La notizia: il professor Richard Wiseman, dell’Università di Hertfordshire, Gran Bretagna, sta cercando dei volontari per i suoi esperimenti sulla iella. Se vi sentite perseguitati dalla sfortuna, fatevi sotto, il professore vi sottoporrà a un corso accelerato di «deiellizzazione». Secondo la sua tesi, la iella è frutto di un atteggiamento mentale, così come la fortuna. A prima vista non sembra una tesi troppo peregrina. Chi ha affrontato esami o colloqui di assunzione sa bene che gran parte del risultato dipende dalla propria disposizione mentale. Chi si presenta con l’atteggiamento di un perdente, pensando «tanto mi bocciano» o «mi chiederanno proprio quell’unico paragrafo che non ho studiato», si scava da solo la fossa.
Il professor Wiseman sostiene che questa predisposizione ha origine nell’infanzia e nella prima giovinezza. A me, quand’ero adolescente, capitava con le ragazze: «Adesso mi faccio coraggio, le chiedo di uscire. Ma pro-forma, tanto sono sicuro che mi dirà di no». Infatti. Provavo una sorta di perverso sollievo all’ennesimo diniego, mi avvoltolavo voluttuosamente nella conferma della mia sfiga e mai termine fu più appropriato pensando all’uso della esse privativa.
Esiste anche la iella apparente. Mi piaceva una ragazzina: un giorno passeggiava con due amiche. Noi maschietti le seguivamo in quattro e lei, proprio lei, ha deciso che quello di troppo ero io. L’ho rivista quaranta anni dopo, era diventata una balena spiaggiata. Avrei una domanda per il nostro professore: come possiamo inquadrare la iella quando è generata non da un’aspettativa ma da un comportamento virtuoso? Faccio un esempio. Il mio giovane amico Daniele B. è un talentuoso direttore della fotografia del cinema e coltiva la virtù di detestare lo spreco. Un giorno, nell’intento di lucidarsi le scarpe, ha scoperto che dal tubetto del lucido nero, opportunamente schiacciato, non usciva più niente. Ma prima di buttarlo nella raccolta differenziata, ha voluto sincerarsi che il tubetto fosse veramente esaurito. Ha accostato un occhio all’ugello di uscita e poi ha provato a schiacciare il tubetto per un’ultima volta. Aveva ragione: s’era formato un tappo di lucido nero seccato che, partito come il proiettile di una pistola, gli ha centrato l’occhio destro. Come avrebbe fatto ognuno di noi nelle medesime circostanze, il mio amico ha alzato di scatto la testa, con la nuca ha colpito l’armadietto dei medicinali che s’è staccato dal chiodo rovinandogli addosso e facendogli sbattere la faccia sul bordo del lavandino, con conseguente frattura dei denti. Ma per fortuna solo di quelli davanti. Ora il mio amico Daniele, da me opportunamente interrogato, mi ha dato la sua parola d’onore che lui non aveva immaginato che la sua lodevole propensione alla lotta allo spreco potesse generare tali conseguenze.
Peraltro concordo pienamente su un’altra tesi del professor Wiseman, là dove afferma che la fortuna aiuta chi si crede fortunato. Per ribadire la mia ferma convinzione di essere un uomo fortunato, rivedo in rete periodicamente quei bei film catastrofici di una volta. Uno in particolare, L’inferno di cristallo, con gli invitati alla festa per l’inaugurazione in cima al grattacielo, isolati dalle fiamme che stanno divorando mobili e arredi dieci o quindici piani più in basso. Ogni volta penso: «Come sono stato fortunato a non andare al ricevimento!». Direte: «Mica ti avevano invitato!» E questo cosa c’entra? Conta il risultato: io sono qua, al sicuro, a casa mia a compiangere quei poveretti in abito da sera lambiti dalle fiamme.
Una stupenda serie di film catastrofici era quella intitolata Airport. Il mio preferito è ambientato su un Boing 707, in volo inaugurale. L’imprevedibile impatto con un aereo da turismo mette fuori gioco entrambi i piloti. Così la capa delle hostess, che magari non ha neanche la patente per l’auto, deve mettersi seduta e impugnare la cloche, seguendo le istruzioni inviate da terra dalla torre di comando. È un lieto fine che mi soddisfa perché mi ricorda tutte le volte che mia moglie dalla località di montagna dove si trova in vacanza con i nipoti, mi spiega al telefono, in video chiamata, quali sono le manovre che devo fare per mettere in funzione la lavatrice, senza mai riuscirci.
Per chiudere con una citazione, ricordiamo il geniale Freak Antoni, mancato dieci anni or sono che disse: «Sono così sfigato che quando ho toccato il fondo incomincio a scavare».