Lontano dai festeggiamenti, vicino alla comunità

Le tre pastiglie aspettavano allineate sul tavolo, pronte a coprire ognuna otto ore e a regalare a Iris una pausa di un giorno intero; o così per lo meno aveva calcolato. Avrebbe sorvolato le festività a distanza, sognando, e si sarebbe risvegliata la sera del venticinque, libera dal peso di inviti non ricevuti e non fatti. Le faccende erano state sbrigate, tutte, compreso lo scambio di auguri con le tre amiche più care, indaffarate con i preparativi di pranzi e cene e già spossate per l’imminente arrivo di parenti e seccatori vari. Iris aveva ascoltato le loro lamentele senza irritazione, perché sapeva che scaturivano da buone intenzioni, dalla volontà cioè di mostrare che la loro condizione non era per forza migliore della sua. Altre interpretazioni le escludeva non per ingenuità, ma per scelta, giacché l’esperienza le aveva insegnato che la via più diretta tra due punti era sempre una linea retta, mentre le speculazioni erano ghirigori che complicavano il cammino.

Iris andò in cucina, tolse l’acqua bollente dal fuoco e la versò nella tazza dove già si trovava il tè. Aggiunse latte e zucchero, si fermò a godere di quel profumo dolce e familiare, diede una bella mescolata e, con la tazza in mano, fece un giro nelle stanze per assicurarsi che tutto fosse spento e chiuso. La camera da letto era in penombra, già pronta ad accoglierla. Prima di addormentarsi avrebbe chiamato la figlia partita per l’Australia con il nuovo fidanzato. Poi più nulla. Trovava confortante l’idea che le cose potessero andare avanti senza di lei.

Una vigilia insolita, dove l’attesa si confondecon la quiete e i confinitra solitudine e solidarietà si fanno sottili

Mentre sorseggiava il tè con lentezza, quasi a voler estendere all’infinito l’intervallo che si era ritagliata, attraverso i vetri del salotto vide l’abete nel suo vaso che si agitava. Aveva scelto di addobbarlo e ora il vento impetuoso lo scarmigliava senza concedergli il sollievo della pioggia, che sul terrazzo non poteva raggiungerlo. Iris uscì per raccogliere qualche decorazione caduta a terra e l’aria umida e mite le ricordò quella delle estati al mare, inappropriata per la vigilia di Natale. Si disse che non importava, che in fondo era una notte uguale a tante altre.

Le grida che all’improvviso salirono dal basso le confermarono che la realtà prevaleva sulla sacralità: i visitatori sgraditi erano tornati. Come avanzi di temporale, negli ultimi tempi formavano rigagnoli umani che da ogni direzione confluivano nello spazio protetto e coperto a pianterreno, ideato quarant’anni prima da un architetto incapace di prevedere le esigenze di privacy dei consumatori di eroina, crack, metanfetamine. Iris pensò a bottiglie rotte, siringhe, resti organici e alla bimba tanto carina del secondo piano, che da poco aveva cominciato a camminare incespicando e ridendo con le manine perennemente protese in avanti, e riluttante si avviò giù per le scale: ci partecipava solo a sprazzi, alla vita, e il ruolo di intrusa la metteva a disagio.

Questa volta erano in tre: un vecchio e un giovane, ingobbiti a bere e fumare sul muretto davanti all’entrata, e una donna ossuta dall’età indefinita, in piedi davanti a loro, che parlava a raffica e si muoveva a scatti su e giù. Da dentro Iris batté le nocche sul vetro e fece segno che dovevano andarsene. Loro fecero come se nulla fosse ignorandola, con il giovane incapace di reggere a lungo il peso del proprio corpo, che di tanto in tanto si lasciava andare appoggiando la testa sulla spalla del vecchio. In quei momenti la donna si piegava verso di lui dandogli affettuose pacche d’incoraggiamento che però non producevano alcun effetto visibile.

«Crede che dobbiamo chiamare la polizia?»

