Un ritorno al futuro musicale

Cominciamo parlando del film di Fabio De Luca e Christian Gilardi, Quando la musica era Radiosa, proposto dalla RSI e disponibile sul suo sito, nelle pagine di Paganini. Non è facile condensare la storia di un’esperienza musicale così lontana nel tempo e nel gusto. Oggi, grazie a qualsiasi piattaforma di streaming è possibile ascoltare musica del passato e farla interagire con brani più moderni, per cui l’Orchestrina Radiosa, nata in seno alla nostra radio negli anni 40 del 900, non è del tutto anacronistica. Solo un po’ impolverata. Ma per quello che riguarda l’aspetto (tele)visivo, una volta accettata la sfida di ripercorrere attraverso interviste e filmati d’epoca lo svolgersi di quell’avventura, occorre rendere appetibile a un pubblico odierno la storia di un’era lontana.

Ci riesce bene De Luca: il suo documentario mescola filmati d’archivio e riprese attuali, TV in bianco e nero e a colori, scegliendo una narratrice giovane e versatile, la cantante Julie Meletta, e giocando su registri creativi postmoderni (con uso dell’IA) che possono incuriosire lo spettatore TV di oggi. Come in una sorta di Ritorno al futuro musicale, il documentario sulla storia dell’orchestra di Fernando Paggi si dipana attraverso le sue numerose epoche di attività, soprattutto mostrando le eccellenti prerogative solistiche dei suoi componenti, Mario Robbiani in testa. Si trattava di un’iniziativa coraggiosa per l’epoca e impossibile oggi. E questo è un punto importante di tutto il discorso.

La storia dell’Orchestra Radiosa è la storia di un patrimonio di cultura musicale che vuole ricordarci un periodo d’oro della produzione artistica del nostro cantone. «Suonava una specie di jazz» annota Theo Mäusli in un’intervista raccolta da Aldo Sandmaier per il suo Album del jazz di famiglia. Suonava, per meglio dire, del pop mainstream in un’epoca in cui il jazz era un ingrediente fondamentale anche delle canzoni d’intrattenimento, un linguaggio alla moda condiviso tra ascoltatori e musicisti. La Radiosa era, potremmo dire, una «fabbrica di musica», che doveva produrre a getto continuo la colonna sonora musicale della nostra Radio. Brani originali, arrangiamenti di successi internazionali, standard jazzistici all’acqua di rose, tutto concorreva a creare un flusso melodico trasmesso via etere.

Quando nel 1985 la Radiosa fu sciolta, fu perché la produzione discografica internazionale era ormai talmente diffusa e ricca da rendere troppo costoso, inutile, il mantenimento di una formazione attiva sette giorni su sette.

Eppure quella denominazione, «Orchestra Radiosa», rappresenta per noi boomer un punto di riferimento affettivo, prima che musicale. Ci ricorda, come dice ancora Sandmeier, che il suo lato migliore la band lo ha offerto nei veglioni, «negli spettacoli pubblici, nei varietà, nelle tombole radiotelevisive», incarnando insomma il cuore musicale di un Ticino vivacissimo e in pieno decollo economico.

E poi c’è la musica. Il documentario di De Luca e Gilardi è stato presentato nel corso di una serata pubblica in cui l’Orchestra Radiosa è stata «richiamata in vita» (anche questo showcase è sul web, sito RSI). La scommessa è stata quella di far vivere, con un intento quasi filologico, un’esperienza di musica «tutta ticinese». L’orchestra quindi «rinasce» in una formazione simile all’originale, proprio perché coinvolge alcuni tra i migliori solisti attivi sulla nostra scena musicale (i tre fratelli Quinn, Christian Zatta, Filippo Valli, Didier Yon e Giulio Granati), affidati alle cure di Gabriele Comeglio. Il risultato è un organico improbabile, ma incredibilmente interessante.

E quando si sente suonare questo splendido ensemble le idee cominciano a chiarirsi nella testa. Conoscendo i musicisti, la loro preparazione tecnica e la loro personale visione musicale, si capisce che costringerli in questo repertorio d’epoca è una bella sfida. Un esercizio obbligato di understatement. Viene da pensare a cosa potrebbero dare, come gruppo, se lasciati liberi di esprimere la loro musicalità personale. Ne verrebbe fuori un progetto musicale di livello considerevole. Sia come sia, il repertorio, costituito in gran parte da standard e da canzoni d’epoca, scorre ben oliato, con qualche guizzo (significativo) al momento degli assoli. A ravvivare il concerto concorrono poi alcuni ospiti come la cantante Anna Blaesi, la cantante e flicornista Justine Tournay, la flautista Nancy Meier e il glorioso, inossidabile Franco Ambrosetti (collaboratore d’eccezione della vera Radiosa).

Insomma, la riedizione della Radiosa fa toccare con mano, il «dramma» (sia detto giocosamente) della Radiosa. Un’orchestra di quasi jazz, i cui musicisti avrebbero potuto osare di più in termini di qualità musicale e di personalità strumentale. Ma erano semplicemente travet della radio da intrattenimento, maestri del «sottofondo di qualità» che, forse, come dicevamo, trovavano la vera ragione di vita suonando nelle situazioni pubbliche, meno formali. Di quella Radiosa, più libera e sincera, ci piacerebbe sentire oggi qualche brano, per scoprire qualcosa in più sulla bravura dei nostri musicisti di allora. Su quella dei musicisti di oggi, anche grazie a questo curioso esperimento, non abbiamo dubbi.

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