Per la mia generazione Jerry Lewis era l’appuntamento fisso televisivo della domenica mattina. Con o senza Dean Martin, ci ha fatto sbellicare dalle risate per anni. Oggi che – tra TV generalista, streaming e Internet – lo spazio televisivo «verticale» è centuplicato, i film di questo artista scomposto della risata sono letteralmente spariti. Un destino artisticamente infelice che spesso ha colpito soprattutto i grandi della comicità, ma che in questo caso può avere più di una spiegazione, nessuna capace in ogni caso di lenire questa assenza.
Innanzitutto per l’enormità del genio artistico di Lewis. Consideriamo solo il sodalizio tra Jerry Lewis e Dean Martin, che è addirittura una delle storie più iconiche dello spettacolo del XX secolo. Una storia che nacque da un incontro casuale nel 1946, e che presto divenne una «storia d’amore» (artistica e umana), come la definì Lewis nella sua autobiografia. Dean, con il suo fascino rilassato, e Jerry, con la sua energia travolgente, formarono una coppia che travolse il pubblico americano, dai nightclub al cinema, fino alla televisione. I 16 film che realizzarono insieme tra il 1949 e il 1956 furono un trionfo, segnando un’epoca in cui il duo rappresentò il volto dell’America post-bellica, con il loro mix di slapstick e glamour. Tuttavia, dietro il successo si nascondeva una dinamica complessa: l’amicizia fraterna si scontrava con le tensioni professionali. Tra Jerry e Dean c’era un rapporto professionale simile a quello tra Stan Laurel e Oliver Hardy. Jerry-Stan erano la metà della coppia più interessata all’aspetto artistico (autorale e registico); Oliver e Dean, invece, una volta finito di girare, salutavano e andavano a giocare a golf.
Diverso era però il loro rapporto personale: per buona parte della loro carriera, infatti, Stan e Oliver non godettero di uno strettissimo rapporto di amicizia (arrivò più tardi) e Oliver aveva un rapporto molto distaccato con la propria professione, non avendola mai posta al centro della propria vita. Né Stan aveva la stessa ingombrante esuberanza di Jerry, che a lungo andare portò invece Dean – sempre più oscurato in un ruolo da «spalla» – a staccarsi in primis emotivamente. Nel 1956, dopo anni di frizioni, la separazione tra i due fu inevitabile. Per Jerry fu un colpo devastante, tanto che l’ombra di quell’amore artistico rimase una costante nella sua vita lasciando un vuoto incolmabile negli stessi fan: nel 1976, quando durante uno speciale televisivo i due si riabbracciarono grazie alla mediazione di Frank Sinatra, il pubblico godette di uno dei momenti più carichi di emozione e nostalgia offerti dalla TV americana.
La vita «affettiva» di Jerry Lewis fu altrettanto tumultuosa nel privato. Sposato due volte, ebbe sei figli con la prima moglie, Patti Palmer, e una figlia adottiva con la seconda moglie, SanDee Pitnick. Tuttavia, il suo primo matrimonio fu segnato da infedeltà croniche, che lo stesso Lewis ammise: le sue relazioni extraconiugali, tra cui si vocifera una con Marilyn Monroe, divennero parte del mito attorno alla sua figura, evidenziando allo stesso tempo anche la sua difficoltà a mantenere legami stabili e sani. Anche l’amore per i figli, sempre pubblicamente dichiarato, si rivelò in realtà problematico. La decisione nel 2012 di escludere i figli del primo matrimonio dal testamento creò grande scalpore alimentando la narrativa di un uomo distante e freddo che certo le parole del figlio Gary, che lo definì «malvagio e crudele», non aiutarono a contrastare. Ma l’opinione pubblica fu messa di fronte al lato oscuro della personalità di Jerry negli anni successivi alla sua morte, avvenuta nel 2017.
Nel 2022, un reportage pubblicato su «Vanity Fair» portò alla luce accuse di abusi sessuali da parte di diverse attrici che avevano lavorato con lui negli anni 60. Le testimonianze descrivevano episodi di molestie, come quello raccontato da Karen Sharpe, che denunciò il comportamento predatorio di Lewis sul set de L’idolo delle donne (1961).
Secondo le attrici, il potere di Jerry Lewis a Hollywood e l’ambiente fortemente maschilista dell’epoca permisero che queste storie venissero taciute per decenni. Le stesse dichiarazioni di Lewis in cui ammetteva di essere stato «egoista» e incapace di resistere alle tentazioni lasciano poco spazio all’immaginazione sul contesto in cui si verificarono questi episodi.
Nonostante le ombre – accentuate da numerosi episodi in cui il suo caratteraccio (frutto anche di dipendenze da farmaci causate da un grave infortunio alla spina dorsale che si era procurato per un capitombolo di troppo sul palco) lo fece prorompere in dichiarazioni urticanti –, l’amore di Jerry Lewis per il suo pubblico e per la comicità è indiscutibile. Innovatore instancabile, perfezionista e regista visionario, Lewis ha rivoluzionato il linguaggio cinematografico, introducendo tecniche come il video assist, oggi standard nell’industria. Film come Le folli notti del dottor Jerryll (1963) rimangono capolavori della commedia mondiale.
La sua dedizione alla filantropia, attraverso i Telethon per la distrofia muscolare, mostrò un lato umanitario che coesisteva con le sue debolezze. Raccogliere oltre due miliardi di dollari per una causa nobile è un risultato che pochi artisti possono vantare. Ma queste sue luci non riuscirono evidentemente mai a bilanciare il peso delle sue ombre. E in un’epoca in cui la cancel culture (se mai i due termini possano essere associati…) la fa da padrona, anche il suo genio artistico ha dovuto piegarsi a un oblio che sa tanto di imposto.
Se è vero che l’artista e l’uomo spesso si intrecciano in modo indissolubile, nel caso di Lewis l’arte brilla di luce propria, nonostante le ombre dell’uomo. E forse è così che preferiamo (e dobbiamo) ricordarlo, usando le sue stesse parole: una «scimmia» irresistibilmente comica che ha ricevuto poco amore ed è riuscito a darne ancor meno, se escludiamo quello regalato in grande abbondanza ai suoi fan.