e da personaggi del jet set che arrivavano a Locarno per il Festival e si sedevano ai tavolini del suo bar per gustarsi un tè con i pasticcini o il gelato, mangiando una piadina o una pizza, osservando il via vai sotto i portici. Tavolini in legno massello e sedie «griffate» Giò Ponti per Cassina (l’arredamento di design d’epoca è rimasto tuttora, salvato da ben tre alluvioni che hanno allagato piazza e portici). Mobili importanti, massicci, perché al «Maro» e a sua moglie Livia non sono mai mancati il buon gusto e il piacere di circondarsi del bello e firmato. «Ricordo però con molta ammirazione la baronessa Von Thyssen, che con il suo seguito alloggiava al Grand Hotel ma non mancava mai di venire da noi per gustarsi i dolci che Ademaro le preparava. Poi da Villa Favorita a Lugano non disdegnava una gita a Locarno anche fuori dal periodo festivaliero e naturalmente veniva a farci visita, apprezzando anche le opere di Edgardo Cattori e di altri artisti che mio marito collezionava. Quella sì era una donna di gran classe», ricorda con ammirazione Livia che però per la sua storia e il suo portamento non ha nulla da invidiare alla nobildonna spagnola.
Il bar caffè Ravelli, anche quando nel 1980 cessò con la pasticceria per concentrare la sua attività come pubblico esercizio, è sempre stato un crocevia di idee e personalità. Ademaro era il catalizzatore, ma la signora Livia, un passo indietro al marito, coltivava relazioni, amicizie e riusciva persino a mettere d’accordo i suoi impegnativi clienti. «Per tanti anni sedettero allo stesso tavolo, accanto al bancone, l’editore Armando Dadò, il senatore Sergio Salvioni, gli architetti Livio Vacchini e Luigi Snozzi, che nonostante fossero concorrenti si stimavano vicendevolmente, l’avvocato Luciano Giudici, quindi Flavio e Gianfranco Cotti, che avevano lo studio qui accanto e al Ravelli erano di casa.
Poi artisti e intellettuali ai quali si aggiungevano municipali e sindaci dell’epoca. Alle 13.30 quasi ogni giorno, c’era la tradizionale «ora culturale» del caffè Ravelli, dove sorseggiando un caffè, tostato personalmente da Ademaro, si discuteva di politica, di cronaca, di fatti e misfatti, di presente e futuro, ma sempre in amicizia, nonostante gli avventori avessero radici e orientamenti così diversi. E poi magari si finiva a giocare a carte, nel salottino al piano di sopra», racconta.
Un’abitudine, quella della partita a carte, che la signora Livia coltiva ancora oggi, con le sue amiche di sempre, a cominciare da Carla Del Ponte, l’ex magistrato con la quale condivide anche qualche buca al Golf Club di Ascona. «L’anno prossimo compirò 88 anni, ma salute permettendo un giro sul green cerco sempre di farlo ancora», dice sorridendo la signora dei portici di Locarno.