Il giovane Al Pacino nei panni di Michael Corleone nel film Il Padrino (still dal film omonimo, Paramount)

In “Sonny Boy”, l’infanzia e la carriera di Al Pacino

by Claudia

Il South Bronx è stato il suo Actors Studio e il Teatro il suo primo psicanalista, ma come racconta Al Pacino in Sonny Boy. Un’autobiografia, appena pubblicata da La nave di Teseo, ciò che lo ha portato a essere il grande attore che è oggi è stato, sin dall’inizio, il suo «desiderare pervicacemente l’impossibile», perché oltretutto «era povero, e i poveri non recitano».

Sonny Boy, il soprannome che l’ha seguito per tutta l’infanzia, glielo aveva dato sua madre, prendendo il titolo di una famosa canzone di Al Jolson, in voga quando lei era adolescente, non che fosse molto più vecchia nel 1940 quando era nato lui, primo e unico figlio di una coppia di diciottenni che poco dopo si separò, lasciandolo solo con la mamma.

Nel libro Al Pacino mette insieme i ricordi, le sensazioni, gli aneddoti senza curarsi troppo della cronologia e neppure d’imbellettare le cose, più interessato a rievocare un’epoca, un quartiere e quel periodo felice della sua «infanzia alla Oliver Twist» quando faceva parte di una piccola gang di bambini che si guardavano le spalle a vicenda e scorrazzavano sui terreni abbandonati degli orti di guerra del South Bronx.

Al Pacino poteva però contare sull’affetto dei nonni paterni e materni, italoamericani senza soldi con una vasta famiglia; ed era l’unico amore della madre, donna bella, fragile ed emotiva, che dopo il lavoro si nascondeva con il suo bambino al cinema, al Dover Theatre, per vivere altre vite insieme a lui. Momenti di tregua che Sonny imparò a prolungare a casa, atteggiandosi e mimando i vari personaggi del film appena visto; per far ridere sua madre arrivava a interpretare persino i cani, i cavalli e gli altri animali della storia. Quando c’erano soldi, lei lo portava anche a vedere uno spettacolo a Broadway.

Qualche anno dopo, quando Sonny smise con il baseball perché una gang rivale gli aveva fregato il guantone, non potendo ricomprarne un altro accettò di far parte di un paio di recite scolastiche. Aveva tredici anni, ma il suo talento conquistò l’insegnante che si arrampicò sino al quinto piano della casa dei suoi nonni per raccomandargli di iscriverlo a una scuola di recitazione.

Da allora Sonny cominciò a sognare in grande anche se scaricava cassette di frutta dal verduraio del quartiere, finché se ne andò a Manhattan e s’iscrisse a una scuola di recitazione. Dormiva dove poteva, mangiava quando ci riusciva, felice di ottenere piccole parti e qualche provino, mentre per sopravvivere faceva consegne, il traslocatore, la maschera nei cinema e il tuttofare al Living Theatre, tacitando lo stomaco vuoto e la paura di quell’esistenza sbandata con un po’ di vino.

In quel periodo sua madre morì «come Tennessee Williams e tanti altri in quegli anni: aveva preso i suoi soliti barbiturici, li aveva vomitati e ne era rimasta soffocata» e lui non c’era a salvarla. Niente sembrò lenire quel dolore: né il vino, né le notti passate a camminare e a recitare per le strade deserte di Manhattan. Poi conobbe Martin Sheen, attore di belle speranze con una famiglia altrettanto povera e tormentata alle spalle e una fiducia incrollabile nel futuro. Abitavano insieme e si esibivano nei locali del Greenwich Village, e a Soho, con gente che sarebbe stata famosa come Joan Baez, ma soprattutto Pacino iniziò a guardare la scena artistica di quegli anni scegliendo i suoi maestri tra le stelle più fulgide del momento: Marlon Brando, James Dean, Montgomery Clift, e poi Paul Newman, Ben Gazzara, Anthony Franciosa, Peter Falk, John Cassavetes. S’inebriava del loro modo di risolvere un personaggio, o di rinnovarlo, studiava come un forsennato, ma poi arrivava tardi ai provini di Elia Kazan, messo alle corde da quella timidezza e quella paura che neanche il vino riusciva a cancellare.

Con il successo di L’indiano vuole il Bronx, di Horowitz, novità della scena newyorkese, la carriera di Pacino – in coppia con John Cazale, (che ritroverà nel Padrino) – prende forma; lo vede Faye Dunaway – che è già una star – e lo raccomanda a Martin Bregman produttore e manager che rappresenta anche Barbra Streisand e Bette Midler, e che diventerà per lui uno che, insieme al suo mentore Charlie Laughton, finalmente gli farà da padre.

Anche il giovane regista emergente Francis Ford Coppola lo nota e lo scrittura per Il Padrino nel ruolo di Michael Corleone. Con lui, Pacino conosce George Lucas, Steven Spielberg, Martin Scorsese e Brian De Palma, sebbene confessi che: «Non sapevo chi fossero, ma capivo che erano una banda di estremisti figli degli anni Sessanta pronti a cambiare la cultura del nuovo decennio» e quel cinema di cui uno dei protagonisti sarebbe stato proprio lui. Grazie all’enorme successo del Padrino, Pacino inanellò una serie di film memorabili come: Quel pomeriggio di un giorno da cani, Scarface, Panico a Needle Park, Serpico, Carlito’s way, senza contare Il Padrino II e Il Padrino III, Scent of a Woman e poi il teatro.

Sonny Boy – Un’autobiografia racconta in modo semplice e divertente la vita di un giovane attore di teatro newyorkese sbalzato nel cinema nel momento di maggior fermento, quando New York e San Francisco sembravano surclassare Hollywood. Raggiunto il successo, se l’aereo non gli faceva più così paura, le Nomination che riceveva e la Notte degli Oscar lo terrorizzavano, così il suo «istinto alla Greta Garbo gli faceva scegliere la fuga e la solitudine», bastava una scusa. Anche in amore. Anche quando erano storie speciali e ci stava male, come con Jill Clayburgh, poi con Marthe Keller, e ancora con Diane Keaton. «Al Pacino “snobba” la cerimonia degli Oscar!». «Pacci è un attore difficile» che si permette di contraddire il suo regista! Quando seppe che si era fatto questa fama, Pacino sognò di urlare la verità ai suoi colleghi nel cimitero di Hollywood.

Sonny Boy racconta gli incontri, gli amori, i film, le occasioni mancate, le donne, gli anni da regista, le disavventure finanziarie, le mogli, i figli, ed è la storia mai banale di un uomo che ha scalato le montagne della propria esistenza lavorando incessantemente su di sé e ha vinto sul suo «mondo alcolico» e sui suoi fantasmi, ma ancora oggi si emoziona quando sale su un palcoscenico.

You may also like

ABBONAMENTI INSERZIONI PUBBLICITARIE REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO MIGROS
SCUOLA CLUB PERCENTO CULTURALE MIGROS TICINO ACTIV FITNESS TICINO