Come un iceberg, la cui parte visibile è solo una piccola frazione rispetto a quella che si cela sotto la superficie dell’acqua, l’immenso patrimonio di opere d’arte che l’umanità ha prodotto nel corso della propria storia risulta oggi in gran parte invisibile perché inabissato nei deposti dei musei e nel chiuso delle dimore private, oltre che nei caveau delle banche e nei magazzini dei punti franchi. La condizione di parziale o totale inaccessibilità di queste opere non impedisce però che esse siano continuamente trascinate da una vorticosa corrente sotterranea alimentata non solo dalla passione dei collezionisti e dall’interesse degli storici, ma anche dall’avidità di speculatori e mercanti.
E così capita, a volte, che queste opere riaffiorino almeno temporaneamente all’attenzione del pubblico, soprattutto in occasione di vendite all’asta o di esposizioni in spazi museali. Per favorire queste riemersioni, da alcuni anni il m.a.x. Museo di Chiasso, in occasione del Natale offre ai propri visitatori la possibilità di ammirare un’opera normalmente inaccessibile, avvalendosi della collaborazione di una società specializzata nella logistica delle opere d’arte.
Ammirare un’opera d’arte solitamente inaccessibile
Quest’anno a essere esposto nell’atrio del museo è un piccolo dipinto su tavola del Quattrocento toscano su cui è raffigurata la Vergine con in braccio il Bambino attorniata da quattro angeli: uno che sorregge un piatto dal quale Gesù prende i fiori che offre alla madre, gli altri tre inginocchiati ai loro piedi intenti a cantare un brano musicale le cui prime note si possono leggere sul rotolo di carta che uno di loro tiene tra le mani. Soggetto e composizione collegano l’opera al cosiddetto Tondo Corsini, ossia a quello che è indubbiamente uno degli esiti più significativi della prima parte della carriera di Filippino Lippi, nella cui cerchia la tavola è evidentemente stata dipinta.
E sin qui gli studiosi sono sostanzialmente concordi. Se si tratti invece di uno studio preparatorio dello stesso Lippi, come sostenuto da alcuni, soprattutto in passato, o se non sia piuttosto una copia di bottega, magari del lucchese Vincenzo Frediani, come propendono a ritenere studi più recenti, è invece questione complessa e dibattuta nella quale lasciamo che siano gli specialisti ad addentrarsi.
Del resto, proprio attorno a un gruppo di opere in gran parte attribuibili a Filippino Lippi è maturato uno dei più grandi abbagli della storiografia artistica del secolo scorso, che ha visto Bernard Berenson, tra i massimi esponenti della connoisseurship, inventarsi di sana pianta una figura priva di ogni riscontro documentale, battezzata con formula indubbiamente suggestiva «l’amico di Sandro» (riferendosi ovviamente a Botticelli), pur di non dover sconfessare il proprio approccio metodologico.
Più facilmente ricostruibili ma non per questo di minor interesse, perché toccano aspetti cruciali della storia del collezionismo, consentendoci al contempo di comprendere le ragioni per cui l’opera si trovi oggi a Chiasso, sono le vicende che hanno caratterizzato il dipinto negli ultimi due secoli. Un arco di tempo in cui l’opera ha avuto modo di attraversare per ben due volte l’Atlantico. Quasi certamente la sua collocazione iniziale non era tuttavia la medicea Villa di Careggi, come ipotizzano i curatori della presentazione di Chiasso, secondo i quali la tavola potrebbe essere stata venduta, assieme ad altri arredi, dopo la morte, nel 1871, del suo proprietario, lo scozzese Francis Joseph Sloane.
Già nel 1867, infatti, l’opera risulta essere negli Stati Uniti, visto che proprio quell’anno è entrata a far parte della collezione della New York Historical Society, come dimostra lo stesso numero di inventario presente sul retro della tavola (NYHS 1867.330), che, come spesso accade, è composto dall’anno di entrata nella collezione seguito da un numero progressivo.
La tavola apparteneva al gruppo di 381 dipinti che Thomas Jefferson Bryan donò quell’anno all’istituzione newyorkese e che fino a quel momento aveva ospitato in un vero e proprio museo privato: la Bryan Gallery of Christian Art. Personaggio singolare e facoltoso, appassionato di scacchi oltre che d’arte, Bryan è stato uno dei primi esponenti del collezionismo americano e uno dei primi, sull’onda del Gothic Revival che investì il mondo anglosassone nel corso dell’Ottocento, a interessarsi ai primitivi italiani. La sua collezione, costituita in larga parte tra il 1829 e il 1852, quando soggiornò stabilmente in Europa frequentando personaggi come Artaud de Montor, continuò ad accrescersi anche nei decenni successivi in occasione di ulteriori viaggi in Europa (morì nel 1870 a bordo del transatlantico Lafayette mentre stava facendo ritorno a New York).
Ed è probabilmente durante uno di questi viaggi che Bryan acquistò il dipinto ora esposto a Chiasso, visto che non è incluso nella guida della collezione pubblicata nel 1853.
Le peripezie del quadro non finirono però con l’approdo in un’istituzione museale. Ben presto affiancata da realtà museali più ricche e potenti quali il Metropolitan Museum of Art, che poteva godere dei contributi e delle donazioni di un personaggio come John Pierpont Morgan (il fondatore della JP Morgan), la New York Historical Society si trovò già negli anni Quaranta del secolo scorso in gravi difficoltà finanziarie per uscire dalle quali ricorse a quella pratica che costituisce uno dei tratti distintivi più importanti dei musei americani: il deaccessioning, ossia l’alienazione delle collezioni, o come preferiscono dire alcuni, con neologismo, che a noi pare superfluo, la de-accessione. I musei americani, infatti, a differenza di quelli europei, possono, a precise condizioni e con procedure ben definite, alienare singoli oggetti o gruppi di oggetti per garantire il futuro dell’istituzione o per effettuare acquisizioni più rilevanti per l’identità della collezione.
Gran parte delle opere donate da Bryan, soprattutto quelle non direttamente legate alla storia americana, vennero così vendute nel corso di tre aste tenute da Sotheby’s rispettivamente nel 1971, nel 1980 e nel 1995.
Come ha osservato Martin Gammon che la storia della de-accessione l’ha raccontata in un libro del 2018, nel quale un capitolo è dedicato proprio alla collezione Bryan, una parte delle opere vendute dalla New York Historical Society sono comunque tornate in tempi più o meno rapidi a far parte di collezioni museali, come il desco da parto che celebrava la nascita di Lorenzo il Magnifico acquisito dal Metropolitan nel 1995, altre invece, come quella attualmente esposta a Chiasso che ha riattraversato l’Atlantico per finire in una collezione privata in Svizzera, riaffiorano ogni tanto dall’oblio in cui si sono inabissate ricordandoci che la punta rilucente dell’iceberg può manifestarsi ai nostri occhi solo grazie all’enorme e oscura massa nascosta che la sorregge.