Sulle orme del santo bevitore

by Claudia

Parigi, Roth e Olmi: alla ricerca dei miracoli nascosti tra le pieghe della vita

Mi ha sempre affascinato il racconto di Joseph Roth, La leggenda del santo bevitore, che Ermanno Olmi ha tradotto in un capolavoro della cinematografia. Il film – ambientato in una Parigi dall’atmosfera trasognata – è delicato e struggente e reca, come sempre nella poetica del regista dai tempi narrativamente «lunghi», l’impronta di chi si accosta in punta di piedi alle vicende degli umili.

La storia riverbera un poco la biografia di Roth, romanziere austriaco di origine ebraica, morto nel 1939, a Parigi, dove si era rifugiato per sfuggire alla persecuzione razziale.

La trama la conosciamo tutti. Andreas Kartak, un ex minatore oriundo della Slesia caduto in disgrazia per un delitto d’amore, trascorre la sua esistenza tra i diseredati che hanno nei ponti della Senna il proprio rifugio.

Ma l’inaspettato prestito di duecento franchi da parte di uno sconosciuto benefattore, con la sola condizione di riportarli la domenica mattina nella chiesa che custodisce la statua di Santa Teresa di Lisieux, diventa l’inizio di una specie di odissea metropolitana, nella quale si assiste al prodigio della continua rinascita di un uomo alla deriva. Tra un Pernod e l’altro, Andreas incappa in una serie di situazioni che interferiscono nella sua determinazione d’onore di restituire i duecento franchi. Ma, in modo inatteso, il miracolo si rinnova e il protagonista riceve altre somme di denaro.

È il segno della predilezione del divino, che irrompe nella storia vincendo anche il torpore alcolico di un clochard e trasformando le persone in destinatari di un misterioso messaggio di amore. L’appuntamento indicato dalla provvidenziale mano della piccola Teresa è proprio là, nella chiesa di Sainte-Marie des Batignolles. Ed è nella sagrestia del tempio che il «santo bevitore» spira, dopo aver incontrato una bambina, di nome Teresa, che egli riconosce come la sua benefattrice celeste.

L’apparizione di Teresa all’ormai agonizzante Andreas avviene in un bistrot accanto alla chiesa, e l’uomo scoppia in lacrime davanti a quella ragazzina che afferma di aspettare i suoi genitori.

Nel dialogo, Olmi è fedele, nel rifarsi, quasi parola per parola, al testo originale di Roth: «È incredibile, io mai avrei pensato che una santa così grande e così piccola, una creditrice così piccola e così grande, mi facesse anche l’onore di cercarmi dopo che ho mancato per tante volte il mio impegno di venire da lei. Capisco, lei è molto delicata e premurosa, ma io ho mancato, le devo duecento franchi e ora posso sdebitarmi, finalmente, signorina santa».

Quei volti e quelle intense scene del film mi erano rimasti impressi, così, trovandomi a Parigi, sono voluto andare a cercare la chiesa di Sainte-Marie des Batignolles. Quanti senza dimora vivono rintanati dentro i cunicoli della metropolitana, o sotto i ponti, come ai tempi di Roth. E chissà che gioia per loro sarebbe udire il fruscio di quelle banconote sfregate tra le mani. Cammino, dunque, sulle orme del santo bevitore e concentrato, quasi rapito, nel piccolo vortice dei prodigi capitati ad Andreas. Scendo alla stazione «Rome» del metro, nel diciassettesimo arrondissement.

La chiesa è un edificio classicheggiante, la cui forma è quella di un tempio greco con un frontone triangolare sostenuto da quattro colonne di ordine toscano. È un giorno feriale, sul sagrato non c’è certo l’animazione domenicale descritta nel film, con i chierichetti che giocano a rincorrersi. Ma Sainte-Marie ha una storia che merita di essere conosciuta.

Costruita tra il 1828 e il 1851, secondo la leggenda la chiesa deve il suo nome a una statuetta in bronzo, una Vergine con bambino e globo terrestre, che sarebbe stata rinvenuta durante i lavori di scavo delle fondamenta. All’interno del tempio, semplice e disadorno, si trova però un’altra statua, quella di Thérèse di Lisieux. Una figura affusolata e misticamente protesa al Cielo, come una Madonna dei tempi moderni.

Nel racconto di Olmi, la raffigurazione della santa appariva nella penombra, ma come animata e resa viva dall’intensità della liturgia che si celebrava nella chiesa. Ora, davanti a me, quell’icona è immersa nel silenzio dell’eternità. Sainte-Marie è completamente vuota, non c’è nessuno che preghi e s’inginocchi davanti a Teresa.

Non c’è Andreas Kartak, passato a miglior vita, e si comprende come l’incantesimo di quel mondo un po’ magico descritto da Roth si sia dissolto come le brume al primo mattino. Sembra tutto un castello di fantasia, nel deserto poetico di una civiltà che non ha il tempo di sostare a riflettere. Ma la fede non può essere una fiaba sentimentale.

Forse, in un angolo, c’è ancora chi spera nel gesto di una santa, capace di chinarsi sulle nostre miserie. L’evento che cambia la vita può passare anche attraverso gli odori acri di un bistrot, come è accaduto nella lunga notte di Andreas che Olmi ha descritto magistralmente.

Nell’inferno di questa vita terrena, che ti crocifigge, a ciascuno tocca un anticipo di paradiso. E che Dio conceda a tutti gli assetati d’alcol e d’infinito una morte così lieve e bella.

ABBONAMENTI
INSERZIONI PUBBLICITARIE
REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO
MIGROS
SCUOLA CLUB
PERCENTO CULTURALE
MIGROS TICINO
ACTIV FITNESS TICINO