La voce della signora Morgenstern sorprese Iris. Sapeva che a essere disturbati dal continuo andirivieni erano soprattutto il rabbino e la moglie, che abitavano a pianterreno, ma in questa notte non si aspettava di incontrare nessuno. Le due donne si guardarono e senza bisogno di tante parole all’unisono decisero che sì, che avrebbero chiamato. Iris seguì la figura lenta fino al suo appartamento, fermandosi con discrezione sulla soglia durante la telefonata. In seguito, visto che anche la signora Morgenstern era a casa da sola, rimase ad aspettare insieme a lei, assicurandole che le faceva piacere, che l’ora e il giorno non importavano.

All’arrivo dei due poliziotti, che Iris e la signora Morgenstern accolsero aprendo la porta d’entrata (esponendosi), gli uomini reagirono rassegnati, indifferenti; la donna appariva invece offesa, e lo fece notare urlando insulti intrisi di bava contro Iris, la «traditrice» ai suoi occhi. La sua veemenza era adeguata, serviva a bilanciare le ingiustizie, pensò Iris. Uno degli agenti spiegò che di interventi simili ne avevano svolti un gran numero nelle ultime settimane e che questo terzetto era davvero fortunato: li avrebbero accompagnati direttamente al centro gestito dall’esercito della salvezza, dove si teneva una festicciola con tanto di cena offerta, musica e canti. Con un po’ di fortuna avrebbero ricevuto anche un posto letto. La donna pareva comunque non apprezzare l’offerta e lanciò a Iris un’occhiata malevola.

Anziché sciogliersi con la partenza degli elementi disturbatori, il gruppetto si infoltì con la comparsa del portinaio, che dal palazzo adiacente venne a curiosare e si fermò a parlare con i poliziotti. Fu in quel momento di chiacchiere improvvisate che la tensione fra loro svanì, mentre i nuvoloni venivano sfilacciati dal vento e la luna tornava a rischiarare la notte. Il giovane, traballante, ne approfittò per risedersi sul muretto, seguito a ruota dal vecchio e dalla donna, che si accese una sigaretta fissando, finalmente tranquilla, un punto inesistente davanti a sé. Nell’eterogeneo conglomerato di individui l’equilibro permase, finché i poliziotti non decisero che l’intervento andava concluso e, salutando con gentilezza, si allontanarono con i loro tre non prigionieri, aiutandoli a trasportare due borse dal contenuto lurido ma innocuo.

Accese le luci dell’abete, suonò al piano il suo brano preferito e decise che il giorno dopo sarebbe andata a passeggiare

Dopo che ebbero oltrepassato il cancelletto, che diligentemente si chiuse alle loro spalle, Iris si scusò per lo scompiglio causato. Il portinaio e la Morgenstern risposero che era stato necessario, che aveva fatto bene, che il caseggiato andava monitorato, difeso dal degrado. Iris lo sapeva e tuttavia credeva che certe scelte non andassero bollate in modo semplicistico come individuali, ma che andassero considerate come responsabilità della comunità intera e trattate di conseguenza. Per questa notte le cose si erano però appianate con una facilità quasi magica e a Iris venne in mente che in cantina aveva un paio di bottiglie di spumante e che avrebbe potuto scendere a prenderne una per festeggiare, ma forse il portinaio, che era kosovaro, non beveva alcolici e nemmeno la signora, che era anziana. Mentre Iris esitava, la Morgenstern sparì dentro casa, intimando loro di rimanere dov’erano, e pochi istanti dopo ricomparve con un piattino su cui si trovavano dei rugelach, dolcetti che aveva preparato per Hannukkah, farciti con formaggio fresco e cioccolato.

Tornata nel suo appartamento, Iris si disse che la signora Morgenstern era davvero un’ottima cuoca e che gli auguri che si erano fatti mentre gustavano quelle delizie si potevano fare per tante ragioni diverse e che i significati dietro ogni augurio potevano anch’essi variare, ma non per questo perdevano d’importanza.

Dopo aver chiamato la figlia e ascoltato con la giusta premura materna le storie di billabong e coccodrilli marini, le avventure subacquee tra tartarughe e pesci pagliaccio e le spedizioni nella giungla, assicurandole che no, che non si sentiva sola, accese le luci dell’abete, suonò al piano il suo brano preferito di Mozart e decise che il giorno dopo sarebbe andata a passeggiare lungo il fiume, per trascorrere l’imminente giornata di festa, una giornata diversa eppur uguale a tante altre.

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