Le studentesse sudcoreane alzano la voce

by Claudia

Mentre le autorità proclamano e poi revocano la legge marziale, un’università femminile diventa il simbolo della lotta per i diritti delle donne in un Paese che non li riconosce affatto

A Seul, la capitale della Corea del sud, tutti parlano della legge marziale durata 150 minuti, proclamata a sorpresa dal presidente Yoon Suk-yeol martedì scorso contro «le forze anti-istituzionali» del Paese, e poi subito revocata grazie al forte sistema democratico sudcoreano, ma che in quella nottata di caos, blindati per strada e voti parlamentari notturni ha aperto una profonda ferita nel Paese. Una crisi che non è soltanto politica ma che riguarda la società intera, polarizzata ed estremizzata, di una Nazione che ha ancora molto da elaborare del proprio passato e da far evolvere nel proprio presente. Quello che è accaduto di recente in una nota università di Seul aiuta a spiegare un pezzo di questa storia.

Due giovani sulla ventina sono stati arrestati dalla polizia della capitale perché sorpresi a scavalcare la recinzione per introdursi nel campus della Dongduk Women’s University. I due hanno poi spiegato alle forze dell’ordine che volevano dare un’occhiata perché incuriositi da quello che stava succedendo all’interno dell’università, e magari scattare qualche foto. In Corea del Sud quel campus è infatti diventato un caso, per la protesta delle sue studentesse: una vicenda che ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il problema della parità di genere nel Paese e del violento sentimento anti-femminista che muove gran parte della società iperconservatrice coreana.

È iniziato tutto il 4 novembre scorso, quando il consiglio universitario ha aperto ufficialmente alla possibilità di ammettere studenti maschi ai corsi. La Dongduk Women’s University, fondata nel 1950, si trova nel Distretto di Seongbuk della capitale sudcoreana. È un’università privata, non è particolarmente prestigiosa come la Ewha Womans University, ma è una delle otto rimaste su tutto il territorio nazionale ad accettare soltanto studentesse di sesso femminile. Le scuole esclusivamente femminili in Europa ricordano qualcosa di antico e superato, ma sono luoghi che le donne coreane rivendicano per una ragione: la presenza di colleghi maschi, secondo molti studi pubblicati recentemente, le penalizza dal punto di vista delle performances scolastiche – a parità di preparazione i maschi sono quasi sempre privilegiati – e anche nella vita quotidiana. Con lo stesso diploma di laurea, un uomo ha molte più possibilità di trovare lavoro rispetto a una donna. Inoltre, la cultura maschilista delle università miste costringe le donne a seguire tradizioni considerate ormai superate, come il ruolo subordinato e servizievole che dovrebbero avere nei confronti degli studenti maschi. Questi ultimi, spesso più grandi delle loro colleghe a causa del servizio militare obbligatorio, godono di maggiore considerazione.

Anche per queste ragioni, le donne occupano appena il 20 per cento dei seggi parlamentari in Corea e rappresentano solo il 7,3 per cento dei dirigenti delle prime cinquecento aziende del Paese, che si classifica al 94° posto su 146 Paesi in termini di uguaglianza di genere (secondo il World Economic Forum). Quando la Dongduk Women’s University ha iniziato a ventilare l’ipotesi di un’apertura anche agli studenti maschi, lo ha fatto per via del declino degli introiti delle iscrizioni legato alla crisi demografica. Tuttavia le studentesse hanno immediatamente iniziato la loro protesta: è stato creato un comitato d’emergenza e avviato un presidio permanente nel campus, con lezioni boicottate e tenute online come ai tempi del Covid.

«Sebbene l’università non sia un rifugio perfetto, ci siamo sempre sentite libere all’interno del campus universitario, ed eliminare uno spazio sicuro dove le donne possono esprimere liberamente le proprie opinioni va contro gli scopi fondativi dell’università», ha dichiarato ai media coreani Lee Song Yi, copresidente del comitato d’emergenza universitario. C’è stata addirittura una votazione studentesca, in cui, delle 1973 studentesse che hanno partecipato, 1971 hanno votato contro la proposta di apertura e due si sono astenute. Col passare dei giorni la situazione si è fatta più tesa: il 12 novembre scorso al campus è arrivata la polizia, chiamata ufficialmente per «rumori notturni». C’è un video di quel confronto, in cui un agente dice alle ragazze: «Un giorno sarete insegnanti e madri, quale esempio darete?», una frase sessista che ha provocato ancora di più la rabbia delle manifestanti.

È bastata una settimana perché la protesta alla Dongduk attirasse l’attenzione di attivisti per i diritti degli uomini e di altre figure politiche di estrema destra e populiste, trasformando il conflitto legato all’università in qualcosa di più esteso. L’associazione sudcoreana Man on Solidarity, molto nota per le sue posizioni anti-femministe e in passato più volte criticata per aver preso di mira e molestato attiviste femministe, ha organizzato delle proteste e dei sit-in contro le ragazze della Dongduk, iniziando una campagna sui loro seguitissimi social contro le «radicali femministe» delle università.

Qualche esponente politico non ha perso l’occasione di criticare la «dottrina woke», ed è allora che sono iniziate perfino le minacce online, anche di morte, contro le studentesse. Una dei membri del consiglio studentesco ha dichiarato a «The Guardian» in forma anonima: «La decisione unilaterale dell’università, presa senza consultare chi vive e studia qui, ci ha lasciato senza scelta se non alzare la voce». Le donne coreane sono ormai abituate a farlo: come quando, a milioni, qualche anno fa sono scese in piazza per chiedere di criminalizzare l’installazione delle microcamere e la diffusione senza consenso di video intimi. Oppure più di recente, qualche mese fa, per chiedere alle istituzioni di intervenire per fermare «l’epidemia di deepfake pornografici», ossia falsi video con il volto di donne comuni usati per lo più a scopo estorsivo. Il 22 novembre scorso il consiglio universitario ha comunicato alle studentesse di aver archiviato, per il momento, l’ipotesi di un’apertura a studenti maschi: la prima battaglia l’hanno vinta loro. Le lezioni sono ricominciate, ma la Dongduk è già un simbolo della lotta per i diritti delle donne in Corea del Sud. Nessun politico, né di destra né di sinistra, men che meno l’uomo della legge marziale Yoon Suk-yeol, ha mai ancora affrontato politicamente il tema dei diritti, delle libertà delle donne e della parità di genere in Corea del Sud, e questo qualcosa vorrà dire.

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