San Bernardino alle Ossa

Me lo aveva raccontato una modella secoli fa, al bancone una notte da Peppuccio, bar-tabacchi unico alla darsena, questo posto «dove il macabro incontra la grazia del barocco». Disse sorseggiando un rabarbaro con il seltz, confessandomi di esserne ossessionata al punto da doverci andare ogni giorno. Non ci sono mai andato, all’epoca, nella «più strana chiesa che vi sia in Milano» come afferma Carlo Romussi in Milano ne’ suoi monumenti (1875). Di corsa attraverso via Verziere. E sbaglio chiesa, entrando prima in quella di Santo Stefano dove nel 1571 viene battezzato Caravaggio e Galeazzo Maria Sforza nel 1476 è accoltellato a morte. La chiesa dedicata al santo predicatore – protettore di chi ha perso la voce, stenografi, pubblicitari – dal volto smunto e gli occhi acutissimi, invece è a fianco, di lato. Nell’ambulacro, una freccia sul marmo indica la via per l’ossario. Una quindicina di passi lungo un corridoio con ex voto d’argento in bacheca e avevano ragione Romussi e la modella: a bocca aperta lascia questa cappella-ossario. Centinaia di ossa – teschi, femori, tibie o cos’altro – sono accatastati, con cura e geometria, nelle nicchie. E seguendole con lo sguardo su su fino al soffitto a volta affrescato, si è travolti dall’esplosione barocca di nuvole e angeli in volo avvolto da un pulviscolo d’oro prototiepolesco.

Alcuni teschi e ossa sono posti fuori, sulle lesene nerofumo, formando delle decorazioni verticali con motivi pirateschi. E sopra le nicchie, come fregi rococò. E poi ancora sopra, sulla trabeazione, file di teschi e ancora più su ossa dappertutto, qua e là, decorative, fino a condurti al soffitto. L’affresco è opera di Sebastiano Ricci (1659-1734), prodigioso pittore di Belluno, precursore del Tiepolo. Intitolato Trionfo di anime in un volo d’angeli (1695), è una meraviglia già così, eppure è la miscela con i morti ammassati in bellavista, nel cuore di Milano, a innescare lo stupore estremo di questa Wunderkammer metropolitana. L’idea risale a dopo il 1642, quando crolla il campanile di Santo Stefano distruggendo l’antico ossario: la confraternita dei Disciplini lo ricostruisce con grazia barocca e horror vacui stipandolo all’eccesso. Quattro lampade da teatro agli angoli, illuminano il memento mori monumentale che diventa leggiadro in alto, con le anime in volo, liberate e rischiarate di luce naturale dalle quattro finestrelle.

I teschi, dietro la ramina, in mezzo, in ogni parete, come un mosaico, formano una croce. Da vicino, si notano alcune parti eburnee nei teschi imbruniti dai secoli. Alcune maglie delle reti sono allargate, un biglietto è dentro una cavità oculare, due rose sono ficcate dentro le orbite, perlustrando per bene qua e là trovo anche, nascosto, un asso di cuori. Qualcosa qui mi ricorda la sacralità magica di Santa Maria delle Anime al Purgatorio di Napoli, senza però di certo neanche sfiorare quella familiarità speciale con la morte: prendersi cura dei crani senza nome posando persino sigarette. Eppure quelle zone levigate dalle dita dei devoti mostrano vicinanza e mi tentano. «Anche il deraciné o l’illuminista più incallito prova la tentazione di toccare: e tocchi! Senza paura!» trovate scritto nella Guida ai misteri e segreti di Milano (1967) a cura di Mario Spagnol e Giovenale Santi. Titubante, tocco un teschio con il polpastrello dell’indice, lo accarezzo e la sensazione è gradevolissima, come d’avorio o la più fine porcellana di una tazzina da tè dello Staffordshire.

Secondo una leggenda, le ossa che rivestono le pareti, sono di cristiani guidati da Sant’Ambrogio e morti in battaglia con gli ariani. Altre voci dicono siano poveri morti al vecchio ospedale del Brolo, i priori che lo dirigevano, carcerati, nobili di sepolcri scomparsi; mentre i condannati a morte, si dice, sono quei teschi nelle cassette sopra la porta. A ogni modo poco importa sapere chi siano, le vecchie sciure milanesi l’hanno sempre chiamato l’ossario degli innocenti. Re Giovanni V del Portogallo, noto dissipatore, colpito da questo luogo eteroclito, ha voluto riprodurne una copia fuori Lisbona. Ossessionato da San Bernardino alle Ossa è stato, pare, anche uno dei fondatori, in viale Regina Giovanna, del primo supermercato d’Italia. Sui pennacchi sagomati in alto, un po’ come pensieri dei fumetti, da notare, le apoteosi debordanti dei santi.

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