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La curiosità stimola la creatività

by Claudia

Alcuni mesi fa, su Azione, proponevo qualche riflessione sul tema delle variazioni e sulla loro rilevanza per tutti i sistemi viventi, riguardo all’evoluzione, alla cultura, nel senso antropologico del termine, e alla stessa vita quotidiana. In sintesi, la vita, individuale e collettiva, si alimenta di variazioni continue senza le quali non ci troveremmo solo in una «monotonia» improduttiva ma finiremmo per spegnerci tanto in termini biologici quanto in termini culturali. Ma, nell’essere umano, qual è il motore che genera variazioni efficaci, in particolare di ordine culturale? Ovviamente un forte impulso deriva da stati di necessità, come carestie, disastri naturali o pericoli di altra natura per salvarci dai quali cerchiamo qualcosa di nuovo cui affidarci.

Ma in situazioni di stabilità delle condizioni di sopravvivenza ciò che ci spinge a cercare variazioni è senz’altro la curiosità. Proviamo ad immaginare come sarebbe la nostra esistenza se la curiosità sparisse dalle nostre motivazioni di base e ne capiremo subito l’importanza. Senza curiosità non avremmo alcun interesse per la cronaca né per ciò che accade dietro l’angolo, in altri termini non saremmo più «curiosi» – nel senso leggero della parola – e tutto ci scorrerebbe addosso senza mai chiederci «chi, perché, come». Ma sparirebbero anche le scienze, la tecnologia, la storia, la filosofia e le arti, cioè attività nelle quali la curiosità raggiunge i livelli più alti e costituisce, in fondo, la premessa della creatività.

Se la curiosità, quella che conta, è una risorsa che non raramente si rivela strategica per generare variazioni e conoscenze innovative, ci si può chiedere in cosa consista e cosa la generi prendendo atto che, come per la creatività e la stessa intelligenza, manca una spiegazione generale soddisfacente. Possiamo comunque osservare che lo scopo immediato della curiosità è riempire un vuoto conoscitivo. Ciò accade quando, passeggiando nel centro di una città straniera, ci chiediamo perché l’architettura sia così diversa da quella delle nostre città. Ma è anche la domanda che si fece Charles Darwin visitando il Brasile quando constatò la sua grande differenza naturalistica rispetto ad altre parti del mondo. Ed è della stessa natura il quesito che si pose Albert Einstein osservando l’orologio della stazione, riflessione che lo portò a concepire la teoria della relatività ristretta.

In definitiva, la sensazione di essere di fronte ad un vuoto conoscitivo è generata da un’esperienza insolita, come un rumore inatteso o l’individuazione di un segnale elettromagnetico strano proveniente dallo spazio, un inusuale comportamento da parte di un cane o un’imprevista crisi economica. Ma non tutti, per secoli, si sono chiesti, come si dice aver fatto Isaac Newton, perché mai una mela cada dall’albero.

Ciò significa che la curiosità, ai suoi vari livelli, pur essendo presente in tutti gli esseri umani (e, con funzioni diverse, anche negli altri animali) stimola la ricerca solo in alcuni mentre in altri prevale qualche altra attitudine psicologica o la pressione di qualche altra gerarchia di interessi. Chi ha una certa età ricorderà come, da bambini, fosse diffusa l’abitudine di «aprire il giocattolo», per vedere cosa c’era dentro, come funzionava. Si trattava di una sorta di palestra nella quale si iniziava ad apprendere il senso della realtà e la difficoltà di dominarla.

Le ultime generazioni non possono «aprire il giocattolo» perché, sia sotto il profilo hardware sia in fatto di software, un cellulare o un computer sono impenetrabili. In compenso, la quantità di informazione circolante nei dispositivi citati è gigantesca e non presenta, di norma, difficoltà di comprensione perché quasi sempre offre informazioni o prodotti standard e conoscenze precostituite non lasciando, dunque, molti «vuoti» da colmare. Ma la realtà è colma di problemi e, per questo, il celebre fisico e Premio Nobel Richard Feynman aveva proposto una specie di test per valutare lo sviluppo della curiosità nei giovani invitando a porre loro la domanda «cosa hai chiesto a scuola oggi?». Fare, e farsi, domande è talvolta persino più importante che fornire risposte. Perciò, la scuola dovrebbe innanzitutto stimolare la curiosità – magari premiando chi fa le domande più interessanti e non solo chi ha la risposta pronta – prima che essa si eclissi dietro la potente e allettante massa delle conoscenze già disponibili e delle «cose fatte».

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